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 La culla di Hvammstangi... di Carvelli
 
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Quand'ero giovane, avevo ali instancabili,/ ma non conoscevo le montagne./ Quando fui vecchio, conobbi le montagne/ ma le ali stanche non tenevano più dietro alla visione./ Il genio è saggezza e gioventù.

Edgar Lee Masters
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carvelli (del 25/11/2010 @ 08:28:24, in diario, linkato 663 volte)

L'altroieri credo c'era un'intervista ad Alan Bennett (su laRepubblica) di cui lessi un libro che non mi era particolarmente piaciuto nonostante l'esaltazione di chi me lo consigliava (La cerimonia del massaggio). Questa nuova uscita (Una vita come tante) mi tenta e rivedo la mia posizione ostracistica. Forse lo acquisterò. Dicevo, l'intervista. Enrico Franceschini chiede: "Un altro critico inglese nota che questo suo libro esalta la dignità delle vite anonime, delle esistenze di poco conto". Bennett risponde:
"I miei genitori erano persone così. Non pensavano di valere molto, ma non se ne dolevano. Non avevano grandi aspettative. Non sarebbero mai voluti finire in prima pagina. Oggi si pensa che, se uno non ha 15 minuti di fama, magari in tivù, è come se non esistesse. Se c'è un aspetto di cui essere nostalgici, riguardo al passato, è questa capacità di essere contenti anche restando ai margini, senza bisogno di dare nell'occhio".

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Di Carvelli (del 23/11/2010 @ 14:26:56, in diario, linkato 592 volte)
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Di Carvelli (del 23/11/2010 @ 12:34:38, in diario, linkato 636 volte)
Non ti spaventare. Non avere paura. Non è la prima volta: che mi sento dire queste frasi in riferimento a cose sentimentali. Mi chiedo: ma perché qualcuno pensa che sia fonte di terrore il fatto di ricevere attenzioni affettive da parte sua? Mi rispondo che forse è perché le attenzioni affettive suscitano spesso panico. In certi casi è davvero un assioma. Ma “mi domando2”: perché nessuno si accorge quando davvero suscitano sgomento, quando davvero atterrisce l’idea o solo l’ipotesi di questa attenzione? Quando è davvero spaventevole. Davvero spiazzante, imbarazzante. A queste due domande non ci sono risposte coerenti. In definitiva, si potrebbe concludere che la paura del rifiuto cautelativamente fa avanzare mozioni d’ordine. Tipo: occhio, adesso ti sto facendo oggetto delle mie attenzioni, ti potrà succedere di conseguenza di provarne un sensibilissimo fastidio; tranquillo è solo paura. La mia mozione d’ordine è invece: ho paura di non riuscirti a spiegare che la mia paura è di non riuscirti a spiegare che non ho paura e che solo vorrei sapere come se ne esce da questa tua paura e soprattutto dalla mia di non riuscirtelo a spiegare? Mi spiego?
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Di Carvelli (del 23/11/2010 @ 09:15:13, in diario, linkato 665 volte)
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Di Carvelli (del 23/11/2010 @ 08:57:54, in diario, linkato 650 volte)


Conoscete forse la mia debolezza per Robert Walser. Credo di averla esplicitata spesso qui. In Walser ammiro un tono vagamente incantato, addolcito dall'osservazione delle cose. Come se l'esistente fosse foriero di piaceri piccoli e inattesi ma anche di brucianti perplessità come in questo racconto di cui vi parlo oggi. Si intitola La novella italiana (ed è in Pezzi in prosa) ma il gioco è: sostituire al titolo qualsiasi cosa vi susciti un senso di soggezione ideale.

Ho serio motivo di chiedermi se piacerà una storia che narra di due persone o personcine, ovvero di una graziosa, amabile fanciulla e di un bravo e buon giovanotto (nel suo genere almeno altrettanto amabile) che si trovano nella più bella e intima relazione di amicizia reciproca. L'amore tenero e appassionato che sentivano l'uno per l'altra somigliava, per calore, al sole estivo e, per purezza e castità, alla neve decembrina".

