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 Il letto tatami e cucù, da Veronica, Tokyo... di Carvelli
 
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Non esistono terre pure o terre impure di per sè, ma solo la bontà o la malvagità della nostra mente.

Nichiren Daishonin
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carvelli (del 27/08/2004 @ 09:11:10, in diario, linkato 948 volte)

Su www.lostile.org

un pensiero nostro.

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Di Carvelli (del 27/08/2004 @ 14:30:44, in diario, linkato 944 volte)
Davvero la morte di Baldoni sembra un evento. Infausto. Triste e sfortunato. Forse è vero che è capitato nelle mani sbagliate di una galassia sfaccettata e non sempre trattabile. Forse per trattare non si è trattato. Forse non abbastanza. Forse perché non c'era nulla da nascondere o celare nel silenzio. Ecco come muore un italiano. Ma un italiano? Non forse un uomo come si deve, un giornalista a caccia di verità, un volontario che ceca di dare gambe a chi non le ha più. Forse non è il caso di fare retorica di Stato. Siamo in guerra e Baldoni lo sapeva. nelle sue parole da giorni compariva la morte. Ma prima della morte c'era la convinzione di una missione. Questo rende la sua morte un atto eroico e non fumoso. Le ombre sono/erano prima. Nella guerra. E sarà così dopo.
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Di Carvelli (del 27/08/2004 @ 14:37:36, in diario, linkato 898 volte)
Il 3 settembre alle ore 18 a Roma, Teatro Sala Uno a san Giovanni. Poi brani letti dal libro e attori. Prima una chiacchierata amichevole con FRANCESCA DE SANCTIS (l'Unità) e CLAUDIO DAMIANI (poeta).
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Di Carvelli (del 28/08/2004 @ 20:13:11, in diario, linkato 1309 volte)
Intanto come appare. Di un altro colore, inaggiornabile nella sua forma immaginifica (chissà...dal Mac non si può configurare l'impostazione foto)...la tastiera colma di peli (Mizzi...ricordate? sta qua...al gatta del partito dell'amore...anche detta Cicciolina). Oggi a proposito di Mizzi, anzi ops di Cicciolina, ho visto una Pupa (ragazzi non perdiamo l'uso dei sinonimi...era proprio una pupa da film americano) con scritto sul culo ops sul sedere MAKING HISTORY... ERA UN BEL CULO? Chiede Dario. Sì era un bel culo Dario. Ma il bello erano i luccichini e l'attillato rosso e breve della stoffa. La storia... Magistra Vitae...Eh Dario? Dice che tocca andare.
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Di Carvelli (del 30/08/2004 @ 09:29:21, in diario, linkato 913 volte)
Finite le olimpiadi che rimane? Il calcio. Risposta esatta. E con il calcio le veline e con le veline l'isola dei famosi 2, il grande fratello 5? O 6? O 7? La fattoria, Parmalat, Il Signor B.? Non era meglio rimanersene in vacanza? Vacanza? Si fa per dire. Non rivedremo più un bel film antico alle 18, alle 20,45. Ma quiz, show, quizshow, barzellette. Perché la televisione delle vacanze è più interessante della televisione del lavoro? Ieri grande pezzo di Emanuele Trevi (il manifesto)sulla Szymborska da noi ultimamente amata. Spero di ritrovarlo in internet per citarlo e con esso il rimando ad Adelphiana 3 (la rivista edita dalla quasi omonima casa editrice milanese) che porta un'intervista alla Nostra.
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Di Carvelli (del 31/08/2004 @ 08:51:01, in diario, linkato 1836 volte)

