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 il letto di angelo... di Carvelli
 
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Dunque, poiché la cosa della quale si parte in cerca non può né deve avere un volto, come riconoscere i mezzi per raggiungerla se non dopo averla raggiunta, e che mai potrà essere la meta se non una meta apparente? Un precettore orientale non parla diversamente, là dove asserisce che il discepolo deve camminare per arrivare, spingersi avanti con la forza del suo spirito al fine di ricevere la sua illuminazione. Il compiersi dell'illuminazione è pari al subitaneo schiudersi del loto o al ridestarsi del sognatore. Non è dato aspettarsi la fine di un sogno, ci si desta spontaneamente quando il sogno è finito. I fiori non si apriranno se ci si aspetta che s'aprano, ciò avverrà da sé quando il tempo sarà maturo. L'illuminazione verso la quale si procede così non si raggiunge. Essa verrà da sé, quando il tempo sia maturo.

Cristina Campo
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carvelli (del 16/09/2004 @ 08:48:39, in diario, linkato 858 volte)

Ieri sono andato al cinema a vedere LE CHIAVI DI CASA il film che Gianni Amelio ha tratto liberamente da Pontiggia NATI DUE VOLTE. La libertà è assoluta tanto da sparire dai titoli di testa (mi sembra) che recitano soggetto e sceneggiatura di...e non c'è il grande e precoce scomparso scrittore milanese. Sono andato a vedere LE CHIAVI DI CASA ma ho deciso di non scriverne. Mi limiterò a recensire il comportamento del pubblico in sala che ha rumoreggiato per tutto il film, parlucchiato, sorriso, sospirato alle battute del bravissimo Andrea Rossi l'attore diversamente abile (così?) della pellicola. Alla fine del film la gente è sfiatata fuori quasi a comando con lo schermo che però poi ha mostrato una specie di trailer/making of del film costringendo molti dei fuggitivi ad una sostaa  lato delle sedie. Uscendo andavo stranamente alla velocità di 30 km/h sentendo che dalle macchine chiuse venivano le note strozzate di una canzone. Poi a casa ancora silenzio e insalata. Il film è tratto da un libro che va letto. Un vero capolavoro come già sanzionarono i premi (che a volte però non fanno certezza). Nati due volte.

E nascono due volte anche i tifosi romanisti. Come sottolineava con acume un articolo recente de il manifesto si è creata una specie di nostalgia gladiatoria di cui è impersonificazione Totti da Porta Metronia con tanto di tatoo. Siamo al delirio. Un delirio che purtroppo dura da un po' e si perpetua. Scrivo ciò non da laziale antiromanista ma da laziale simparizzante romanista come sa chi mi conosce. Roma si sta rovinando in una dittatura, uno schiacciamento un po' mafioso e offensivo che spesso costringe chi non la pensa allo stesso modo al silenzio. Laziali e qualsiasi altro. Non bisogna avere fede, come me. O si finisce vittime di una crociata di antico sapore fideistico e vendicativo. Io ho paura nella mia strada a dire della mia lazialità e non scherzo. Temo ritorsioni anche laterali, complementari. Ma è delirio. Di onnipotenza. Vittimismo. Congiure paventate degli arbitri. Epurazione di giornalisti del Corriere dell Sport. Dittatura. In un paese che già ha come nessun altro 3 quotidiani sportivi (ho scritto 3) ora ha anche un quotidiano della sua squadra di calcio IL ROMANISTA (Giuro. Un quotidiano). Siamo al delirio. Ieri è successo di più di quello che titola (per paura di altre epurazioni?) il Corriere dello Sport. Non il gesto di un folle ma l'ennesima prova della dittatura romanista sulla città, la sua stampa ecc. Cose che fanno male alla squadra e al suo tifo più moderato. Io mi sento romanista come romano e laziale come sportivo. Così dovrebbe essere. Non credo agli sfottò ecc. Ma qui abbiamo passato il segno. Non minimizziamo. La partita non si è sospesa per il gesto di un folle ma per un clima in campo e uno specchio fuori. La Roma subisce spesso arbitraggi negativi e spesso ci sono squadre blasonate (di cui sappiamo i nomi) che ne subiscono meno o diciamolo "paracadutate". Sì. Succede. Ma siamo alla follia. La follia del calcio, della sua eccessiva importanza che si innesta con uan follia collettiva in un culto moderno, una religiosità da crisi delle idee, delle ideologie, delle madonne.

