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 Il letto di Akureyri... di Carvelli
 
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Proverò a riscrivere tutta la vita non dico lo stesso libro, ma la stessa pagina, scavando come un tarlo scava una zampa di tavolino.

Luciano Bianciardi
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carvelli (del 20/06/2008 @ 08:59:21, in diario, linkato 1252 volte)
Ecco che ritorno. Mi piace quando la Tuscolana è ancora tutta a serrande abbassate, la gente poca, poche le macchine (almeno in un senso). Qualche ragazza si incanta a guardare una vetrina di un negozio in cui non potrà entrare. Non a breve, almeno. Fra un po' vado. Succede così: ogni tanto vado. Ma poi ritorno. Nessuno ha amicizia per qualcuno (o è raro). Tutti hanno pena per qualcuno.
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Di Carvelli (del 19/06/2008 @ 16:45:36, in diario, linkato 1360 volte)

Potrà capitarvi di incontrarmi sulle strade di Roma recitando questo infinito e monocorde mantra semiromantico (semi romantico come tutto quello che sembra "amoroso" nei Doors). Questa è la mia nenia da motorino. Semaforo dopo semaforo, incrocio per incrocio. E fra un po' riparto.

Scusate devo andare.

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Di Carvelli (del 19/06/2008 @ 09:55:48, in diario, linkato 1230 volte)
Il prototipo - il prototipo filmico - è Scureza de Corpolò (non so se scrivo giusto). Non so se vi ricordate. Il film Amarcord. Ma in realtà quello era un prototipo ancora più centaurico. Esiste un genere di lavoratore motomunito. Viaggia con motobecane o pegiottoni o fanticmotor o similari. Il motorino fa casino (Scureza) ma non porta trambusto notturno. Il Nostro è creatura diurna e viaggia con attrezzi da lavoro in borse di pelle pendenti a cavallo della ruota posteriore. Alle mani guanti di gomma neri. Davanti parabrezza di plastica e similpelle. Fine delll'identikit.
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Di Carvelli (del 19/06/2008 @ 09:32:37, in diario, linkato 1262 volte)

E' un po' che non lo facevo. Ecco un bel pezzullo dalla Catena di San Libero del bravissimo Riccardo Orioles.

Vivo-morto-chissà

È una roulette russa. Nessuno può sapere a chi toccherà, ma è certo che tutte le mattine, in Italia, tre-quattro lavoratori escono di casa per andare in fabbrica, o in cantiere, e rientrano in una bara (incidenti d’auto esclusi). L’11 giugno i morti sul lavoro sono stati undici: i sei asfissiati in una vasca di depurazione del Comune di Mineo (Catania), poi uno a Imperia, Udine, Nuoro, Modena, nel Monferrato. Le chiamano “morti bianche” per evitare che si parli di omicidi. Nessuno ha mai pagato. Il giorno dopo la strage di Mineo, il ministro Sacconi, ha convocato le parti sociali annunciando piani straordinari. Poi si è scoperto che il vero obiettivo è abolire le sanzioni nei confronti degli imprenditori che non rispettano le norme di sicurezza. Fa venire i brividi, ma è così: l’Italia è un grande palcoscenico dove attori di quart’ordine recitano una commedia dell’assurdo.

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Di Carvelli (del 18/06/2008 @ 14:08:44, in diario, linkato 1165 volte)
Dice che va a intervistare questa scrittrice. Mi chiede se la conosco. Solo di nome, dico. Mi chiede se l'ho mai letta. No, dico, perché tu? Io sì. E com'è? Mah: non mi sembra che aggiunga nulla al panorama della letteratura italiana. Le dico che è proprio quello il segreto: lasciarlo intatto quel panorama. Pubblicare il non-letteratura italiana. Scherziamo. Forse lo fanno per non dover aggiornare il trivial pursuit. O le antologie scolastiche?
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Di Carvelli (del 18/06/2008 @ 14:05:50, in diario, linkato 1214 volte)

L'autrice che rimane in forma anonima manda un possibile seguito di Lui Lei. E' bello e posto.

E a cena le patate fritte stanno nel piatto al centro della tavola. Lei aspetta seduta che lui rincasi.  Dopo pochi minuti, eccolo, sulla soglia della porta con un sorriso sospeso, che vuol dire: sono qui, grazie, ho paura, aiutami. Ha sollevato la mano dove tiene stretta per il collo una bottiglia di vino rosso. Vanno a tavola, lui sembra sempre sul punto di cominciare a parlare. Ma non lo fa. Vieni, andiamo in giardino, dice lei. Il profumo di gelsomini nella notte placida le dà una stretta al cuore. Quando ha cominciato a vivere con il freno a mano?, le viene questa immagine, lei che non ha mai guidato! Quando ha iniziato a tenersi tutto dentro, a non dire le cose che sente e a dire invece esattamente il contrario? Quand'è che si è distratta, cosa è successo, dove, in che momento della vita  si è aperto, si è allungato lo strappo? Guarda, il limone ha messo le foglie, ha sussurrato lui alle sue spalle, con voce tranquilla.

