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 il letto open di Sogno... di Carvelli
 
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Com'è, o Mecenate, che nessuno vive contento della sorte che la ragione gli ha dato o il caso gli ha gettato davanti, e tutti invece non fanno che esaltare chi persegue una vita diversa?

Orazio
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carvelli (del 09/02/2010 @ 14:31:15, in diario, linkato 781 volte)

Settimane fa mi sono imabattuto in una lettera con risposta della posta di Umberto Galimberti su D di Repubblica che dopo aver declinato a rispondere sul particolare di una relazione amorosa e aver citato l' Ars amandi psychoanalytica di Hans Sachs, allievo di Freud, si domanda attraverso di lui "che cos'è la vita a due? Una combinazione di forze per sopperire alla propria debolezza, un'opportunità per possedere una casa propria, una modalità socialmente accettata per allontanarsi dai propri genitori, una fuga dalla solitudine, un effetto indotto dalla fascinazione o dall'ammirazione, un sedativo contro l'eccesso passionale, un'anticamera della separazione, un espediente per sentirsi normali, una casa di piacere, una camera di tortura? Probabilmente tutte queste cose diversamente dosate a seconda dei casi. Ma se il rapporto si fa troppo problematico o soffoca nell'intreccio di troppe domande che lo assediano senza dargli respiro, allora conviene dire addio, senza conferire al congedo una drammaticità troppo solenne. Anche perchè frequenti sono le insoddisfazioni nelle cose d'amore, come scrive sempre Hanns Sachs, "un destino comune non diventa eccezionale per il solo fatto di esserne colpiti personalmente". Quando le relazioni non funzionano i segnali ci sono e si fanno sentire nella perdita della tranquillità interiore, che va ascoltata prima che la relazione distrugga il sistema nervoso e poi quella cosa che lei chiama amore".

Mi ha fatto pensare a una frase di De Lillo che campeggia qui a fianco random rispetto al lavoro. Insomma credo che lamentarsi in modo divertente sia quello che quantomeno dovremmo chiedere a chi si sente eccezionalmente male. Per qualsivoglia ragione. 

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Di Carvelli (del 10/02/2010 @ 09:10:08, in diario, linkato 1603 volte)

Premetto. Che ho sempre difeso Muccino-regista contro Muccino-autore (non perché non ci piace il mondo che racconta non possiamo apprezzarne le doti). Che in fondo un regista veloce fra tanti registi lenti...non che bisogna fare le maratone ma... ha un suo perché, il ritmo, la buona direzioni degli attori, una certa fluidità nel girare e montare. Che vado al cinema osservando indistintamente basso e alto e facendo a mente una mia classifica per genere che non mi impedisce di apprezzare il buono in entrambi. Che quando ho sentito parlare bene di questo film ("nonostante non ci piaccia Muccino") non mi sono identificato neppure in questo atteggiamento salvifico. Che quando ho visto che il mio critico di riferiemnto Roberto Escobar sul domenicale del Sole lo stroncava mi sono trattenuto dal leggerlo (qualche volta è capitato di essere in disaccordo). Che all'entusiasmo di altri recensori, invece, non ho fatto seguire entusiasmo mio. Che, insomma, mi sono tenuto ad equidistanza da tutto e tutti. Anche da me stesso.

Prima i salvati che i sommersi. La Puccini (attesa alla prova difficile del dopo Mezzogiorno) non ha fatto rimpiangere l'attrice che l'ha preceduta. Anzi. Un'aria infantile ma buona, isterica ma comprensiva donano al suo personaggio la forza delle variabili che in altri sfuggono. Con lei la canzone di Lorenzo Jovanotti e solo l'unica altra nota davvero positiva del film ma ero così irritato da non avere voglia di attenderla tanto mi sono detto...e infatti l'ho ascoltata stamane in navetta.

