BAD BOY BEBO
Ribelle Urbano






GIROTONDI E MENISCHI

Anche lei menischio?
Ha detto proprio così. Io ho annuito.
Anche a mio genero è successa la stessa cosa. Sì menischio. Lei come? Lavava i vetri? No lui giocando a calcetto… sa … come Totti. Ha visto? No… anche lui?
La televisione stimola una familiarizzazione col proprio corpo, con le proprie malattie, coi disturbi e coi rimedi. Il menisco per esempio, o, come ha detto l’anziana signora nella sala di attesa visite, il menischio, è il male del calcio. Un male da rapporto medico della domenica sera. Un male che ha sindromi e tempi curativi rapidi e parzialmente indolori. Riprese veloci e messe in campo, per fortuna. “Gliela fanno in artoscopia (sic!) e se vuole dopo quindici giorni può giocare a pallone. Io non ho la televisione e forse si vede. Non sono un grande sportivo e sicuramente si vede. Io come molti provvedo da me alle pulizie e si vede. Non ho una casa pulita se non di tanto in tanto e si vede. Ma poi magari c’è un incontro galante, una festa e tutti a dire “insomma per essere un maschietto sei pulito!” Insomma pulisco raramente specie i vetri. Sarà per questo.
Il giorno della grande manifestazione dei girotondi, il giorno di Moretti a Piazza San Giovanni io ahimè attendo di essere operato da mani di turno dell’ospedale omonimo. Ospedale San Giovanni, non Moretti. Reparto Ortopedia. Clinica II.
Così dopo un agosto sacrificato a casa e disteso staziono tra il letto 58 e il bar centrale che non è altro che un container provvisoriamente ormeggiato al centro di un piazzale. Al letto 57 c’è un uomo a cui devono togliere una staffa e bulloni (senza viti), al 56 un ragazzo che attende la ricucitura del legamento crociato, al 55 un anziano falegname a cui è schizzato su un polso un pezzo di compensato a 9000 giri e gli si è incagliato nell’osso provocandogli un taglio e una micro-frattura, sangue che è rimasto rappreso su un piccolo asciugamano che il figlio e consocio tiene in mano come una sindone. Il letto 54 è quello di Mario, un meccanografico in pensione, che invece pende sospeso a due trazioni di pesi che cercano di impedire la formazione di un callo osseo sbagliato. Cinque chili gli tirano la gamba per lungo su una slitta, mentre altri cinque pendono da una fune attaccata ad un bullone da 14 (con vite) che gli trapassa il femore e gliela tirano per largo. Ha una piccola frattura che si è procurato cadendo da una scala mentre potava degli alberi, una microrottura di un osso infinitesimo che forse si chiama acetabolo ma è allegro e ride. Il letto 53 è quello di un anziano signore con femore rotto che sta dentro una grande cuccia da bambini con spalliere alte per non cadere, perché è già caduto. Per fortuna non con gravi conseguenze. Dorme sempre. Alle 22 intima un “le luuucciiii!” e si riaddormenta. Si pranza alle 11,30 si cena alle 18.
Il giorno della grande manifestazione romana di San Giovanni claudicante ma a sinistra cerco il calore della folla nel tepore della tarda estate. Di lato. Lontano dal bagno del concerto, dal catino della gente. Passo indisturbato i controlli (i controlli?), e zoppico fino alle propaggini della calca. Come se fossi al centro del mondo mi passano di lato Jovanotti e Gino Strada che è emaciato e sudato come un maratoneta alla fine di una corsa e scappa abbrancato da strette e strattoni insolenti per quanto affettuosi. C’è sulla bocca di tutti una speciale effervescenza che si lega bene tanto ad un incontro-appuntamento da bilancio del dopo estate (si sa che alle manifestazioni rincontri sempre le stesse persone) quanto ad una necessaria rivalsa politica in anno di grigiore. I miei amici che mi sono venuti a prendere a piedi e che mi camminano di lato in gruppo imitano a fatica il mio passo lento. Qualcuno avanza ma poi rallenta e mi aspetta.
“Non perdiamoci di vista. Ora che ci siamo ritrovati teniamoci in contatto. Noi cittadini possiamo fare politica, possiamo farla con piacere” inizia così l’arringa alla folla pacifica di Nanni Moretti. Ma qual è la folla di San Giovanni. E’ quella di nostalgia italian-soviet, piadina e lambrusco, quella che ama il cinema e i festival e disprezza la tivvù, la globalizzazione, i litigi, le scaramucce e che vorrebbe dire a quelli che magari hanno votato con un’ultima disperata apertura di credito che ora sono delusi del loro voto e del voto altrui. Vorrebbero dire qualcosa a quegli ex compagni diventati maschere da varietà e albertosordi. Vorrebbero dire…“Discutiamo ma di cose concrete. Non perdete tempo a litigare sul nulla… non fate più i capricci. Non perdete più tempo in continui e logoranti scontri personalistici ai vertici, sigle, gelosie e ripicche di cui non ce ne importa niente.” Insomma molti sentono dire a Moretti quello che avrebbero da dire loro. Loro che sono stufi di decidere quale leader ha più appeal, quale dialettica rappresenta meglio l’arco costituzionale all’opposizione. Perché chi è di sinistra sa con legittimo disprezzo che il leader non fa la sinistra e lo pensa con imbarazzo e amore anche rievocando il declino della Isla cubana. Per cui la vocazione alla sconfitta di cui tanto