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Di Carvelli (del 18/06/2008 @ 09:25:17, in diario, linkato 1234 volte)
Lui ha l'aria compassata e ha fatto tutti i capelli bianchi. Lei si è vestita colorata stamattina. La spazzatura l'ha buttata lui. Hanno l'aria stanca ma è fine stagione. Ancora devono decidere cosa fare quest'estate ma forse vanno al paese di lui. Stamattina proprio non ingrana. Non parlano: camminano e si lanciano due parole per uno come se prendessero a calci una lattina. Un calcio per uno e avanzano. Non si dicono nulla d'importante. Ora lei gli ha detto che fa le patate fritte e lui ha sorriso come se ricordasse l'infanzia. "Tu quando torni?" e hanno detto ognuno un numero. Uno ha preso la metro in una direzione l'altra nell'altro. Si rivedranno stasera.
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Ma
Di Carvelli (del 17/06/2008 @ 16:25:10, in diario, linkato 1151 volte)
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Di Carvelli (del 17/06/2008 @ 14:54:20, in diario, linkato 1848 volte)

Questo discorso (questa breve parte di esso) lo pronuncia Eugenio Montale all'atto del ricevimento del Nobel. Era il 1975.

Ho scritto poesie e per queste sono stato premiato, ma sono stato anche bibliotecario, traduttore, critico letterario e musicale e persine disoccupato per riconosciuta insufficienza di fedeltà a un regime che non poteva amare. Pochi giorni fa è venuta a trovarmi una giornalista straniera e mi ha chiesto: come ha distribuito tante attività così diverse? Tante ore alla poesia, tante alle traduzioni, tante all'attività impiegatizia e tante alla vita? Ho cercato di spiegarle che non si può pianificare una vita come si fa con un progetto industriale. Nel mondo c'è un largo spazio per l'inutile, e anzi uno dei pericoli del nostro tempo è quella mercificazione dell'inutile alla quale sono sensibili particolarmente i giovannissimi.

In ogni modo io sono qui perché ho scritto poesie, un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo e questo è uno dei suoi titoli di nobiltà. Ma non è il solo, essendo la poesia una produzione o una malattia assolutamente endemica e incurabile.

Sono qui perché ho scritto poesie: sei volumi, oltre innumerevoli traduzioni e saggi critici. Hanno detto che è una produzione scarsa, forse supponendo che il poeta sia un produttore di mercanzie; le macchine debbono essere impiegate al massimo. Per fortuna la poesia non è una mercé. Essa è una entità di cui si sa assai poco, tanto che due filosofi tanto diversi come Croce storicista idealista e Gilson cattolico, sono d'accordo nel ritenere impossibile una storia della poesia. Per mio conto, se considero la poesia come un oggetto ritengo ch'essa sia nata dalla necessità di aggiungere un suono vocale (parola) ali martellamento delle prime musiche tribali. Solo molto più tardi parola e musica poterono scriversi in qualche modo e differenziarsi. Appare la poesia scritta, ma la comune parentela con la musica si fa sentire. La poesia tende a schiudersi in forme architettoniche sorgono i metri, le strofe, le così dette forme chiuse. Ancora nelle prime saghe nibelungiche e poi in quelle romanze, la vera materia della poesia è il suono. Ma non tarderà a sorgere con i poeti provenzali una poesia che si rivolge anche all'occhio. Lentamente la poesia si fa visiva perché dipinge immagini, ma è anche musicale: riunisce due arti in una. Naturalmente gli schemi formali erano larga parte della visibilità poetica. Dopo l'invenzione della stampa la poesia si fa verticale, non riempie del tutto lo spazio bianco, è ricca di « a capo » e di riprese. Anche certi vuoti hanno un valore. Ben diversa è la prosa che occupa tutto lo spazio e non da indicazioni sulla sua pronunziabilità.

L'intero.

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Di Carvelli (del 17/06/2008 @ 09:20:26, in diario, linkato 1213 volte)
Stamattina il cielo è una glassa. Distribuita alla meglio e al contrario sopra il celeste. Di tutte le stanchezze che contiamo nessuna vale quanto quella che non ha riposo o che lo attende invano. Così pareggiamo il conto attenendoci ai minimi sforzi che possiamo.
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