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Di Carvelli (del 16/09/2004 @ 11:39:23, in diario, linkato 824 volte)
André Glucksmann sul Corsera lungo articolo a tesi sulla Cecenia. Da leggere
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Di Carvelli (del 17/09/2004 @ 11:40:35, in diario, linkato 787 volte)

PERDERSI A ROMA.
Guida insolita e sentimentaleAggiorno. Nell'ambito della Notte Bianca alla libreria La Strada di Via Veneto (Roma) puntata-presentazione di PERDERSI A ROMA...quasi sicuro...da decidere l'ora che subordino alle esigenze altrui e di chi transuma per Roma...ops...transita...Poi lunedì h. 9 circa Radio Città Futura (sempre Roma...beh chiaramente!) in diretta in trasmissione 97.7 per i romani www.radiocittafutura.it per il resto del mondo.

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Di Carvelli (del 17/09/2004 @ 14:34:20, in diario, linkato 950 volte)

E purtroppo di mirto manco l'ombra... Ecco l'articolo che vi segnalavo da il manifesto di domenica...

Il colore viola dell'Olimpico
I colpi-mercato del nuovo padrone, il ritrovato entusiasmo della gente, la rivalità con la Roma: la Fiorentina torna ad assaporare la seie A sfidando Totti e compagni nella partita più attesa della prima giornata di campionato. Sfida tra galletti o alleanza rivoluzionaria?
PAOLO MORELLI
E'successo non l'irreparabile, ma qualcosa che ci vorrà qualche mese per riparare. E' facile dire che dovevo essere più prudente, col senno di poi. Certo sembrava strano. Per lui dico, per quello con cui parlo da una vita, per il tifoso viola incallito che però è romano, anzi si sente fino al midollo romanesco, può sembrare strano che dopo le vicessitudini della Fiorentina in questi anni, appena al ritorno in serie A, proprio alla prima partita si ritrovi di fronte la Roma all'Olimpico. E' un caso sorteggiato, sta di fatto che a lui è sembrato strano, talmente che già da un paio di settimane non fa altro che prepararsi spiritualmente e fisicamente alla giornata di lotta e di alleanza, così straparlava.

Eh si, perché, cosa strana, non passa solo le giornate a stirare le decine di sciarpe viola che ha, ma ne ha comprata una giallorossa e ci si è messo d'impegno tagliandola a metà e cucendola con una delle sue. E questa a me è apparsa la vera novità, visto che da anni l'ho solo sentito inveire contro i «noveaux romanists», contro quella forma debosciata di romanismo che, secondo lui, non ha nulla di autenticamente romano, nulla di stoico, appassionato e distaccato insieme.

E' vero che tifo in greco significa fumo, ho pensato io a quel punto ma non l'ho detto, è vero che alla sua incoerenza ormai ci sono abituato, ma mi ricordo perfettamente l'odio coltivato con cura, da quel giorno di poco più di dieci anni fa quando la Roma s'era divertita a mandare i viola in B, in una mai troppo chiaccherata, lui diceva criminale, partita con l'Udinese.