Così inizia Walser. Ma poi si annida nel racconto un'ombra che è alla fine una luce. La luce della novella italiana che fa dire al Lui della storia che mai potrà essere eguagliata dal loro amore. Salvo l'happy end in cui l'amore reale supera la pur abbagliante bellezza del racconto italiano. E ho pensato a quanto un master o un credo esterno sia esso televisivo, cinematografico o letterario (e, comunque, d'invenzione) possa compromettere la riuscita di tanti amori imbarazzati da una formazione idealistica.

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Di Carvelli (del 22/11/2010 @ 11:07:42, in diario, linkato 793 volte)
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Di Carvelli (del 22/11/2010 @ 10:01:52, in diario, linkato 609 volte)
Sono andato a vedere The social network ma contrariamente alle attese non ho incontrato un film sulle origini di Facebook bensì sull'odio e sul riscatto. In definitiva la storia dell'umanità è storia di riscatto (e anche un po' di odii). Una specie di moto perpetuo di reazione e di rivoluzione, una sorta di agitazione vs uno stato di quiete e di stasi. E quindi perché non dovrebbe esserlo anche un film su una delle più grandi invenzioni comunicative dato come forma di emancipazione dallo stato di nerditudine dell'inventore (nel film il bravissimo, magistrale Jesse Eisenberg). Una prospettiva un po' orizzontale direte. Ne convengo. Fincher, il regista, è bravo e si sa e forse dovremo apprezzare la scelta di andare sui fini secondi per liberarci dall'impossibile semplificazione della genialità. 
Ero in definitiva preparato a vedere qualcosa di diverso. In parte. Avevo letto prima di andare al cinema la lunga recensione di Zadie Smith (uscita su The New York Review of Books da noi su Internazionale). Disattesa anche l'attesa della bellissima Creep a coro femminile che tempesta i trailer ma manca nel film. Peccato.
">. 
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Di Carvelli (del 19/11/2010 @ 09:45:31, in diario, linkato 612 volte)
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Di Carvelli (del 19/11/2010 @ 08:55:30, in diario, linkato 644 volte)
In un capitolo del libro di Bichsel di cui ho già parlato, Il lettore, il narrare, sintomaticamente intitolato Storie che ha scritto la vita, lo scrittore svizzero cita Oscar Wilde - "Capita molto più spesso che sia la vita a imitare l'arte che non l'arte la vita" - e riflette sulle dinamiche di scambio tra le due. In realtà è anche un pretesto per ragionare dell'imitazione tra scrittori. Tra chi scrive al modo di. E scrivere al modo di spesso significa vivere dentro l'Universo di un altro scrittore quasi come in un incubatore artificiale che suggerisce naturalmente sviluppi innaturalmente altri, eterologhi diciamo così. Sì, esiste una letteratura eterologa. In certi casi dichiarata, in altri suggerita da altri, filiata da critici che sanno (sono in grado/ ritengono opportuno) cogliere parentele e le evidenzano. Letterariamente viviamo un periodo di allineamento a un canone di comodo inscaffalamento. Come in ogni campo della scienza della vendita si chiede ai libri di conformarsi a un gusto (il molto dolce, molto grasso dell'industria dolciaria, in letteratura corrisponde al molta trama, molti sentimenti). E abbiamo omesso il genere (si dovrebbe dire i generi ma ormai - rinnovata mercificazione - genere è "il genere" ovvero il poliziesco/hard boiled/giallo e sfumature di colore) prova ennesima del Canone. Ci si attende ora che al bio dell'alimentare faccia seguito una tracciabilità dello scrivere.
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Di Carvelli (del 18/11/2010 @ 16:53:34, in diario, linkato 551 volte)
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