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 Il gattolettoamore di Julia... di Carvelli
 
"
La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa.

Karl Marx
"
 
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carvelli (del 18/09/2008 @ 09:56:07, in diario, linkato 642 volte)
La strada è tutta curve. la strada sale e scende su dei poggi e attorno è tutta campagna. La campagna di adesso, di questa stagione. Un po' mietuta e un po' secca (tanti campi secchi di mais: mai visti così tanti). Terra smossa, rossa. trattori che ancora la sollevano. Campagna senza case per chilometri, senza campo al telefonino, senza altre macchine o persone. Un ciclista ma per sbaglio. Cornacchie. Un tempo lì mi ricordavo le ghiandaie, l'upupa. E niente. Appena una gazza. E la strada, un po' rattoppata ma neanche molto e questa stagione bella.
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Di Carvelli (del 16/09/2008 @ 14:08:05, in diario, linkato 732 volte)
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Di Carvelli (del 16/09/2008 @ 12:26:38, in diario, linkato 1478 volte)

Io vi ho amata: e ancora forse l'amore
Nell'anima del tutto non ho spento;
Ma che esso non sia per voi tormento;
Non voglio che alcunché vi dia tristezza.
Io vi ho amata in silenzio, senza speranza,
Di timidezza soffrendo, di gelosia;
io vi ho amata davvero, e così teneramente
Come Dio vi conceda d'essere amata da un altro.


ALEXANDR PUSKIN  (da Viaggio d'inverno nella versione Giudici-Spendel)


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Di Carvelli (del 15/09/2008 @ 15:17:34, in diario, linkato 732 volte)
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Di Carvelli (del 15/09/2008 @ 10:39:55, in diario, linkato 731 volte)

Cosa c'è di lugubre nella morte, chiede.
E quello gli risponde "Il modo in cui viene celebrata dai vivi".
- Vuoi dire "esorcizzata"?
E l'altro insiste "proprio celebrata"...vuole dire che "esorcizzarla" è un pensiero troppo alto e troppo ricavato. L'idea è proprio quella che va celebrata per sentirsi meglio.
- Tipo "mors tua vita mea"?
- Sì una cosa così.
- Dunque non celebriamo la morte ma i morti.
- In un certo senso... ma magari non è stato sempre così e non lo è ovunque. 

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Di Carvelli (del 12/09/2008 @ 09:32:59, in diario, linkato 695 volte)
"Sono uno straniero. Vivo in un paese diverso da quello in cui sono nato e da sempre sono sensibile al problema delle differenze culturali". Così Tzvetan Todorov intervistato da Fabio Gambaro su Repubblica di oggi. Mi domando se si possa condividere la stessa affermazione pur essendo vissuti e vivendo da sempre nella stessa città, nello stesso paese. Eppure in un tempo diverso. Un tempo nuovo. In un paese che ne è uscito cambiato senza aver avuto - io - (non sempre certo) l'abilità e la prontezza di adeguarmi a questi cambiamenti. Viviamo un tempo diverso. E siamo stranieri del nostro paese senza la forza che si sprigiona nell'adeguamento, nel conoscere, nell'essere davvero stranieri in terra straniera. Che comunque è sempre un tema culturale, anche questo. E temporale.
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Di Carvelli (del 11/09/2008 @ 16:02:01, in diario, linkato 818 volte)

www.zoemagazine.net

La classificazione dell’eroe per tipo
di Roberto Carvelli


Il padre di Antonio

Di tutte le cose che potevano accadere alla vita di quest’uomo che è la mia, la peggio che poteva succedere è che ti nasce un figlio con l’handicap. Non lo so cosa ti può succedere che è peggio. Che non hai studiato che i professori parlano con quei paroloni, che non ci sta niente e capisci una cosa per l’altra, che dici proprio a me, che ti monta una rabbia che spaccheresti ogni cosa che questa cosa proprio non la capisci: che ti è nato un figlio anormale. A certi, certe cose non hanno da succedere. Una famiglia ricca, può essere. Ma uno che sgobba per due soldi no. Che devi fare? Lo tieni a casa e cerchi di lavorare più che puoi perché pensi “io muoio e a quello chi ci pensa? La sorella?” e lo sai che la sorella non ci penserà. Così lavori e ti spacchi la schiena ore. Ti svegli e lavori. In mezzo c’è solo il materazzo. E dopo? La cassa come per tutti. Di legno come tutti. Le immaginette, le preghiere, i fiori e basta. Questa è.


