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 Il letto di Reykjavìk (altro)... di Carvelli
 
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Una volta mi disse che a New York l’arte del farsi strada dipende da quanto si è bravi a esprimere il proprio malcontento in modo interessante. L’aria è satura di rabbia e lagnanze. La gente non ha pazienza di stare ad ascoltare uno che si lamenta dei propri problemi, a meno che non lo faccia in modo divertente.

Don De Lillo
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carvelli (del 23/01/2004 @ 16:13:58, in diario, linkato 936 volte)

Mentre si assottigliano le speranze di andarlo a vedere con qualcuno (continuo a ricevere telefonate-recensione) credo che per me si avvicini il tempo di THE MOTHER e temo sarà il finesettimana. Ora mi sento di affermare che lo spettacolo prescelto adatto è quello delle 16,30: garantite centinaia di cappellini di lana. Contestualmente e a giustizia della grazia del titolo (a sua volta ingraziosito da moi) suggeritami da una delle recensioni di cui sopra passa ad una breve elencazione delle stesse:

“Insipido… una stronzata… non mi ha detto nulla” (mio fratello, uno di poche parole)

“Un vociare continuo, una delusione, un film per vecchie represse…” (D. anche per lei due parole sono troppe)

“Una tristezza, vedevi tutte queste donne anziane con una malinconia dell’uccello che ti veniva una pena… il film nel complesso è brutto” (S. sempre troppo attenta al pubblico come la sua odiata Amelie)

 …ora tocca a me... senza piastrine e plasma today...

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Di Carvelli (del 24/01/2004 @ 11:08:42, in diario, linkato 1044 volte)
L’altra sera per caso mi sono imbattuto in un discorso d’Alba. Lei generalmente mi piace, dice cose intelligenti (come è prammatica, o pragmatica per chi preferisce sound ancient greek, dire se stangona parla), anche se talvolta mi dispiace quel suo dirlo tutto scomposto e polemico, esagitato ma alla fine dico “ok Alba alla fine è una ragazzona un po’ sciamannona e per questo ci piace” si accalora fa dice disfa polemizza e sempre con questi occhi da invasata. E sia. Ieri parlava e diceva tricche tracche …”paradossalmente” a quel punto si blocca e dice (interrompendo la sciamannata) che tricche e tracche lei poi dice sempre paradossalmente e quindi no non lo vuole usare. Beh a me ha colpito tutto questo autoascolto, anche questa capacità di metterlo in piazza, condividerlo, alla fine mi piace questo di una persona, sapersi processare all’esterno anche come direbbe un mio amico ‘epicizzare i propri difetti’. Qualità rara e fraintesa.
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Di Carvelli (del 24/01/2004 @ 11:14:47, in diario, linkato 2710 volte)

Ero a Bergamo. Lavoro. Ora è un po’. Avrei potuto fare molte cose e invece ne ho fatta solo una. Sono andato a vedere la mostra di Jacovitti che non è stato come ritrovare, operazione nostalgia, tutti i personaggetti dei diari di vitt (quanti!), la genialità delle tavole dell’amore, del kamasutra, dei totaloni pieni di gente che dice mille cose contemporaneamente. Il fatto è, soprattutto, linguistico. E ci risiamo. Jacovitti non è geniale per il tratto, per il segno. Sì sì lo è, chiaro, ma lo è tanto più per questa prosa allusiva, risonante di sensi doppie tripli, battute che suonerebbero freddure a chiunque e in lui no. Genialità pura. Tipo “PER LE NOTIZIE PIU’ FRESCHE NON GUARDO IL TELEGIORNALE, MA GUARDO IL FRIGORIFERO” detta da un tipo con due piedi a forma di tazza da te e cappello rettangolare. Sulle sesso, nei suoi SESSORAMA sorprese. Tipo incontri sproporzionati del terzo tipo tra donne enormi e mingherlini, una specie di ossessione. In una tavola si vede una lei a ciondolare con un’altalena sospesa sulla baiaffa di lui e a fianco PER ME L’AMORE E’ UN GIOCO! La mostra è finita, Jacovitti no. Anche e soprattutto grazie all’impegno di Stampa Alternativa che sta ripubblicando tutto o quasi, anche Monelli aveva iniziato qualcosa…

