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 il letto a spighe di claus... di Carvelli
 
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Avevo amato le donne con le quali ero vissuto. Tutte. E con passione. Anche loro mi avevano amato. Ma sicuramente con maggiore sincerità. Mi avevano dato un po' di tempo della loro vita. Il tempo è una cosa essenziale nella vita delle donne. Per loro, è reale. Per gli uomini, relativo. Mi avevano dato molto. E io, cosa avevo regalato? Tenerezza. Piacere. Felicità sul momento.

Jean-Claude Izzo
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Di Carvelli (del 27/07/2011 @ 09:20:14, in diario, linkato 568 volte)
Aggiorno il diario delle mie letture/visioni. Ho visto Il violino rosso che non avevo mai visto superando la mia resistenza ai film in costume. Ho letto o sto leggendo Middlesex di Eugenides (in parte lo avevo ascoltato anni fa al Festival delle letterature) e mi sta piacendo - L'uccello che girava le viti del mondo di Murakami (e in parte lo trovo un'opera minore per quanto ben costruita) - Alice nel Paese delle meraviglie (una rilettura, invero) - il Chatwin in lingua originale in vendita con L'Espresso (un Volga a diario di bordo rimaneggiato in diario di grande suggestione). Riprendo in mano a intermittenza il Faust di Goethe e il mio amato Canto alla durata di Handke. Rivedo con identica intermittenza i film di Truffaut. Senza requie e non senza pena al pensiero di che cosa avremmo potuto vedere e non abbiamo visto per la sua morte prematura.
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Di Carvelli (del 27/07/2011 @ 09:00:02, in diario, linkato 587 volte)
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Di Carvelli (del 21/07/2011 @ 15:37:19, in diario, linkato 729 volte)
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Di Carvelli (del 21/07/2011 @ 15:35:54, in diario, linkato 652 volte)

Se la mano potesse liberarti

Se la mano potesse liberarti,
cuore, dove andresti?
Lontano, oltre tutti i luoghi
della terra che questo cielo in corsa
rende desolata? Attraverseresti
città, colline mari,
se la mano ti potesse liberare.

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Di Carvelli (del 21/07/2011 @ 08:43:20, in diario, linkato 638 volte)
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Di Carvelli (del 21/07/2011 @ 08:34:38, in diario, linkato 989 volte)

Ieri un amico mi ha inviato una tesi di laurea scritta da uno studente torinese (onore al merito il suo nome è Alessandro Romeo) e incentrata sulla gloriosa stagione del MALTESE-NARRAZIONI - una rivista che come giusto doveva passare alla storia - dove si faceva menzione del mio unico racconto lì ospitato e poi confluito in Perdersi a Roma (Andare per mare, in città). Il punto in cui se ne parlava era quello della virata della rivista verso la no-fiction. La scrittura sporca di vita - diciamo così un po' retoricamente. Su L'Espresso avevo letto sabato questo contributo di Eugenio Salfari in risposta a Umberto Eco che del tema pare respirare e che ci invita ad allargarne la riflessione. Ve lo linko.

Anche se finto è tutto vero

di Eugenio Scalfari

La realtà è una cosa, i romanzi un'altra, dice Umberto Eco. E ha ragione. Eppure molti romanzi e opere d'arte hanno influenzato la loro epoca. Tanto che credo si possa parlare di destini incrociati

(14 luglio 2011)

Nell'ultima "Bustina di Minerva" uscita una settimana fa su questa stessa pagina con i l titolo "Mentire e far finta" Umberto Eco affronta un tema di notevole interesse letterario: verità della vita reale e finzione in quella narrativa e romanzesca. Accade spesso, dice Eco, che i lettori si immedesimino a tal punto con la trama e con i personaggi del romanzo da credere (o aver la sensazione) che quella storia sia realmente accaduta e quelle persone siano veramente vissute.
Molti autori sono talmente scrupolosi da avvertire i lettori a non credere nella finzione mentre altri fanno invece di tutto per trarli in inganno simulando d'esser stati loro stessi i testimoni delle vicende vissute dai personaggi che magari nascondono sotto nomi di fantasia persone in carne e ossa e fatti realmente accaduti.