Altra cosa strana che ho notato è che prima, ai suoi amici romaneschi che lo stuzzicavano chiedendogli come mai un romanesco fosse viola, che in effetti non è mica tanto regolare, lui rispondeva a rotazione in tre modi: o che, essendo un uomo di cultura aveva scelto fin dall'inizio la squadra che rappresenta la cultura del calcio; o che aveva scelto quella che era allora la squadra più forte del mondo come ammise anche Feola, allenatore del Brasile campione del mondo; o ultima, e unica vera, che suo padre lavorava all'epoca in un albergo all'Abetone, e siccome la squadra ci andava a fare il ritiro lui bimbo aveva avuto un imprinting alla Lorenz, riconoscendo come mamma calcistica la viola dei Julinho e Montuori. L'altro giorno invece in un bar del rione Testaccio, l'ho sentito rispondere, gonfiando l'amor proprio a dismisura, che essendo nato fiero oppositore di ogni potere in ogni sua forma, ed essendo allora il calcio italiano una monarchia sabauda, si era iscritto immediatamente al tifo viola, che ne era unico avversario. Ma, ha aggiunto, ora che domina un triunvirato di beceri mafiosi, l'arma della lotta è in mano a queste due squadre, cioè Roma e Fiorentina sono le squadre con la più fiera tradizione di ribellione al potere, di più antica data quella Fiorentina, ma provata quella della Roma. E poi ha continuato dicendo che sebbene ci siano annose incomprensioni tra le due tifoserie, lui si sentiva come se dentro di sé le due maglie si gemellassero, almeno a fronte del nemico comune.

E' lì il momento che ho sbagliato, mi sono fidato troppo dell'atmosfera da volemose bene. Al bar, fra i brindisi testaccini mi sono guardato dall'intervenire, ma dopo ho fatto l'errore di dire la mia, io che ormai per colpa sua seguo pure le vicende calcistiche. Ho detto che la vedevo un bel po' differente, soprattutto per quanto riguarda la Fiorentina. Per me, gli ho detto mentre tornavamo a casa, il ricco signore che fa da nuovo padrone, conscio ormai di come lo spostare capitali nel calcio apra vie inusitate di penetrazione economico-finanziaria, vorrebbe entrare nella Famiglia Trimurti, crede di star piazzato bene per saltare la barricata e mettersi dall'altra parte, con tutte le sue amicizie e conoscenze, e invece gli stanno solo facendo fare il galletto. Questo non è certo un rampollo come quello di prima, gli ho detto, ma comunque per ora gli fanno fare il galletto, se lo allevano da sparring-partner, come fanno a turno con chi gli pare. Alla Famiglia infatti piace che ci siano squadre competitive ma non troppo, con le quali allenarsi e divertirsi, se no che gusto c'è a giocare con i poveri negletti che servono solo a dare una parvenza di regolarità numerica al campionato? Così la Famiglia si alleva a turno uno o due galletti da combattimento, gli ho detto, poi quando non gli servono più gli tira il collo e se ne fa degli altri, perché se no ci si annoia.

Ma non ti sembra strano, ho rincarato come un fesso kamikaze, tutta la facilità di mercato che ha avuto quest'anno la Fiorentina, tutti che dicono subito di sì come fosse una loro succursale, mentre la Roma ad esempio deve farsi strada tra difficoltà non solo economiche? Io credo che rischiate di diventare i servi preferiti di Famiglia, ho detto, e che la Roma, per caso, si ritrovi ad essere l'unica vera oppositrice dei potenti, forse solo perché i potenti sono da sempre invidiosi di questa meraviglia di città, ho provato a dire.

Solo alle parole «servi preferiti» mi sono accorto che avevo parlato troppo. In un attimo, senza avvertire, lui è diventato un tizzone ardente, come una furia è partito con una craniata, poi una gomitata e una serie di calci infinita, urlando per strada che ero un pericolosissimo infiltrato, una spia vigliacco e traditore, e che mi spediva all'ospedale per impedirmi di intralciare l'operazione di avvicinamento e futura alleanza rivoluzionaria, per impedirmi di andare allo stadio.

Così me ne sto qui sdraiato, a pensare a cosa ho fatto di sbagliato, a quale cacchio di karma malato debbo l'appaiamento a un imbecille del genere, che si tappa gli occhi di fumo per non accorgersi dell'evidenza.