Versi per accendere la normalità
Una antologia della poetessa polacca Wyslawa Szymborska, premio Nobel nel `96, raccoglie mezzo secolo di versi curati da Pietro Marchesani per Adelphi. Rivelando la capacità di guardare con stupore fatti e presenze della quotidianità
EMANUELE TREVI
Un libro di poesia, in mille maniere, è sempre molto di più della somma delle poesie che lo contengono. È un paradosso, questo, che nel corso accidentato della modernità è diventato lo stimolo e il limite di un'avventura formale tanto interminabile quanto ricca di incognite e sorprese. Così, è difficile non trattenere un moto di iniziale delusione quando, aperto il nuovo libro di Wyslawa Szymborska leggiamo sul frontespizio un'impegnativa dichiarazione cronologica: Poesie 1945-2004. La Szymborska è uno spirito così simpatico e originale, dal profilo umano prima ancora che poetico, che questa indicazione di una lunga vita spesa a scrivere (poco) non può che indurre nei lettori già affezionati (sempre di più in Europa e anche molto giovani) un moto di istintiva simpatia. Eppure, mezzo secolo di poesie somiglia, in genere, a una corda d'arco troppo tesa e destinata a spezzarsi, non dal punto di vista della qualità intrinseca, ma da quello della nuova forma che la serie dovrebbe costituire. Di solito, un libro così si affida a un curatore, spesso più giovane, e assolve i suoi compiti di conservazione e documentazione seguendo il filo di un indice esteticamente inerte. Eppure questo Discorso all'ufficio oggetti smarriti (il titolo è quello di una poesia dei primi anni Settanta), splendidamente curato e tradotto da Pietro Marchesani (Adelphi, pp.189, euro 15,00) smentisce come meglio non potrebbe la regola. Perché è la storia di una voce, molto più che la desueta e improponibile «storia di un'anima», che questo libro ci racconta partendo dall'immediato dopoguerra, quando il piglio effusivo e il disordine dei sentimenti della giovane poetessa di Kornik fa pensare a una Marina Cvetaeva guarita per incanto dall'ossessione del sublime; fino a arrivare a poesie (alcune splendide) pubblicate su giornali e riviste polacche nei primi mesi di quest'anno. Anche una scelta molto selettiva, peraltro, non avrebbe dimensioni poi troppo diverse da quella di un'opera omnia, duecentocinquanta poesie suddivise in una decina di smilzi libretti, scritti spiando le minuzie della vita che passa, come ha spiegato la stessa Szymborska in una recente intervista a Federica Clementi. Perché non c'è evento che non possa essere «spremuto, concentrato» in una poesia: e ogni fatto contiene in sé già tutta «una carica che la poesia è pronta e in grado di accogliere» - come si legge su «Adelphiana» n.3, dello scorso maggio. Fin dai suoi primi passi, la Szymborska sembra nutrirsi di una contraddizione molto fertile, senza mai nemmeno azzardarsi a risolverla. Il suo approdo non è necessariamente ai territori dell'informe, come accade in tanta grande poesia del Novecento. Il dettato è limpido e, come se non bastasse, si adegua facilmente, senza tante discussioni, alle istituzioni del codice anche più desuete, con strofe regolari e addirittura rime («da un certo punto di vista è tutto molto semplice», confida sorniona la Szymborska a Federica Clementi, «alcune parole fra loro rimano, altre no»). Tuttavia, queste inclinazioni dello stile non sono la premessa di un ennesimo atteggiamento crepuscolare, come tutto poteva far prevedere: le famose scintille prodotte, come scrive Montale nel suo grande saggio su Gozzano, dallo sfregamento del banale e del sublime. Leggendo questa antologia ci si rende conto in modo sempre più indubbio che la voce che stiamo ascoltando assomiglia a una voce crepuscolare, ma non lo è. Quei congegni verbali trasparenti, in delicato equilibrio su se stessi, tanto da far pensare a certe filiformi sculture di Melotti, ci stanno raccontando un'altra storia, sono la traccia di un'identità sfuggente, poliedrica, contraddittoria e inclassificabile più di quanto potessimo sospettare a prima vista. Il «quotidiano» che questa voce poetica vuole rappresentare, non è, tanto per cominciare, una base solida e rassicurante, e l'identità che si esprime in versi, guarda alla normalità e nello stesso tempo sa che non potrà mai darla per scontata. Nel cuore della normalità, anzi, si accende e si fa desiderare un impossibile evocato con straziante nostalgia, raggiunto solo in pochi e fugaci momenti fuori dal tempo. Come nella splendida poesia che si intitola La memoria finalmente, proveniente da Uno spasso, raccolta del 1967. È un discorso esultante, perché finalmente si è realizzato un desiderio, quello di sognare i genitori proprio così com'erano e come finalmente è stato possibile sognarli «una notte normale,/ da un venerdì qualunque a un sabato». L'immaginazione della sognatrice questa volta ha agito sobriamente, con un gusto alla Kantor, fornendo alle larve dei genitori il minimo sufficiente, un tavolo e due sedie. E così adesso le appaiono: «in sogno, ma come liberi da sogni/ obbedienti solo a se stessi e a null'altro»: dunque belli fino a splendere della loro bellezza, commenta la poetessa con una geniale inversione di concetti, perché somiglianti.

Il nocciolo dell'ispirazione di Wislawa Szymborska ci parla dunque di una difficile passione per questa somiglianza, per questa congruenza di ciò che esiste a se stesso, di ciò che noi tendiamo a dare per scontato e invece, per la Szymborska, è un miracolo che si ripete a ogni risveglio: un dono, uno stupore che ci induce a toccare il mondo, il nostro mondo liso e intessuto di abitudini, «come una cornice intagliata».