Eco ha ragione: la realtà è un cosa, i romanzi un'altra. Se i lettori si identificano con i protagonisti del romanzo, questa è un gran fortuna per l'autore e per l'editore perché il romanzo avrà successo. Se l'identificazione non c'è vuol dire che il romanzo è sbagliato e resterà largamente invenduto. E tuttavia i fatti sono fatti, le finzioni sono finzioni e tali restano. Questa barriera non va dunque mai dimenticata altrimenti può procurare danni alla società.

Ma è proprio vero che le cose stiano così? E' proprio vero che la finzione non abbia un ruolo concreto e non eserciti un'influenza oggettiva sull'epoca entro la quale è stata creata? Eco cita alcuni esempi a cominciare dal Don Abbondio dei "Promessi Sposi". Manzoni racconta il suo incontro con i "bravi" di Don Rodrigo come se quel colloquio sia veramente avvenuto e il lettore può essere indotto a crederlo dall'efficacia e dalla vivezza di quella prosa. Il fatto che Don Abbondio non sia mai esistito non toglie però che Manzoni non abbia colto e narrato una storia reale creando con la sua fantasia una figura eterna, quella del vile, del timoroso che si piega alla forza prepotente dei forti sui deboli.

"Il coraggio, se non ce l'ha, uno non se lo può dare", scrive l'autore mettendo nero su bianco una verità eterna e reale. E così, naturalmente, avviene per gli altri personaggi di quel grande romanzo: Don Rodrigo, Renzo, Fra' Cristoforo, il cardinale Federigo, l'Innominato, Perpetua, Agnese, Lucia, la Monaca di Monza.

La storia si svolge nel Seicento, nel Milanese dominato dagli spagnoli. Naturalmente è tutta inventata. Ma i "Promessi sposi" crearono il movimento dei cattolici liberali che ebbero un ruolo fondamentale nel Risorgimento, così come l'ebbero i romanzi del Guerrazzi, del D'Azeglio e del Grossi, le poesie del Giusti e del Berchet e le musiche di Giuseppe Verdi nella nascita del movimento mazziniano e del Partito d'azione.

Vorrei fare un altro esempio, quello del "Werther" di Goethe e delle "Affinità elettive". Due romanzi che ebbero un successo europeo, crearono un modo nuovo di sentire e di comportarsi, dettero l'avvio nella realtà dell'epoca al romanticismo e all'amore romantico.

Fu la società europea del primo Ottocento a far nascere nell'animo di Goethe quei romanzi o furono essi, la loro forza, a dare l'avvio al romanticismo della società civile? O ci fu un rapporto incrociato tra i fatti reali e quelli creati dalla finzione degli scrittori?

Personalmente credo a questi destini incrociati tra realtà e finzione e penso che anche Umberto Eco sia del mio stesso parere. Per cui non starei a preoccuparmi di separare realtà e finzione: sono solo le due facce della stessa luna.
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/anche-se-finto-e-tutto-vero/2156148/18
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Di Carvelli (del 20/07/2011 @ 12:32:56, in diario, linkato 604 volte)
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Di Carvelli (del 20/07/2011 @ 12:29:47, in diario, linkato 815 volte)