Io zingaro

Io zingaro io cassonetti tu butta e io raccoglie, io zingaro tu odia ma io serve: tu televisore plasma io tuo vecchio synudine, tu aspirapolvere nuova io tuo vecchio folletto; io zingaro tu butta e io raccoglie e domenica vende mercato; tu dice io inutile ma io serve, se tu lascia nessuno prende strada sporca gente lamenta e invece io prende e vende; tu butta mobiletto vecchio io vende tu lascia monitor computer io carica su furgone e vende; tastiera radio giradischi macchina moka tu butta io non butta; io prende e dopo strada pulita. Tu dice io mangia alle tue spalle nooooo tu butta pane e io pulisce e mangia. Tu butta e io raccoglie.



Ehi sono Serena

Studio da infermiera, tiro cocaina, sono sagittario. Mi tamburellano in mente queste tre frasi. Le dico che quasi non mi sembrano mie. Cerco di pensare alle persone a cui le ho sentite pronunciare. O era una sola? A quanto ne so potrebbero essere tre persone o una. Un ricordo sbagliato.
Studio da infermiera
tiro cocaina
sono sagittario
Da come suonano potrebbero essere un rap. Forse solo un rapper può inanellare tre sequenze così dissonanti. Ma a questo punto sarebbe una rapper donna. Conosco rapper donne?
Che vuoto! Da quando è così? Da quando cerco di mettere insieme ricordi confusi? Provo a cantare a mente i miei tre versi.
Studio da infermiera
tiro cocaina
sono sagittario
Mi suonano. Li ripeto. Più e più volte. Ripasso nella mia agenda mentale la successione delle uscite serali per vedere se c’è un concerto, un gruppo rap. Vado in un negozio di dischi specializzato e chiedo. Esistono rapper donne ma nessuno sa rintracciare le mie tre frasi in un pezzo hip hop.
Per giorni continuo a rappare.
Studio da infermiera
tiro cocaina
sono sagittario
Se solo ricordassi un particolare, qualcosa che mi aiuti a dare un nome e un giorno a tutto questo.
Ehi sono Serena studio da infermiera tiro cocaina sono sagittario. Sì potrei essere io. Se ci metto il nome davanti pare che sta parlando di me. Non è che sono una rapper e non lo so? Ehi sono Serena.



Il figlio di Bruno

Se fossi stato calciatore avrei potuto aiutarti. Bastava che sapessi appena palleggiare. Con un po’ di fortuna e una buona scuola calcio saresti stato mio figlio, il figlio di. Un calciatore come papà. La curiosità del cognome e avresti avuto quell’attenzione che altri ragazzi possono solo sognare. Già solo quello ti avrebbe aiutato. Il minimo per entrare in una squadra pure piccola, farsi notare, farsi prendere come il figlio di. Un motivo per far uscire il nome della squadra sul giornale e saresti stato famoso pure tu. Forse è stato il confronto con papà. Forse non hai creduto abbastanza in te. Sono sicuro che non ti ricordi ma una volta venni a vederti giocare con i tuoi amici: una partita di un torneo amatoriale. Nell’altra squadra, non potevate saperlo, c’erano finti amatori, veri campioni anche se di categorie inferiori, gente di mestiere ma sfortunata o prestata a un torneuccio del giovedì sera. Perdeste, e anche di molto, ma tu segnasti quattro gol da fuoriclasse. Mi ero illuso che potesse essere il segno di una vocazione e invece il giorno dopo, come se volessi punirmi per il mio essermi fatto abbagliare dal tuo talento di una sera, mi annunciasti che avevi fatto domanda per la scuola di polizia. Io che ti avevo visto sudare e pagare il diploma me ne feci una ragione. Poi fini quell’amore come te ne erano finiti altri. Infatuazioni passeggere, fissazioni. Oggi non so più che farai, quanti biglietti da visita col tuo nome, quante nuove società, imprese commerciali. So che non sei quello che voglio ma so che sei mio figlio. Nient’altro. E finalmente mi basta. 
 

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Di Carvelli (del 11/09/2008 @ 11:35:34, in diario, linkato 837 volte)

"Mi piace pensare di avere tre relazioni: con il mio spirito, con gli altri e con me stessa" dice Alanis Morissette (a Gaia Piccardi - Magazine del Corriere di oggi). Ieri cinema. L'autre.