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Di Carvelli (del 24/01/2004 @ 19:31:49, in diario, linkato 984 volte)
Ecco fatto. Visto THE MOTHER. Ah sì spettacolo delle 16. Uno di parola io (non di parole). Contrariamente a quanto temuto il film non mi è dispiaciuto anzi… Difficile definirlo un capolavoro, ma è bella la sceneggiatura, forse un po’ troppo teatrale come tradizione kureishiana. Niente da dire degli attori o quasi niente di brutto almeno. Magari degli errori di gusto tipo le fellatio (che latinista!) disegnate e la mamma in giro per musei con sguardo indugiante su membro maschile che si sa in arte (non nell’arte di lei, nei suoi disegni) sono sempre un po’ sonnacchiosi. La cocaina non serviva, la canna ci stava. Belle le scene dell’amore anche se i gridolini della figlia isterica… beh…risaparmiabili. Invece lei, la mama, che cambia umore con un bacio di lui e diventa improvvisamente allegra, si confessa, si dichiara, inizia a sognare, poi s’intristisce d’amuri, poi cerca la soluzione personale, la figlia che le rimprovera i suoi fallimenti… Tutto questo mi è piaciuto. L’ho trovato semplice non facile come mi succede leggendo K. Tutto è così chiaro. Sai quando uno ti dice: cerca di essere chiaro e magari parli di sentimenti… Non so chi ma qualcuno mentre K. Scrive glielo ripete. A proposito: nei titoli di coda (sono uno di quelli che se li vede tutti fino all’ultimo runner, forse perché aspetto musica e locations) compare su un bambino non ricordo il figlio di chi un doppio Kureishi (i suoi figli? E tutti e due in un solo ruolo?). Per il resto brutto il finale dal cazzotto al coltello del tentato suicidio, all’addio un po’ facile con lei che se ne va con la valigia…accidenti vi ho detto tutto. Mi sono arrivati personali commenti negativi al precedente post quindi accampo scuse e dico che sì in effetti molti capelli bianchi ma non solo. Non sono alla fine scontento della visione né infastidito dalla platea hold e se melanconia c’è… che dire. Speriamo che se ne vada. Presto e per tutti… de gustibus.
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Di Carvelli (del 24/01/2004 @ 19:36:53, in diario, linkato 950 volte)

Dovrei scrivere di più, dire di più. Lo so. Ma voglio scrivere solo questo. Che mi sta un po’ addosso male questo vedermi attorno tutto un esercizio dell’intimità. Come se si entrasse e si uscisse dalla palestra dei sentimenti con una facilità gratuita.

E’ facile raggiungere l’intimità, farla diventare un discorso senza capo né coda. E poi rimanere nel discorso, nella sua letterarietà. A che serve. A chi serve, rimestare sentimenti con parole e per cosa poi. Ma è che alla fine io sono un capricorno tutto qui (almeno così mi dicono) e non mi piace fare pesi sui sentimenti. Ma ognuno fa come vuole, come sente. Tutto qui per ora.

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Di Carvelli (del 25/01/2004 @ 09:23:35, in diario, linkato 1149 volte)

Provo a ripensare alle nostre adunate sediziose. A un anno di tavolini di bar: troppo casino nella sede della Coniglio editore. Le case. La mia di barbecue al cielo e angustie al piano e quella di Luisa, quadri a parete e colori ovunque. Il salotto buono di Ale e la sua famiglia allargata (esiste esiste, vedete!). E poi da Dario: un corridoio di libri e gatti (2, ma uno per volta; il primo si lanciò dalla finestra in questo anno – scomparso – la vera perdita del gruppo, ma il rimpiazzo sembra buono). Poi aggrappati attorno ad un MAC a fare la grafica. Poi il timone da bar. Poi gli articoli, le interviste e qui un ringraziamento generale: a Radio Onda d’urto e Roggero, Radio K centrale (anche senza esserci poi sentiti), Radio Sherwood, Radio Città del Capo, Radio Popolare e la Barbara Sorrentini, il manifesto (Trotta e Sbarigia), l’Unità (Pallavicini e De Sanctis), Viaggi di Repubblica (Cappelli) e poi la Schimperna e Greg (senza Lillo), Anna Longo. A tutti quelli che stavano per. A tutti quelli che avrebbero voluto e invece (o ma)… A chi non ha voluto. A chi ci ha voluto male (padano!). A chi qui non ricordo. Ai mille collaboratori prestati al nulla o al poco. Agli scambisti (quelli delle pubblicità Next Exit, Global, la Topolin, Minimum Fax, Voland, Nonluoghi ecc. ecc. ecc.). L’ostile era una rivista. Era. Cosa sarà ancora non lo sappiamo. Tramiamo ancora settimanalmente come una malattia, come una terapia, sempre di tavolini e case. Di certo all’inizio di febbraio saremo al RASHOMON a Roma Ostiense a fare un reading  il 7 alle 21 e una mostra di tavole con quelli di INGUINE. Poi vedremo… Intanto www.lostile.org

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Di Carvelli (del 25/01/2004 @ 09:26:11, in diario, linkato 1008 volte)

Lo avete sentito. E’ inutile che mi ripeta. La scena è questa: c’è un pugile alle corde ( o più pugili, per continuare con la metafora triciclo) e l’altro picchia duro tra sfottò e denigrazioni. E’ così è così.

