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      BOY BEBORibelle Urbano
 
 
 
 
 
 CARNE DI RISULTA
 Un giorno il mio telefono suonerà di nuovo e al mio ‘chi è?’ 
      sarà silenzio della controparte. Solo un altro ‘chi è?’, 
      concessione penultima al mutismo, o silenzio per il silenzio e farà 
      seguito nelle orecchie altrui il clac del telefono abbassato. Un minuto 
      e il mio telefono sembrerà ticchettare il tempo come una lancetta 
      dei secondi. Ne passeranno cento o cinquecento in un accordo di tic tac. 
      Poi trillerà ancora ma con un accordo nuovo e stonato. E questa volta 
      parlerà una voce incerta e sarà Seni Piccoli, compagnia di 
      due anni e di anni in anni, a caso: carne di risulta sentimento senza ingombri. 
      Negazione ontologica di amori troppo grandi, confusi, dispendiosi. Carne di risulta è il mutuo farsi insieme mensa dei desideri altrui 
      certe volte regalando soddisfazioni e comunque mai zavorre. Mai chiedere, 
      mai pretendere, aspettarsi. E’ carne che spinge per altre carni, fare 
      magazzino, aderire e agganciarsi. E pendere, sospesi ad un tempo infinito 
      che è tregua e salvezza.
 Anche giorni dopo il telefono squillerà basso, e sarà sera 
      o sarà domenica pomeriggio. Questa volta il sospetto imbastirà 
      le incertezze ma senza forzare il gioco. La prima mano sarà silenzio 
      e cornetta giù, come sempre.
 Non esistono richiami, i disvelamenti non stanno bene, nessun tana libera 
      tutti: si starà al gioco. Sembrerà un trillo strozzato il 
      nuovo richiamo del telefono come delle sveglie masochisticamente importune 
      della mattina che proseguono il loro lavoro stanche, sotto le piume di un 
      cuscino e lamentose o rauche, in tutti i casi attutite continuano a suonare 
      a muri vuoti. L’altro capo del chi è questa volta sarà 
      nome di donna.
 “Che fai?” dirà mascherando casualità sua e sorpresa 
      mia e ci saranno cinque minuti di circostanze ed emozioni di impaccio e 
      forse anche un tremore mio: qualcosa di molto fisico – fisiologico, 
      anzi, direi per l’abitudine a questo effetto collaterale delle sue 
      telefonate. Tremore della voce e delle gambe che cercheranno pace sul divano. 
      Poi un cedimento al desiderio che è insieme un’apertura.
 “Ti posso venire a trovare?”
 Vieni – sarà il mio dire sfiatato. Sbrigativo per sorpresa 
      (ogni annuncio ha sempre la sua sospensione).
 Dieci di sera senza più nessuno squillo di telefono, neanche basso, 
      neanche interrotto: neanche errori. E sulla strada pure sembrerà 
      essersi diradato l’avanti e indietro delle macchine. In casa sposterò 
      oggetti senza necessità, sfoglierò libri senza leggerli. Sembrerà 
      esserci poco tempo e tanto tempo per fare, così tutto rimarrà 
      incompleto e non iniziato. Poi un trillo di citofono: un suono breve e il 
      nome di lei. Due colpi al grilletto dell’apparecchio, un secco avviso 
      di elettricità al meccanismo con cui il mio palazzo accetta gli arrivi 
      e li accoglie poi con un corridoio, una fila di gabbiette di legno e vetro 
      per la posta e in alto una madonna piccola sottovetro per chi ha devozione. 
      La scala a destra: il conto dei passi in corridoio, quello dei gradini. 
      Ogni venuta ha una esattezza. Poi c’è la diversità del 
      passo: questo inesorabile, non veloce ma instancabile. Andatura buona per 
      questo primo piano come per un sesto senza ascensore, un piede che va, predestinato.
 Carne di risulta saremo ancora insieme: resti di altri amori che non ci 
      stanno bene più (o stasera), mentre reclameremo quel nostro appartenerci 
      esclusivo che non è solo fisico o solo mentale o emozionale ma che 
      l’uno e gli altri è ma disgiuntamente.
 Insieme non si fa coppia: ce lo si è già detti e ci si è 
      scambiati degli arrivederci consolatori perché si era sentito il 
      bisogno di acquietarla la nostra esclusività. Poi si era ceduto sotto 
      il peso di un desiderio senza colpa: se non naturale, almeno nervoso, istintivo.
 Seni piccoli, abbottonati davanti, tenuti attorno ai muscoli. Carne che 