Nonostante la sempre affidabie, critica negativa di un mio amico. E invece il film mi è piaciuto. La protagonista (Coppa Volpi a Venezia) è bravissima e il film ha immagini davvero suggestive. E' la storia di un'ossessione. Qualcuno rideva (la mia compagna di sedia, per esempio). Cosa fa ridere nelle ossessioni? Ci deve essere qualcosa di ridicolo. Quello che a me sconcerta forse per frequentazione o precipitazione, altri lo trovano comico. Forse è comica sì la nostra disperazione vista da lontano o da fuori. Non siamo tutti uguali. Noi e gli altri. Gli altri. Noi e gli altri. Ecco fatto. E il terzo che ci cammina accanto (era Eliot?). Questo fatto dei numeri mi affascina sempre: noi e gli altri, io e te, noi, io. Quanti siamo? Siamo tanti? Siamo uno. Qual è il concetto sovrabbondante? Quale l'eccesso o la errata diminuzione. Quanto e quando siamo soli? Veramente soli. Giorni fa nel blog amico malacarne.splinder.com/ ho trovato questo post e ci ho pensato per un po'

venerdì, 09 maggio 2008

Mi ha detto ieri un amico: "E se aprissi un locale unicamente per persone sole?"
"E come pensi di fare?", gli ho domandato.
"Entrano solo uomini soli e donne sole e siedono ai loro tavoli o dietro al bancone a bere qualcosa, da soli, liberi di stare soli per tutto il tempo che desiderano, senza che nessuno glielo faccia notare. Poi pagano e da soli escono, come sono entrati". Quindi, dopo essersi preso del tempo per riflettere, ha aggiunto: "Chiaramente lo gestisco da solo...".


Sarebbe un'idea crearli e anche proporre dei viaggi su questa base. Anche se il viaggio offre sempre questa opportunità di svuotamento, di affollamento senza parole. Di fughe ciclistiche solitarie, stacchi dal gruppo.
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Di Carvelli (del 10/09/2008 @ 09:16:43, in diario, linkato 883 volte)

 

 

 
Tristia
 
Io so la scienza dei commiati, appresa
Fra lamenti notturni a chiome sciolte.
Stan ruminando i buoi, dura l’attesa:
ultim’ora di veglia delle scolte
cittadine. E mi piego al rito della notte
del gallo, quando – in spalla il carico di strazio
del viaggio – guardavamo lontano umidi occhi,
e pianger di donne al canto si univa delle muse.
 
Chi, alla parola “commiato”, sa quale
distacco giungerà per noi fra poco,
che cosa presagisce lo strepito del gallo
mentre la fiamma arde sull’acropoli,
e perché all’alba di una vita nuova,
mentre il bue rumina pigro nell’andito,
il gallo, araldo della vita nuova,
sulla cinta muraria le ali sbatte?
 
E amo il filato, amo la tessitura:
il fuso ronza, va su e giù la spola.
Guarda: scalza, leggera come fosse peluria
di cigno, Delia già incontro mi vola!
O gramo ordito del vivere nostro,
che povera è la lingua della gioia!
Tutto fu in altri tempi. Tutto sarà di nuovo.
Solo ci è dolce l’attimo del riconoscimento.
 
Ma così sia: giace in un terso piatto
D’argilla una traslucida figura,
come una pelle stesa di scoiattolo,
e a scrutare la cera una ragazza è curva.
Non sta a noi trarre auspici sul greco Erebo:
la cera è per le donne ciò ch’è il bronzo per l’uomo.
Noi sfidiamo la sorte da guerrieri;
destino è ch’esse traendo auspici muoiano.
 
1918

 

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Di Carvelli (del 09/09/2008 @ 14:46:27, in diario, linkato 725 volte)
Non so se vi capita, vi è capitato. (Forse vi capiterà). Che qualcuno stigmatizzi qualcosa con un "Non è successo nulla". Magari dopo averti urtato (macchina o piedi che sia). "Non è successo nulla". Come a troncare subito qualsiasi discussione e prima di (al posto di) chiedere "scusa". Spiacevole? Sgradevole? Diffuso! Specie a Roma (molto a Roma). Non so se voi avete esperienze di un Altrove. "Non è successo nulla". Per tagliare qualsiasi diritto accampabile e prima che ci si senta costretti al necessario e sorgivo "scusi" o "scusa". Anche tra amici succede, infatti. E c'è una versione anche più sgradevole che parte subito in quarta e rincara spazientito. "Non è successo nulla". Che vuol dire "nulla". Anche da un punto di vista ontologico. E chi può decidere le conseguenze di un'azione che non abbiamo provato se non nell'altro senso? Ma si dice. E anche spesso.
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