I sommersi. Non so se sia educativo un film come forse non lo è neppure la televisione e quindi non farei questioni di lana caprina se venga prima il male tv del male grande schermo. Di certo se avessi un figlio temerei a equidistanza che veda e approvi i temi di questo film come di tanta tv. Ma lascio ai sociologi e agli psicologi l'ingrato e inane compito e dico. 1 il personaggio interpretato da Favino è una macchietta e lo è anche quando non vuole esserlo. 2 il personaggio "sua moglie" è imbarazzante e mi fa dire (non solo per lei) che il film possa essere in effetti raccontato come biecamente maschilista se non misogino. 3 Che molti matrimoni falliscano ci sta ma che falliscano tutti nei film di Muccino... 4 Che il personaggio del riemerso da viaggi tossici sia una macchietta tout court lo lascio alle leggi della fisica più che alle interpretazioni della critica (che non esercito non essendolo io né rappresentandolo questo sito in sé). 5 Se due su due aspettano un figlio (un figlio...che sono due... desiderati) ed entrambi nati da rapporto extra (intra nel caso di Accorsi) coniugali rende la scena del racconto una barzelletta che così dovrebbe iniziare "ti do due notizie...questa è quella bella, sono incinta....quella brutta è....che non è tuo" e avrei aggiunto risate finte che tanto in sala tutti ci sbellicavamo lo stesso nonostante il preteso pathos) 6 A una che torna dall'obitorio per andare a vedere un amico che si è tolto la vita il compagno chiede "come è andata?"... e come deve essere andata? 7 test tuscolano...a proposito di Santamaria aspirante suicida...a un certo punto il pubblico incitava... daje ammazzate! (inviterei Muccino a mandare un visionatore come si fa nel calcio all'Atlantic). 8 se i personaggi sono ben disegnati narratologicamente alla moglie di Favino non dovrebbe toccare l'odio del suo nuovo compagno. Ingiustificato, ridicolo, fuori tono anche rispetto alla delicatezza (malata) di lei e risiamo a un'immagine fortemente problematica della donna 9 il battito del cuoricino all'ecografo è un po' a rischio (si frequentano da un mesetto)...ma passiamola 10 Cocci finisce in una spiaggia esotica...finisce? non so che augurarmi, augurargli. 11 ma quando nasce (si vede nascere) un bambino si gioisce come ad un gol mentre con l'altra si riprende con la videocamera (ammetto il mio debole senso materno e la poca tifoseria)? 12 il cinema muscolare di Muccino ci ha abituato (troppo) all'isteria, alle reazioni, al lancio dei telefoni (saranno sponsor i vari venditori di cellulari?) tanto che ora raggiungono l'effetto opposto (in sala tutti ridevano al momento sbagliato e questo mi ha dato la certezza che c'è un problema di comunicazione). LAST. La famiglia felice Accorsi-Puccini potrebbe salvarci ma siamo così sommersi che alla fine è meglio nuotare a riva delle nostre semplici (che semplici non sono) vite.

Concludo. Il problema grave di questo film mi sembra proprio nelle funzioni. E' satira senza far ridere e dramma senza far piangere. Inoltre: un film per sentire una canzone è un po' poco. specie se bisogna attendere due ore. farsi intristire sulla impossibilità di un amore non credo che sia benefico. In una vi invito al paranormale forse la vita vi si allargherà di più. Spaventosamente.

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Di Carvelli (del 10/02/2010 @ 11:37:46, in diario, linkato 695 volte)

Il racconto si intitola STORIA DI UNA RUGA ed è uscito sul numero 82 di TRATTI.

tratti 82

www.mobydickeditore.it/rivista.html

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Di Carvelli (del 11/02/2010 @ 08:34:53, in diario, linkato 635 volte)

Ancora soldi mal spesi quelli per il film di Verdone "a parte" recensisce il mio amico G. "per il cu-o della Chiatti". Vorrei altrettanta schiettezza dai nostri massimi recensori. Vedere per colonna sonora, per ecc.

E' vero: una pubblicità radiofonica, quella del cuoco della nazionale, elide l'iniziale di (F)RUTTA...ma come si fa a mandare in onda un errore con tale leggerezza.

