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 Il letto di Hvammstangi... di Carvelli
 
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Sì ho parlato a troppa gente, oggi questo mi sorprende; ogni persona è stata per me un intero popolo. Un così immenso altro mi ha reso me stesso molto più di quanto avrei voluto. Adesso, la mia esistenza è di una solidità sorprendente; anche le malattie mortali mi giudicano coriaceo. Me ne scuso, ma è necessario che io seppellisca qualcun altro prima di me.

Maurice Blanchot
"
 
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Carvelli (del 06/10/2006 @ 10:06:02, in diario, linkato 902 volte)

Dalla rassegna di oggi (e polis Roma, articolo di Andrea Natella) segnalo il duo performer Eva e Franco Lattes meglio noti come

http://0100101110101101.org

Ecco una delle loro ultime installazioni nel centro storico di Viterbo: questa targa understatement

 
Di Carvelli (del 09/10/2006 @ 08:59:09, in diario, linkato 884 volte)
E' come spegnere le candeline.Venti per quasi quarant'anni e c'è un errore - è chiaro. E' come avere un malditesta fisso. E' come essere lì ma voler essere altrove e poi di nuovo voler essere lì che già ci sei. E' come se, tutto sommato, morire ogni due o tre giorni o mesi, due o tre anni, ogni tanto... E' come se, in fin dei conti, morire non fosse poi così male se si rinizia e nulla finisce. E nulla finisce, anche se si guardano bene dall'insegnarcelo, dal ricordarcelo (perché vuoi mettere quante cazzate - sentite, volute, desiderate - in più faremmo, con leggerezza). E' mattina e sono in moto. Attraverso per intero Roma. Sono su via Aurelia Antica - un muro di qua e uno di là - e vado a lavoro. All'improvviso mi trovo davanti un carro funebre nero (ovvio no!) con dentro una bara bianca. Dietro nessuno. Provo a capire le dimensioni del corpo dentro ma da dietro non capisco e mi affianco. Vorrei stendermi per confrontarmi. Che sarà, un metro? Poco più. Sorpasso. Guardo nello specchietto retrovisore. Dietro di me il carro funebre con la bara bianca e dietro nessuno.
 
Di Carvelli (del 09/10/2006 @ 14:50:10, in diario, linkato 868 volte)
Non ci veniva la parola poi l'hai detta tu. Flash-forward. Cioè anticipazione. Cioè l'opposto del flash-back. Cioè quel procedimento filmico o narrativo che consiste nel narrare prima ciò che avverrà in seguito. Non ci veniva la parola ma già sapevamo cosa volevamo dire. Cosa le cose volevano dire per noi. Cioè che spesso qualcosa anticipa qualcos'altro. Lo predice. E lo fa con un'immagine. Niente di più e niente di meno di questo. L'immagine che ci aveva preceduto era stata nelle nostre teste prima che ci conoscessimo. Ed era stata simile e ci aveva riguardato. Insieme ma senza che nessuno sapesse dell'altro e alla fine... E alla fine era andata proprio in quel modo e non potevamo non pensare che se dopo le cose erano andate così il merito...O la colpa...erano stati proprio di quella...e non ci veniva la parola.
 
Di Carvelli (del 10/10/2006 @ 08:44:17, in diario, linkato 736 volte)
Con che faccia arrivano a Roma. Alla spicciolata (i primi a scendere dal treno). Poi tutti insieme (gli altri). A massa di lana che spinge. A piccoli passetti e "scusa". Sono all'altezza dei loro visi da un treno parallelo che guardo questo passaggio di mille espressioni e mille posture. Come in un televisore, nel finestrino osservo i loro primi piani. Non posso vedere la figura intera, il passo. Non posso vedere come il corpo affronti la strada. Mi limito ad osservare le braccia conserte, le mani che spiegano. Addirittura una ragazza che parla il linguaggio dei sordi ad un uomo e ne rallenta il passo. Poi facce torve, facce del sonno, facce della rabbia e della rassegnazione. Poi facce distratte o calme o vacanziere. E' il treno che viene da Albano.
 