 

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Di Carvelli (del 27/01/2004 @ 07:25:50, in diario, linkato 978 volte)
Non so quanti hanno visto “IN the CUT” ma mi è chiaro perché. Sicuramente per la fiducia riposta in una regista che, per quanto LEZIONI DI PIANO possa definirsi film scorsoio (la questione femminile per esempio) per la capacità di legare ai propri temi con una tensione alla creazione di un assenso di politica correttezza che a molti ha dato fastidio. Ma che fosse un bel film nessuno ha dubbi. Né li ha a maggior ragione chi ha visto UN ANGELO ALLA MIA TAVOLA e aggiungo che io apprezzai quella paradossale fiaba che fu il precedente film indo-americano. Forse tra pochi. C’era qualcosa che bruciava da quelle parti e anche con fiamme imprevedibile, storte. Mi era piaciuto. Ma questa ultima prova è imbarazzante da ogni punto di vista anche del semplice prurito. A parte le inquadrature (stavolta non quelle dell’amore come lo furono contrariamente quelle bellissime di Lezioni) il film è inconsistente. Ridicolo l’abbraccio craniale. E non entro nel merito delle recitazioni ma del perché. Perché fare un film così? Leggo sull’Espresso la recensione di Mario Fortunato e mi piace riscontrare la stessa percepita gratuità anche nel libro ispiratore della Moore. Nella consonanza, mi pregio di pensare che il film trattasi di VERA MARCHETTA DI LIMONE VERDE in cui entra anche la povera (e brava, supponendo un quanto non sufficiente) Nicole Kidman, qui produttrice e si dice attrice fino ad un attimo prima di girare, poi dimessasi. Marchetta forse vuol dire che qualcuno aveva interesse a fare il libro della Moore e a pagare saporitamente una registadonna (ma proprio donna, cfr. Lezioni di Piano) e la registadonna che fa? Accetta.
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Di Carvelli (del 27/01/2004 @ 07:30:53, in diario, linkato 1463 volte)

 

                                                     

In pratica dovrei fare così. Dire… tricchetracche il Presidente ha detto… tricchetracche però Fassino, Rutellone, Dai leva, hanno risposto…. Ma tricchetracche è buono quello, il Presidente. Magari sta pure in qualche libro la logica del panino, dico libro di comunicazione, non libropaga. Bene ha fatto la vicedirettrice che si è dimessa sola al monotono refrain tappetino degli altri “si fa così, che ci possiamo fare”. Siamo candidati per essere con fierezza il paese che ha spalancato le porte al fascismo, chissà se ci riusciamo ancora. In margine dico che secondo me non ci si fa le idee davanti alla tivvu ma forse perché io la guardo così poco. Le idee si formano altrimenti (ideologia, anche se ormai storta, convenienze, umori e qui certo un po’ pesa l’informazione ma solo come risonanza di altro) e con questo non nego la logica evidente di un controllo, sin troppo evidente. Né la stima per chi distona, discorda, dissente. Anche Tosatti che l’altro giorno ha dichiarato che le piccole società della serie A sono sfavorite come sempre e lottano contro il dodicesimo in campo (il pubblico? No, l’arbitro).

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Di Carvelli (del 28/01/2004 @ 07:57:21, in diario, linkato 1053 volte)

Non so se succeda a molti. Io in genere non sono di quei tipi molto mistici che sono pronti a ricadere sul destino il senso del molto che ci accade. Non uno che ricorre alla parola “segni” come ad uno spartiacque tra realtà e immaginario. Eppure non fatico, anche se con serena lucidità, a riconoscere l’intromissione di alcuni elementi di magia nel quotidiano. Magari non sto lì a fare troppe dissertazioni o panegirici ma li registro. Un esempio. Sere fa ero in trattoria con una mia amica e ahimè mi sono lanciato in un discorso assai complesso. Assai, davvero. In tutto. Forma e sostanza. E stavo lì che mi prodigavo nello scegliere gli esempi e le metafore (in certi discordi sono quasi basilari). Mi arrampicavo sui sentieri della scienza come su quelli della storia. Cercavo evidenze biologiche che dessero forza al mio parlare. Si dà il caso che al fianco nostro mangiasse una comitiva di olandesi in visita pastorale parrocchiale con tanto di due pretoni a rappresentanza. Della detta comitiva uno un po’ avvinazzato si sforzava in spagnolo di mostrare tutta la sua gioia per questo pellegrinaggio poi ripiombava sulla sua coda ala vaccinara. Io proseguivo dissertazioni ma arrancavo. Poi la tavola di fianco si sgombrava di fedeli e il tipo di cui ho già detto s avvicinava al nostro tavolo dicendo queste parole (non so se le trascrivo correttamente):

MUY COMPLICADO - MUCHAS PALABRAS – ADIOS.

La casualità è l’obbligo. Lui non sapeva di cosa parlavamo (parlavamo un’altra lingua a cui lo spagnolo è solo lateralmente vicino), noi non sapevamo nulla di lui e viceversa. Probabilmente il terzetto semantico gli era stato suggerito dai fumi dell’alcol. Probabilmente aveva solo dato tromba ad un pensiero ricorrente o estemporaneo fatto sta che le frasi hanno interrotto la difficile esecuzione del discorso, il suo problematico avanzamento e ci hanno gettato addosso l’ombra di una grande verità. Per quanto inconsapevole. Inconsapevole, dico, alla sua e alla nostra riflessione. Ecco questo deve essere: le reciproche finalizzazioni personali si trovano avvicinate così d’improvviso e non casualmente e, come se bramassero risposte, finissero per trovarle sulla bocca di un altro. O ancora: la frase di qualcuno si fa mezzo di questa ricerca di verità. O… boh!

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