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Di Carvelli (del 18/09/2004 @ 10:54:29, in diario, linkato 860 volte)

Così, solo a guardare un po' al volo ce n'è davvero per tutti. www.lanottebianca.it Dai musei alla musica e oltre. A me tentava così la lettura di Lodoli e Damiani e Zeichen a San Lorenzo ma anche gli Acustimantico (che inseguo per sentirli da tempo e tempo che congiura) alla Montemartini... Parecchie cose insomma.

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Di Carvelli (del 18/09/2004 @ 16:29:09, in diario, linkato 797 volte)
Avete 60 ore per firmare i referendum sulla fecondazione assistita. Se non lo avete fatto fatelo.
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Di Carvelli (del 20/09/2004 @ 12:21:59, in diario, linkato 827 volte)

O era il giorno? Tanta gente e tanti eventi. Ma alla fine l'evento degli eventi è stato Stefano Ricci e la sua bella mostra nella galleria di via di Panico con una dedica disegnata sul catalogo meravigliosa. Lui è un grande ma voi se non lo sapete lo capirete da questa mini galleria.

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Di Carvelli (del 20/09/2004 @ 14:59:30, in diario, linkato 1118 volte)

da il manifesto del 17 settembre

 

Il lato oscuro della Lupa
L'arbitro ferito al capo, la partita con la Dinamo Kiev sospesa, una punizione esemplare dell'Uefa in arrivo. La maledizione del passato che ritorna. La Roma fa i conti con le proprie ossessioni. E se tornasse a essere solo una squadra di calcio?
GUIDO LIGUORI
ANTONIO SMARGIASSE

Roma giallorossa è attonita, shoccata, il giorno dopo gli ennesimi «fatti dell'Olimpico». C'è chi tace, in lutto. Chi ammette: adesso abbiamo esagerato. Chi intigna: quell'arbitro è un mascalzone, un provocatore, hanno fatto bene, o quasi... Un mercoledì nero per i romanisti, scrive un quotidiano. Iniziato con il nuovo «caso Cassano», proseguito con l'ammonizione a Totti, l'espulsione di Mexes e un primo tempo meritatamente in svantaggio, conclusosi con la faccia insanguinata dell'arbitro Frisk. Un mercoledì che segue, come non vederlo, una catena fatta di tanti, troppi «nervosismi», dalla rissa col Galatasaray alle tante polemiche innestate da Sensi, alle corna di Cassano in diretta tv a San Siro, allo sputo di Totti in Portogallo. Immagini che fanno il giro del mondo, che rovinano un'«immagine» sapientemente costruita grazie ai tanti che - per mestiere ma anche per passione - cercano da tempo di confezionarla in positivo. Ma perché tutto questo? Come è potuto succedere, come può succedere? Nulla è solo frutto del caso, soprattutto quando gli eventi si susseguono formando una catena che si allunga nel tempo. E allora proviamo a ragionare, proviamo a capire cosa c'è nel Dna e nella storia, recente e meno recente, della squadra giallorossa. Solitamente le squadre di calcio sono nate e nascono perché, appunto, c'è gente che ha voglia di giocare a calcio. La Roma no. L'AS Roma nasce per «rappresentare» una città, la sua cultura e la sua identità. Il progetto aveva appunto questo obiettivo: una città, una squadra. Alla Lazio e ai laziali che, rispetto alle altre tre squadre, ebbero la forza per poter dire no, il ruolo dei reprobi, dei refrattari, degli Altri per antonomasia. Non più «gens romana», il copione non prevede che all'interno dell'Urbe possano esserci pluralismo, articolazioni, differenze.