si dice è un tesoro del poi. La vera politica è fatta in forme partecipate e se è vero che il divismo ha sempre ben pagato ha sempre rassegnato un inevitabile declino per cui perdere sì ma con onore e insieme. E’ questa la minoranza-maggioranza morettiana. “Mi dispiace che anni fa morendo il Partito Comunista italiano non seppe comunicare al Paese che la sua storia aveva più a che fare con l’Emilia Romagna che non con l’Urss” proprio così ha detto Nanni: ci sono stati soviet romagnoli assai più felici di quelli ucraini. E coop meglio di tanti kolchoz. Tornando in ospedale incrocio Fabrizio Bentivoglio nella sua magica bellezza degagè, giacca di renna, occhiali da sole, capelli lunghi al vento. Avanzo di ritorno (solo, i miei amici hanno intinto le loro facce nella conca di falciemartelli, ulivi e guevara), faccio leva sulle stampelle e doppio un panchina gremita di infermieri e ambulanze in attesa. Ripercorro a ritroso i lunghi corridoi vuoti, pieni di scritte e graffiti di membri maschili improbabili per dimensioni e forme come l’indicazione di un reparto proprio sul pulsante dell’ascensore che poi sale oscillante e sinistramente rumoroso. Tutto a sinistra oggi, insomma. Scendo al piano III. Mi accolgono indolenti o addormentati malati e parenti tutti preoccupati dalla folla e dal clamore, indispettiti per i ritardi ed i giri. I giri girotondi come stigmatizza il CCD-CCU-CDU (ciccippù ciccipù caffè… ricordate?). Tento un po’ di campagna prelettorale. Pre pre pre elettorale. Una festa straordinaria dico e che belle parole quel Moretti. Nessun risultato. Un discorso misurato, sobrio. Nulla. Poi cerco un colpo di teatro. C’era quell’attore come si chiama… Bentivoglio. “Che bravo ragazzo quel Bentivoglio, come mi piace…” mi fa eco la moglie dell’anziano Silvio. E Gino Strada. Che temperamento! “E’ vero… che umanità… rischiare la propria vita per fare del bene ai bambini!” Il sentiero sembra buono. E Jovanotti… “Che figlio!” Invento. Sì ma anche Benigni? “C’era pure lui?” Come no, improvviso (ma il telegiornale mi smentirà purtroppo) ed Ennio Morricone e (stavo per dire Fellini ma mi fermo per tempo) e quel regista lì… Rosi. “No… Non so chi sia” ribatte un altro. Ma davvero non so, erano tanti, a ricordarli tutti non saprei. Ci passavi in mezzo, erano più loro di noi, e si facevano abbracciare, stringere la mano, firmavano autografi.
Silvio tormentato nel dolore e nell’autismo della sordità si sveglia e incalza “…e Berlusconi c’era pure lui?” “A mio marito piace tanto… sa, si chiama come lui!” lo suffraga la moglie. No… non c’era, mi stupisco nel dire.
La sera il telegiornale io e altri claudicanti mobili e indipendenti (ma di sinistra) ce lo siamo visto nella sala dei portantini addetti ai trasferimenti dei degenti. Dopo un ampio resoconto della giornata girotondina ecco la faccia sorridente del Berlusca che mentre Bush parla fa sì con la testa e sorride sotto i baffi come quando a scuola si voleva far vedere che si sapeva la risposta già all’inizio della domanda. Poi venuto il turno suo ha detto a proposito del loro vertice personale sulla situazione mediorientale “il nostro obiettivo è trovare una posizione comune con gli Usa.” Mi sembra un buon impegno per una politica internazionale non c’è che dire. Insomma il Berlusconi era a Camp David mi dico, altro che piazza, c’aveva da fare cose più importanti che sdilinquirsi sul Paese e sulla giustizia, sul destino della Sinistra. Su tutte queste cose lui farebbe sì con la testa. La risposta la sa già, ed è l’artroscopia o come ha detto la mia anziana signora l’artoscopia.
Il giorno prima dell’operazione siamo andati a prendere porchetta, coppiette e vino bianco ad un chiosco e siamo tornati. Abbiamo aspettato il pranzo delle 11 e alle due abbiamo aperto i fagotti e abbiamo salutato l’intervento prossimo. Una delle pulizie è entrata sorpresa e stupendosi della porchetta ha chiesto se oggi era in menù. “No, siamo andati a prenderla noi…”
“…A Frascati?????” ha detto dietro una maschera di terrore. “Ma no, qui in piazza!” l’abbiamo tranquillizzata. Abbiamo riso come matti. E’ stata una giornata bellissima.
Mi hanno operato il giorno dopo, alle 8. Non è stato uno stillicidio: 37 minuti più 30 di anestesia e 15 spesi a trovare nei cassetti della sala operatoria un fermo per il piede. A parte gli schizzi di sangue sul soffitto (pernicioso vizio l’osservazione!) c’era un’atmosfera allegra, alla dottoressa che mi operava un infermiere ha chiesto come funziona la pompa (ovviamente le risate sono cadute attorno al mio ginocchio come laser). L’intervento è andato bene. Il menisco è stato tolto tutto (ho visto l’intervento in diretta su una tv a colori) ma contrariamente a quello che “si dice” non potrò più giocare né a tennis né a calcio, né correre (nessuna grave perdita per nessuno a parte me). La mia vita è un po’ cambiata per questo ma la/e giornata/e di San Giovanni mi hanno convinto che ci sia bisogno di un impegno maggiore da parte di tutti e che non basta far segno di sì, come chi vuol far vedere che la risposta la sa già.

 







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