Sono poesie, queste, che dunque non fanno che insegnarci, con la loro maniera astuta e ridente, che se amiamo questo mondo, se nonostante tutto è qui che rimaniamo attaccati, ciò accade perché, in maniera altrettanto intensa anche se meno evidente, non smettiamo mai di dubitarne. E quando evochiamo l'assurdo e l'impossibile non è perché la vita non ci basta, ma perché quasi sempre è già abbastanza assurdo e impossibile guardarsi dritti negli occhi e confessarsi, una normale sera di un normale giorno dell'anno, che l'amore è finito: come fanno gli amanti di Senza Titolo - altro capolavoro degli anni Sessanta - che desiderano l'irruzione nella loro stanza di una «cerbiatta repentina». Che, c'è da giurarlo, non arriverà a togliere quei due dall'imbarazzo. (da il manifesto di domenica 28)

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Di Carvelli (del 31/08/2004 @ 08:53:55, in diario, linkato 1064 volte)

Ecco. Una parola. Una di quelle con un significato ma chiaro chiaro chiaro. E invece... Una domanda che ci tormenta è sempre quella della via di accesso alle parole non del loro significato. Per esempio: come si accede all'intimità? Attraverso quale stretto pertugio? Forzando? Naturalmente? Ci si chiede(va) se e perché, come... insomma ci si faceva domande sulla via facile o impossibile che ci conduce all'incontro dell'altro. Magari un ciorpo e magari subito. Senza passare per i convenevoli. Niente strategie. Avvicinati subito da? Una necessità? Una chiarezza? La domanda è insomma perché succede (e a chi e come) che ad alcuni la via d'accesso al corpo altrui è così facile mentre ad altri il corpo (altrui) è interdetto e la via di accesso difficile. Perché le manovre di avvicinamento al segreto della pelle sono truppe d'assalto e ad altri uno sventolio di bandiere? Magari possono sembrare domande stude magari perniciose magari non-domande ma la certezza qua non fa media per cui meglio le linee storte dei punti di domanda che la sicurezza (col pallino sotto) dell'esclamativo. La parola è: intimità. La pronuncia è chiara. Il significato pure. Il punto è: come si crea e forse anche come si distrugge con un movimento incerto della mano o con la stasi o con parole brutte. Non intime. Cosa fa sì che un corpo incontri un altro corpo nella facilità? I racconti che subisco le cose che penso le mie esperienze. Tutto concerta a far risuonare queste domande. Me le devo porre, è bello pormele. Sapere che quella scarsa ora mi ha aperto un forziere e quei mesi mi hanno lasciato alle porte di un segreto sia pur minimo. E non so nulla e non ho imparato alcunché di quella persona. Poi magari c'è pure che uno è portato a farsele queste domande e non farebbe altro nella vita ma questo è un altro discorso. Il discorso qui invece è l'intimità e l'iniziatica via di approvigionamento ad esso. Cosa apre e cosa chiude. Cosa rimanda e cosa si perde nell'istante in cui la porta fu aperta e noi non entrammo.

(photo di Susan Egan da www.nerve.com)

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Di Carvelli (del 31/08/2004 @ 13:04:19, in diario, linkato 1303 volte)

5terre...ovvero le vacanze quando si poteva... E la mia innata passione cimiteriale (ancora mai confessata)

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Di Carvelli (del 01/09/2004 @ 09:31:38, in diario, linkato 851 volte)

Ieri Fahrenheit 9/11.  Grande Michael Moore. Non ne voglio parlare. Vi invito solo ad andarlo a vedere. E di corsa. Ci sono scene di poesia e scene di rabbia di dolore puro di contraddizione di satira. Insomma è un film che non smette mai. Bisogna stare attenti e seguirlo bene nella sua rete di indagini ma anche farsi trascinare nel dolore e nelle incongruenze di quello che stiamo vivendo/subendo al buio della coscienza e della sorveglianza dell’intelligenza.

Nessuno dei due trovò le parole per dire all altro quanto soffriva. Fecero l amore lentamente. Tanto per dare un senso alle loro lacrime. Signori, questo è Jean-Claude Izzo. Vorremmo essere altrove? A Sarzana, al Festival della mente? O a Mantova a quello della letteratura? O ovunque, non qui. In un letto altrove?
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Di Carvelli (del 01/09/2004 @ 14:51:05, in diario, linkato 926 volte)
Ho comprato l'Unità. Non è la prima volta e non sarà l'ultima. Il motivo era un pezzullo su PERDERSI A ROMA e sua presentazione di venerdì sul dorso Roma. Che c'era ed era bello. Ma l'Unità valeva la pena anche per la interessante voce della Marjane Satrapi fumettista personale e geniale ad un tempo e per uno splendido articolo/racconto di Valeria Viganò. Sublime. Il giornale lo vale. E' su Borgna (Eugenio) e mi ha messo voglia di leggere. Uno di quegli articoli che ritagli e conservi. E uno di quei modi di scrivere parlando di sé e dicendo di tutto. Anche bello il pezzo in cultura sui blog a firma Lello Voce (vi dice qualcosa?)
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