Nel corso degli anni l'industria culturale - che proprio a Roma ha il suo centro - assorbe e amplifica il progetto. L'AS Roma diviene sempre più Roma tout court. I romanisti sono molti (tre tifoserie su quattro unificate, appunto, nel 1927), la massa dei tifosi fa da volano. I film (da Bonnard ad Alberto Sordi ai Vanzina, passando per molti altri), la radio (Orazio Pennacchioni) e le radio (ma quante sono quelle che «usano» il calcio, nella Capitale, anche per fini direttamente o indirettamente politici, quasi sempre di destra?), la tv e le tv: tutti convergono sempre più nell'esaltare il mito-Roma e nel creare il prodotto-Roma. Ha fatto impressione, poche sere fa, sentire Giulio Andreotti in televisione ripetere quasi alla lettera quanto Sordi diceva proprio a lui, nel film Il tassinaro (1983), occasione per una comparsata ammiccante di don Giulio: dopo decenni lo scudetto (quello del 1983, appunto) era tornato a Roma! A Roma, come se la Lazio, che lo aveva vinto solo nove anni prima, non esistesse...

In questa tifoseria già gonfia di orgoglio, celebrata e autocelebrativa, ma a lungo scarsa di vittorie, i trionfi di Cragnotti hanno avuto l'effetto di un elettroshock rivitalizzante: nel 2001 anche la Roma, anzi «Roma», vince. I «gladiatori» tornano, l'Urbe comanda, ecc. La stampa sguazza, le tirature salgono: i tifosi al Circo Massimo (non per i gladiatori, ma per il celebre spettacolo che «non proseguisce») sono - nei titoli, negli articoli - 500mila, un milione, due milioni. L'orgia mediatica pare inarrestabile. Persino questo giornale (vogliamo fare un po' di sana autocritica?) parla di «mutazione antropologica» (de che?), a proposito delle nuove «radiose giornate» dei festeggiamenti; ma tutti i giornali, le tv, le radio divengono un coro senza tregua. L'identità incrocia il mercato: compra la maglietta, non per andare allo stadio ma per indossarla tutti i giorni. Guarda la pay-tv, abbonati a Roma Channel (una struttura in gran parte gentile omaggio della Rai, cioè di noi tutti). Compra e appendi in macchina il pupazzo giallorosso. Compra le stoviglie della Roma, la sveglia della Roma, il caffè della Roma, il casco della Roma, la credit card della Roma. È degli ultimi giorni l'ultima chicca: in un paese già tristemente noto per essere l'unico al mondo in cui escono ben tre quotidiani sportivi, ora c'è un quotidiano (12 pagine!) rivolto solo ai tifosi della Roma che parla solo della Roma. Nel suo entourage anche alcuni «bei nomi» di uomini delle professioni e dell'intelligenza, per i quali quel giornale è un ninnolo, il secondo o terzo o quarto o quinto quotidiano della mazzetta giornaliera, ma che non si rendono conto del danno che fanno nel momento in cui tanta gente comune invece di comprare un quotidiano qualsiasi che anche parla del mondo e dei conflitti che lo attraversano, compra da qualche giorno solo il quotidiano che parla solo della Roma...

L'ipertrofismo identitario del tifoso romanista, la sopravalutazione di sé e della sua squadra, il suo vittimismo, dunque, non possono che crescere a dismisura, blanditi, aizzati, inturgiditi: la Roma è sempre e comunque uno squadrone, non può (ma perché? chi lo stabilisce?) vendere i «suoi» campioni, deve comunque stare «lassù», altrimenti fioccano, ridicole ancor più che vergognose, le interrogazioni parlamentari. Totti è il più grande giocatore del mondo, Cassano è il secondo più grande giocatore del mondo, l'uno è paragonato a Pelè, l'altro a Maradona. De Rossi è il pallone d'oro di domani, per dopodomani già s'intravede Aquilani... Ergo, se gli scudetti, le coppe e i palloni d'oro non arrivano, è colpa certo di un Complotto! Non è vero che in campo Totti è sempre sopra le righe e spesso gli vengono risparmiate le due ammonizioni a partita che meriterebbe. Non è vero (ora inizia a essere evidente) che Cassano è un caso così grave di fronte al quale al tedesco Voeller, poverino, non resta che invocare inutilmente «disciplina» (c'aveva provato anche Capello, ma la Società era stata magnanima...). E che forse vuole andare via, a fare gol e danni a Milano o a Madrid. Non si può scrivere che la squadra e la società sono fortemente ridimensionate, che gli schiaffoni sul mercato estivo sono stati tanti. Né che Voeller è una brava persona ma non è mai stato un grande allenatore. Insomma, non si può dire che l'«Impero» rischia di venire travolto non solo e non tanto dai «barbari», ma anche da quel «male oscuro» che fa parte del proprio Dna, che è la sua forza e la sua debolezza: dover essere non una squadra di calcio, ma il simbolo di una città, anzi della città. Eterna, per di più. E dunque un'ossessione, un dover essere, un destino che nel momento in cui non si avvera diviene una maledizione. E che in ogni caso produce una pressione ambientale terribile, insopportabile, e un parossismo in campo e fuori che tutto il mondo inizia davvero a non poter più sopportare (le sentenze della Uefa lo diranno chiaramente).