      non si può spostare, che deve stare attorno ad un torace magro, ossuto. 
      Materia che si può solo comprimere e che rimane sulla mano come adesa: 
      le mani staranno lì a lungo, infatti, e non si muoveranno prima di 
      aver avuto la sensazione di un riconoscimento come le letture a fibre ottiche 
      dei codici a barre. Tutta soddisfazione sarà e gioia delle mani e 
      gioia di seni piccoli che si faranno fisiologicamente più grossi 
      come le labbra che faranno due linee di carne più sanguigne e in 
      fuori. Il reggiseno sarà stato un passo breve per farlo cadere ai 
      piedi o spostarlo mentre le mani – inopportune, impazienti – 
      cercheranno con la stessa rapidità l’elastico delle mutande 
      e lo tireranno verso ogni dove fino a che non si commuoveranno le gambe 
      e le aiuteranno come il salto di una molla usata che sarà lo sgusciar 
      fuori dal guscio di una lumaca, la cui casa rimarrà in terra in forma 
      di un mucchietto di stoffe lisce e ruvide. I piedi avranno una consistenza 
      coriacea come se arrivassero da lontano, senza calzari. E saranno freddi. 
      Le labbra purtroppo non saranno semichiuse come succede in questi momenti 
      della volontà, ma contratte come viene di fare a Seni Piccoli, senza 
      pensarci. Si capisce quindi che questo cedimento non sarà un atto 
      facile e sarà evidente dalla tensione dei muscoli, dal respiro strozzato, 
      affannoso. Sarà un atto di dolore: un ‘mio dio mi pento e mi 
      dolgo’ in contemporanea al desiderio. E tutto questo non passerà 
      inosservato: sarà da subito in esposizione e richiederà un’unione 
      veloce e virile. Non ci sarà dolcezza, non ci sarà tempo per 
      la delicatezza delle mani che cercheranno un piacere subitaneo ed esterno.. 
      Le mani dovranno senza perdite di tempo raggiungere punti determinati con 
      l’esattezza di un’enigmistica risolta. Persino indugiare sui 
      fianchi larghi – regalo di natura per questa magrezza della cassa 
      toracica esposta in tutta la sua linea di costole – sarà un 
      privilegio di breve durata. Si andrà dove si deve andare con un impeto 
      smemorato che non aspetta e odia gli indugi. Le parole saranno poche e trai 
      denti non si capiranno: arriveranno dopo e, piene di perentorietà, 
      comanderanno movimenti. Alla mancanza di complicità seguiranno agganci 
      molto veloci che forzeranno la carne vicino alla carne con una guida a binario. 
      Non ci sarà accoglienza in questo corpo che cede sapendo di cedere 
      e ci sarà un pentimento a seguire che cercherà il bagno come 
      una camera di sfiato. Una sigaretta fumata in tutta solitudine acuirà 
      l’imbarazzo e il pentimento e ci sarà dolore a fette che poi 
      si protrarrà ancora fino al mattino e ai giorni che saranno una processione 
      delirante di questa colpa. Forse ci saranno mesi o un anno o anche più 
      di questo rito del dolore che apparirà irrinunciabile eppure gravoso. 
      Alla fine il telefono tacerà ancora o suonerà senza la voce 
      di Seni Piccoli. Forse sarò ancora io carne di risulta di altra carne 
      di risulta: spero mai contrariando i bisogni altrui e rispettando il gioco 
      che si gioca così.
 Non so per quante volte si ripeteranno riti e processioni, comunque sembreranno 
      sempre troppe le volte più che poche e questo aiuterà il pentimento 
      e il dolore degli atti.
 Forse bisognerà contarle per avere l’idea nelle mani di un 
      qualcosa di così astratto come la sofferenza o il piacere. Quel che 
      gli sarà più doloroso sarà appunto questo pentimento: 
      un non volerci essere impossibile al passato e debole al futuro.
 Aspetterò ancora che ci siano parole d’amore e anche queste 
      telefonate mute, alternate alla voce di lei come se una prima telefonata 
      servisse da monito e precedesse l’altra con tutte le emozioni dell’attesa. 
      E se anche non ci saranno trilli e parole sarò grato proprio a questa 
      attesa.
 
 
 Disegno di Daniel Egneus
            
 
 
 
 
 
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