Qualcosa

giovedì 7 luglio 2011

Il primo di luglio mi han telefonato mi han detto che una mia amica, che da quattro anni ha un tumore, sta molto male. Non riesce più a camminare, non muove le gambe, e fa fatica anche a muover le mani. Ha poco più, o poco meno, non lo so di preciso, di quarant’anni, e due bambini piccoli, una di cinque e uno di otto anni. Ha un tumore in bocca. “Di solito viene agli alcolizzati anziani”, mi ha detto quattro anni fa, quando mi ha raccontato quello che le stava succedendo, prima della prima operazione che le hanno fatto, gliene hanno fatte poi altre tre. Lei era praticamente astemia, aveva meno di quarant’anni.
Quando mi han detto così, il primo di luglio, ho scritto una mail alla mia amica, non le scrivevo da mesi, e poi ho pensato a un saggio di Daniele Giglioli, che era appena uscito per Quodlibet.
Il saggio si intitolava Senza trauma, e partiva dall’idea che “il tempo che stiamo vivendo possa essere definito come il tempo del trauma senza trauma; meglio ancora, del trauma dell’assenza di trauma”.
La mia amica ammalata di tumore, la cosa che le premeva di più, nel corso della sua malattia, era continuare a lavorare. Ha lavorato quasi sempre, prima da casa, poi in casa editrice, poi ancora da casa, poi ancora in casa editire, lavora in una casa editrice. Mi ha ricordato mio babbo, che è morto di tumore ai polmoni nel 1999, aveva quasi settantanni, e quando pensava a una possibile guarigione, la cosa che lo faceva star bene, era l’idea che sarebbe tornato su un cantiere, mio babbo lavorava sui cantieri.
Secondo Giglioli noi, oggi, non vivendo traumi, li immaginiamo dovunque. È “come se fossimo così traumatizzati dall’assenza di traumi reali da doverci constringere a inseguirli ansiosamente in ogni situazione immaginaria possibile. Immaginaria o perché fittizia, o perchè comunque accessibile soltanto in absentia, da lontano, non qui”.
A me piace moltissimo il modo in cui la mia amica ha parlato, in questi anni, del suo tumore. Era come se, con l’accanirsi della malattia, si accanisse anche lei, sempre di più, nella sua restistenza. Mi ha fatto venire in mente (e gliel’ho detto, una volta) quando nella Leningrado assediata dai nazisti c’è stata, il 5 marzo del 1942, la prima della settima sinfonia di Šostakoviè. Come per dire: “Voi ci assediate? Voi pensate di ridurci alla fame? E noi ci mettiamo i nostri vestiti migliori, e andiamo nel nostro migliore teatro a sentire eseguire dai nostri migliori musicisti l’ultima sinfonia del nostro migliore compositore”.
“Non è da tutti farsi succedere qualcosa”, scrive Giglioli, e lo scrive come se “farsi succedere qualcosa”, subire un trama, in questo mondo senza traumi, fosse una specie di fortuna.
Dodici anni fa, nel 1999, mi sono ustionato il 30 per cento del corpo, per un incidente automobilistico. Ho passato 77 giorni in ospedale, mi hanno fatto nove operazioni, i primi trenta giorni non riuscivo a camminare, il mio desiderio più grosso era mettermi una giacca marrone, che avevo allora e che mi sembrava molto elegante, e fumare una sigaretta a una fermata dell’autobus. Poi l’autobus arrivava, io buttavo via la sigaretta e salivo sull’autobus. Una volta, parlando con la fisioterapista, nel cortile dell’ospedale, avevo già ricominciato a camminare, le ho detto: “Quando mi passerà la mia malattia…”. “Non è una malattia, – mi ha detto lei, – è un trauma”.

http://www.paolonori.it/qualcosa-3/#more-11445

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Di Carvelli (del 20/07/2011 @ 09:04:23, in diario, linkato 629 volte)
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Di Carvelli (del 20/07/2011 @ 08:57:39, in diario, linkato 558 volte)
La persona che ero è la pesona che sono? C'è un filo che lega il carattere di prima e quello di oggi? Era meglio prima o ora? Molti si fanno queste domande inutili come se il passaggio da un tempo a un altro sia un accadimento atto da noi - noisoli - e nell'irreversibilità. E comunque e sempre letto da noi. Ieri ascoltavo una persona che notava come un'altra persona fosse molto cambiata negli anni. Più chiusa, più riservata. Lei aveva avuto la fortuna di conoscere quella che a lei sembrava la versione migliore. ma mi sono chiesto: migliore per chi? Siamo sicuri che lui non si trovi meglio ora? Con una riservatezza maggiore, quello stare in punta di piedi? Magari gli è servito nel lavoro. Magari lo ha aiutato a gestire il matrimonio. Non so. E poi: quante volte ancora cambierà? Magari facendo un piccolo scostamento da quello che ora è?
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