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 il letto di Silvia... di Carvelli
 
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Proverò a riscrivere tutta la vita non dico lo stesso libro, ma la stessa pagina, scavando come un tarlo scava una zampa di tavolino.

Luciano Bianciardi
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carvelli (del 08/04/2010 @ 16:05:51, in diario, linkato 669 volte)
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Di Carvelli (del 09/04/2010 @ 12:58:00, in diario, linkato 687 volte)
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Di Carvelli (del 09/04/2010 @ 14:58:41, in diario, linkato 710 volte)

La parola di oggi è  Ungulato*. Chiedo sostegno a wikipedia (in nota) per dire che per me, che non so esattamente chi è ungulato e chi no a parte l'elefante, la parola ha il senso di un suono. E il suono mi dice nell'ordine: foresta, confusione, terra, scalpiccio insistente. Non so quale altra parola contiene questa stessa famiglia di variabili. Non me ne viene in mente nessuna per cui rimango all'ungulato e vi dico che mi hanno sempre destato brividi di insoluto più che di assoluto le famiglie degli animali. Quei complicati teoremi di sottopartizioni. Cionondimeno sono vivamente interessato dalla polemica/diatriba post/antidarwiniana che si sta consumando e ho letto con piacere ed entusiasmo questo articolo che metto in nota**. L'entusiasmo nasce dalla mia convinta vicinanza a Darwin e all'evoluzionismo. Da qualunque vertebra o parola o costume lo si guardi. Compreso questa camicia che ora indosso e che anni fa mai avrei messo.

*Gli Ungulati (dal latino ungulatum, ossia "provvisto di unghie" -intese come zoccoli-) sono un gruppo di mammiferi dal rango attualmente non ben definito, ma comprendente in generale quegli animali che appoggiano il proprio peso corporeo sulla punta delle dita, che hanno perciò sviluppato le unghie a guisa di zoccoli per proteggersi dall'usura. Oltre agli zoccoli, altre caratteristiche comuni agli ungulati sono la riduzione dei canini, i molari di tipo bunodonte (di forma appiattita) e l'irrobustimento dell'astragalo.

**Il titolo è “Colleghi scienziati non sparate su Darwin” ne è autore Luca Luigi Cavalli-Sforza. In rete non lo trovo per cui lo cito e basta. 

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Di Carvelli (del 12/04/2010 @ 10:21:03, in diario, linkato 662 volte)
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Di Carvelli (del 12/04/2010 @ 10:22:35, in diario, linkato 656 volte)

Non è un bel modo di fare: girarsi a guardare. Con le persone, neppure, è bello da fare. Devi imparare a farne a meno, mi dico. Conto fino a 10, il tempo che si allontanino, che passino. Non è bello mi dico, fissare la gente. E leggere sui muri. Che magari sei lì che guidi. Non è un bel modo di fare. Ieri a Firenze ho letto questa scritta senza poterla dimenticare.

SCARPE BIANCHE E VANITA'

Anche oggi andavo in moto e leggevo. Ogni giorno è così. Per esempio c'è questa famosa Laura, di cui vi ho già scritto, nel mio quartiere... nel mio quartiere ci sono molte Laure (pure una mia amica) ma c'è questa, credo una sola a cui si rivolge l'amore di qualcuno che si dice "NON MALATO MA INNAMORATO" perché è vero che quando ti si accolla uno o una pare proprio "malato/a". Anche oggi ho letto. Purtroppo. Non fate come me. Non leggete. Oppure sì, decidete voi...

FROCIO KI LEGGE

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Di Carvelli (del 12/04/2010 @ 15:00:14, in diario, linkato 714 volte)

Trovo e rubo i seguenti versi da questo articolo di Daniela D'Angelo
http://www.silmarillon.it/default.asp?artID=123&numeroID=11 

I versi sono della poetessa argentina Alejandra Pizarnik.

Qui viviamo con una mano alla gola. Che nulla è possibile già lo sapevano
gli inventori di piogge e i tessitori di parole tormentati dall'assenza.
Perciò nelle loro orazioni c'era un suono di mani innamorate della nebbia.
 