Modesta proposta: e se la Roma tornasse a essere solo una squadra di calcio? Se i canali tv e i giornali monotematici spegnessero la luce? Se non fosse più una religione o una fede e neanche una monocultura? Se fosse solo, per i suoi tifosi, una bella passione, una parte della vita, un interesse della domenica e del mercoledì, un articolo al giorno e forse due letti durante il cappuccino e non un film che dura sette giorni su sette, ventiquattro ore su ventiquattro, sogni (in giallorosso) inclusi? Non sarebbe possibile così un approccio più sereno alle vittorie e alle sconfitte che attendono, inevitabilmente, la Roma?

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Di Carvelli (del 21/09/2004 @ 09:20:21, in diario, linkato 831 volte)

Ieri come al solito ospedale ma poi... Prodi e Bertinotti moderati da De Bortoli alla festa di Liberazione. Sono andato. E' difficile dire perché uno come me va ad una serata così. E' difficile dire pure perché no. Stamane ho letto su segnalazione della mia amichetta Raffa (RA) un articolo su cosy. Cos'è cosy? E' la solita cazzata di etichettatura, la solita scoperta dell'acqua calda. L'antitesi del cool. In due parole persone che fanno cose e vedono gente ma sotto l'isegna di un oraziano quiet. Così. Insomma ho scoperto di essere essere stato e sarò cosy. Anche se dall'articolo erano cosy la Margherita D'Amico, Ozpetek... Insomma per essere cosy uno deve avere i soldi, il potere, la fama e... vivere come cazzo gli pare. Indi io non sono così. Così, ops cosy, è chi lo fa per partito preso, per scelta adduttiva non per definizione. Il cosy è un cool che rifiuta di essere tale. Ma perché sembraiamo tutti stronzi dagli articoli sulle tendenze? Boh, così.

Prodi e Bertinotti? Difficile dire cosa è interesse e cosa no in una coppia che si sposa avendo ciascuno la sua gran fetta di tornaconti. Cosa fa di un matrimonio di amore dichiarato l'interesse di un matrimonio? Lo vedremo. Per ora amore e fischi. Sorrisi sornioni e proclami il tutto in salsa gelatinosa. Ma De Bortoli non poteva essere un po' più movimentato. Forse no. Forse la ricetta è: agitare dopo l'uso non prima.

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Di Carvelli (del 21/09/2004 @ 17:46:49, in diario, linkato 841 volte)
Giorni fa da la Repubblica si citava l'introduzione del prossimo Rifkin che rivendicava la speranza di un sogno europeo di contro a quello americano, troppo religioso o religiosamente deterministico dei laici. Oggi stesso giornale Saramago (in forum con Mauri e Eco) scrive parlando di democrazia amputata "...gli elettori vengono chiamati a sostituire un governo con un altro, ma ciò che in realtà non cambia mai, ciò su ci i cittadini non possono incidere, è il concubinato tra il potere politico e il potere economico". Oggi come non mai il mercato domina la politica".
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