Di Carvelli (del 10/10/2006 @ 16:16:13, in diario, linkato 963 volte)
Abbiamo un appuntamento costante: le indagini sul sessoe gli italiani, le italiane. L'iconografia chissà perché è sempre la stessa. Un uomoe una donna seduti l'uno da un lato e l'altro dall'altro del letto che guardano persi nel vuoto e nervosi. Chissà perché è questa la rappresentazione del poco sesso degli/delle italiani/e
 
Di Carvelli (del 12/10/2006 @ 12:17:10, in diario, linkato 902 volte)
C'è stata una stagione. Chitarre. Tastiere. C'è stata una stagione di completi neri, di cravatte di cuoio. Nere. Di giubbotti. Neri. Il chiodo. Nero. Di concerti in tende a strisce. Di attese interminabilie di dischi d'importazione. C'è stata una stagione che oggi non c'è più. Un tempo in mezzo. Una distanza che basta bucare una leggera tenda trasparente ed è di nuovo qui.
 
Di Carvelli (del 13/10/2006 @ 10:12:33, in diario, linkato 807 volte)
E' come rievocare un istante preciso. Solo quello. Quello, per esempio dell'inizio del popmart tour degli U2, con Pop Muzik degli M in versioone MoFo. Eravamo all'aeroporto dell'urbe. Una fila sterminata di motorini in processione sulla Salaria (un luogo che mi è fantasiosamente familiare per Bebo). Non era chiaro in che direzione si stava andando. Per dove ci saremmo persi con quelle due ruote. In mezzo ai capannoni, alle rivendite di auto. Su una pista di atterraggio. Io e...Marco no? E dopo? Eravamo contenti? Sorpresi? Stupiti? Boh ma ora se rivedo quell'inizio mi entusiasmo di ricordi.
 
Di Carvelli (del 13/10/2006 @ 16:46:38, in diario, linkato 865 volte)

Ho chiesto a google di dirmi la sua sul silenzio. In immagini. E la prima delle sue foto è questa.

di Linda Mercaldo (altre  foto qui). Tradisco la mia natura cimiteriale e mi riprometto di dare a questo finesettimana il silenzio delle tombe. Considerando come un segno la mia richiesta di pace. Magari solo per un'ora.

 
Di Carvelli (del 16/10/2006 @ 09:33:16, in diario, linkato 1056 volte)

Svegliarsi in piena notte o aspettare la notte per assistere ad un film in televisione che senti di dover vedere assolutamente. Sono cose che puoi fare solo di sabato o di venerdì e comunque devi amare il cinema per farle. E anche molto. Il post di oggi è per tributare il giusto merito a Paradjanov (informazioni su di lui qui e qui) e al suo film Sayat Nova. Si tratta di un film prezioso. Un insieme di quadri come tableaux vivant sulla vita di un cantore-poeta georgiano/armeno almeno nelle lingue dei suoi canti. Di Paradjanov avevo già visto La leggenda della fortezza di Suram (che possiedo in una versione VHS da me registrata in qualità dubbia). Sayat Nova è un film del 1970 scandito in frasi come: "Noi cerchiamo noi stessi l'uno nell'altro" o "noi cercavamo un rifugio del nostro amore ma il cammino ci ha condotto a diventare esseri mortali". I piani dell'amore terreno e di quello spirituale si susseguono e si conseguono. La stanza è buia e scorrono le immagini nel televisore come se fosse la cornice di un quadro che cambia. Quadri perfetti che hanno la vocazione di un'arte totale. Pittorica, scenica, filmica. La probabilità del simbolo è forse un inseguimento inutile per l'ora e per il flusso. Servirebbe un frame per frame.  Il colore della melagrana che è il secondo titolo della storia di questo poeta è un altro dei simboli controversi e transustanziali. Il nettare del pomo si fonde con il sangue e anche con le tinture delle lane poi lanciate in piatti di rame a sgocciolare.

La notte è passata così in una sua parte, tra quadri che si susseguivano e silenzio. Nella finestra il buio del cielo poi la parola FINE ed un sonno ritardato.

 
Di Carvelli (del 17/10/2006 @ 15:36:54, in diario, linkato 1088 volte)

Queste immagini vengono da MondoBizzarro la bella galleria romana che ha ospitato quest'artista un po' retro e surreale che risponde al nome di Gilles Berquet. Qui notizie su di lui.

 

 
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