°°
Questo lillà perde i fiori.
Da se medesimo cade
e cela la sua antica ombra.
Morirò di cose come questa.
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Di Carvelli (del 13/04/2010 @ 10:41:18, in diario, linkato 708 volte)

Ne so poco. Già, eccomi, sono io: quello delle premesse. Già, proprio io. Ma in questo caso, mai come in questo caso, mi sento nel giusto o tollerato. Avete presente Raymond Carver in quel racconto Di cosa parliamo quando parliamo d'amore? Non ricordo neppure se cito bene ma c'è una cena o un pranzo e tutti parlano. E tutti parlano di amore senza tirar fuori una definizione, scioglerne il rebus. Io ieri l'ho fatto. Prima c'era stata una telefonata di un'amica in lacrime. Poi una con una collega. Poi di nuovo questa amica. Poi un amico a voce. Poi, oggi, una serie di sms e questa è una storia mia che apro e chiudo qui. In definitiva penso oggi un quarticello dopo le 10 che l'amore sia l'unica risposta a tutto quello a cui non sappiamo dare una risposta. Penso questo dopo aver sentito una delle persone di cui sopra dire di un suo ex che si è fidanzato con una persona egotica come lui (e io mi sono ricordato di aver visto convolare insospettabilmente a nozze due analoghi soggetti egotici, felicemente nonostante le perplessità dei loro amici) che quel rapporto si fondava su principi sbagliati mentre lei lo avrebbe impostato su principi sani ecc... Ebbene, ecco. La risposta è in questa confusa esposizione (l'esposizione è chiara, non è questo). Confusa perché manca l'obiettivo. Un obiettivo confuso e inspiegabile quale l'amore è. Il so di non sapere sentimentale deve trionfare e meno trionfa più si ottunde, si specializza, si allontana dal cuore nocciolo della questione. E ritorno alla mia definizione che l'amore sia l'unica risposta a tutto quello a cui non sappiamo dare una risposta per dire che l'amore non ha una meccanica definita e se anzi uno si sforza di trovarla manca completamente l'appuntamento con esso. Mi rendo conto che il ragionamento parrebbe più a posteriori ma può tornare utile in corso d'opera o negli abbozzi preparatori. Tipo quando uno sta lì che si scervella per trovare un senso e il senso non c'è. Che uno sta lì che vorrebbe far andare a pennello qualcosa che davvero non ci va. Non c'è altro da fare dunque: far trionfare questa indefinitività. L'amore è l'unica risposta a tutto quello a cui non sappiamo darne una. E' neutro, è reversibile, ha più impugnature, non ha perché. Non c'è soluzione nel numero successivo. Per ognuno si fonda e si basa su cose sbagliate, principi imperfetti. Con ognuno è così bravo da inventarsi strade personali (personali per due). Se provi a trovarne una ragione finisci per trovarti senza ragione. Così è. Purtroppo veniamo (e in essa cresciamo) nella cultura del miracolo. Ma apparentemente e in una teoria semplificata, eccessiva. Cresciamo senza poi saperli davvero riconoscere. Come popolazioni che hanno perso il magico. Un magico che ci sta sempre addosso. "Per quanto mi riguarda io non credo ad altro che ai miracoli" scrive Walt Whitman e io sono con lui. E' una piccola bugia ma a fin di bene e ad maiora.

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Di Carvelli (del 13/04/2010 @ 12:05:51, in diario, linkato 817 volte)
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Di Carvelli (del 13/04/2010 @ 15:11:11, in diario, linkato 680 volte)
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Di Carvelli (del 14/04/2010 @ 10:28:59, in diario, linkato 735 volte)

Be-lli-ssi-ma (anche se non un bel modo di sillabare)

Più tardi lei diceva ciò che si dice sempre.
-       
Devi per forza andare?
Lui era in piedi accanto al letto, nudo.
-       
Dovrò sempre andarmene.
-       
E io dovrò sempre dare un altro senso al fatto che te ne vai. Un senso romantico o sexy. Ma non di vuoto, non di solitudine. Sarò in grado?
(…)
Lei disse: - Sarò in grado di trasformare una cosa nell’altra senza fingere? Potrò rimanere quella che sono o dovrò diventare come tutte le altre persone che guardano qualcuno andarsene via? Noi non siamo come le altre persone, vero?
Ma il modo in cui lo guardava lo faceva sentire in dovere di essere qualcun altro, lì accanto a quel letto, pronto a dire ciò che si dice sempre.

 

 

 

Don DeLillo - L'uomo che cade (Einaudi)

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