Finito Accabadora della Murgia. Uno dei libri in lettura contemporanea.

Il resto dopo.

 

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Di Carvelli (del 11/02/2010 @ 09:23:09, in diario, linkato 635 volte)
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Di Carvelli (del 15/02/2010 @ 08:55:25, in diario, linkato 615 volte)

Oggi. Ti penso oggi. Oggi che forse non hai nulla ma proprio nulla da fare: E chissà se hai il tempo di ricordare che oggi, oggi...dico ti ricordi che giorno è oggi? O forse hai perso quella tua mania assurda per le ricorrenze, le date, i nomi, i compleanni, gli anniversari. Chissà. Ti penso oggi. Se ti ricordi perché, bene... se no fa lo stesso.

">.

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Di Carvelli (del 15/02/2010 @ 17:24:16, in diario, linkato 697 volte)
Riaggiorno la sezione foto casa. Me lo ripromettevo da tempo. Nulla finisce. E non si può dire né che nulla si ricrea, né che in fondo non si distrugga...a lungo andare. Però. Continuo anche ad aggiungere nella sezione "letti di amicizia" le immagini dei vostri giacigli. Grazie a chi le ha mandate, pubblicate e non. Non ancora.
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Di Carvelli (del 16/02/2010 @ 08:57:37, in diario, linkato 629 volte)

Inizio con la pubblicazione odierna un testo a puntate dal titolo completo Vi espongo i fatti. Lo aggiornerò a cadenze irregolari.

 

Amami una manciatina

 

Quello che so di Giuseppe e Anna e che qui riferisco lo so in massima parte per esperienza diretta. In parte per l’inevitabile intermediazione di una comune amica.

In definitiva, penso, il fatto dell’amore è un fatto non di soli ingredienti ma di quantità. Non scrivo “posologia” perché non vorrei che voi pensaste che lo dico per cercare facili parentele con la medicina e sottintendendo insanità o problematiche. Forse non lo scrivo perché lo penso. Ovvero lo rimuovo. Forse no. Forse è solo che mi piacciono metafore culinarie. Una scelta di campo un po’ leggera, un modo di partire senza imbarazzi, giudizi perentori.

Se Anna avesse dovuto quantificare il suo bisogno d’amore avrebbe detto “amami una manciatina”. Nelle ricette è scritto Q.B. Quanto Basta. Eppure Anna, decisamente dotata di e portata a un parlare meno specialista, avrebbe preferito l’eloquio di qualche vecchia nonna o di un manuale di cucina più esperienziale, senza tecnicismi. Amami una manciatina. Ecco cosa chiederebbe Anna a chi dovesse mai avvicinarla con intenzioni affettuose. Ma non è cosa che dice, né che confessa a nessuno. Né che scriverebbe nella pagina di un suo diario. (Ha un diario Anna?)

Amami una manciatina. Anna vorrebbe che l’amore la raggiungesse a velo, come lo zucchero. Un gesto della mano che sparge un po’ di pan grattato e fa la crosta in superficie. Deve trattarsi più che di un bisogno contenuto di una cautela. Quando e finché Anna pensa all’amore in una forma così leggera si sente sicura, sente di non dover temere nulla. Insomma, solo così Anna è tranquilla e può pensare ora – almeno per ora – all’amore in una forma non dolorosa.

 

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Di Carvelli (del 17/02/2010 @ 08:40:04, in diario, linkato 620 volte)

Prima di andare un po’ più avanti devo raccontare un fatto successo appena qualche tempo prima che Giuseppe e Anna si conoscessero. Un fatto piccolo e apparentemente ininfluente. Una sera Anna è uscita con un’amica – una cosa che, in verità, non le capita da un po’ – perché ha deciso che non può stare seppellita a casa indefinitamente. Quest’ultima asserzione che lei riverbera come un assioma deve essere una frase che qualcuna o qualcuno le ha detto con premura e lei ora ripete un po’ oggettiva. Una verità indiscutibile che ora è lì a fare da semplificatore, una specie di invito all’abbandono di questa lunga penitenza.

Così ecco Anna e Laura – questo il nome dell’amica – che escono. Il pretesto è un concerto in un locale minuscolo a Prati – non l’ho ancora detto ma questa storia si svolge a Roma e Prati, per chi non lo sa, è un quartiere a ridosso del Vaticano –  dove si sono date appuntamento Anna e Laura. Il concerto non è nulla di straordinario e forse interessa loro solo perché qualcuno della band è amico alla lontana di qualcun altro di cui è amica alla lontana Laura. Anna è andata un po’ per sfida con se stessa, come già detto, e comunque non con una passione per il genere musicale (già, qual è il genere musicale del concerto in questione?) della band. Neanche Laura può essere raccontata come un’appassionata o esperta di musica.

 

Fuori dal locale, che non è stato difficile trovare, salvo una estenuante – per Laura – ricerca di parcheggio, ci sono le due donne e un gruppetto di persone che fumano spegnendo i mozziconi in un posacenere alto di alluminio, troppo elegante per stare all’esterno. Laura è arrivata per prima, dieci minuti soli prima di Anna, abbastanza per farsi dare noia da un ragazzo con una bella parlantina ma un po’ ottuso che le ripete in continuazione le stesse cose (“aspetti qualcuno? Entri o aspetti qualcuno? Ci vediamo dentro o aspetti ancora qui?”) annullando la capacità dialettica di cui ha dato prova un minuto prima. Laura deve aver pensato che a rovinare tutto spesso basta una sola parola. Una sola parola contro dieci buone. Ma è un discorso che ha a che fare con la soglia di sopportazione di ognuno. La sua, la sua di questo periodo, è bassa davvero, pensa, e fa in tempo a veder spuntare la sagoma sul marciapiede di Anna per tirare una boccata d’aria. E una di fumo, prima di spegnere nella sabbia grigia del grande, sproporzionatamente bello, inutilmente elegante posacenere di un locale romano più dimesso dentro che fuori.

-        Scusami ma mentre mi preparavo a uscire mi ha preso male. Volevo restare a casa ma mi dispiaceva darti buca all’ultimo. Ci ho pensato, sai? Forse ho sbagliato, è ancora presto per uscire. Non credo sia una buona idea. Ti dispiace se andiamo a mangiare una pizza o a bere una birra veloce in un pub e ce ne ritorniamo a casa?

Laura la guardava con un misto di compatimento triste e responsabile. Pensava che, forse, se Anna era uscita era solo per la sua insistenza e ora aveva un’aria colpevole mista all’ansia di salvare una uscita nata male.

-        Entriamo un attimo, dài. Se non ci piace riusciamo e ce ne andiamo.

-        Non mi sento…

-        Un attimo solo, dài?

Laura tutto sommato era propensa a dare un’altra possibilità al tipo che aveva tentato di sedurla in un modo tra l’inopportuno e il divertente. Ma alla nuova negazione di Anna si era decisa ad assecondare l’amica e ora cercavano qualcosa lì intorno, proprio per non privare di senso la snervante ricerca di un posto per la macchina.

 

Dopo erano davanti a un pub dall’aria non esclusiva né elegante. Entravano senza pensare ad altro che a prendere quella birra veloce e via: ognuno verso casa sua. Per Laura una serata comunque passata fuori dalla monotonia domestica; per Anna la prima sera fuori casa da tempo. Già: da quanto tempo?

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Di Carvelli (del 17/02/2010 @ 10:36:44, in diario, linkato 599 volte)
La mia ossessiva amica nonché collega me l'ha propinata in ogni salsa ieri...la sua malattia a scoppio nostalgico-malinconico. Poi, come se non bastasse, in macchina (che già mi pesa scrivere la parola se guido io) sotto una pioggia a dirotto, il tergicristallo e il suo sinistro cigolio, la gente che prova a infilarsi ovunque, la cortina di fumo del sigaro...dopo tutto questo e qualcos'altro che non ricordo, eccola di nuovo. Come un segno. Ossessivo pure lui
">.
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