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Sandro Veronesi (dal Corsera di ieri): la proprietà privata (r)esiste?
Di Carvelli (del 31/08/2006 @ 11:17:12, in diario, linkato 1487 volte)

Segnalo un articolo dal Corriere di ieri. Cosa e come tutelare cosa. Questo il tema dell'eccesso da diffusa virtualità. Ma il tema più morbido e di ricavo (meno truculento) è anche quello della protezione del diritto d'autore. Cosa fa di un autore un autore? Di un'opera d'ingegno un diritto da proteggere?

 

Paradossi della Rete. Internet, Delitti Senza Castigo

La proprietà privata nel cyberspazio non è protetta 

di Veronesi Sandro Corriere della Sera (30 agosto, 2006)  

Dunque è successo. Uno dei tanti problemi specifici del Web, che vengono discussi sul Web nella speranza di trovare una soluzione sul Web, è tracimato fuori dal Web, nella vita tradizionale, quella non virtuale, quella non connessa - quella reale, viene da dire, ma chissà se si può ancora. È successo a Shanghai. Protagonisti: due amici (Qiu Chengwei, 41 anni, e Zhu Caoyuan, 26), una spada chiamata Sciabola del Dragone, la polizia, la legge, il tribunale penale. È successo questo: Qiu ha prestato la sua Sciabola del Dragone a Zhu, ma Zhu non gliel' ha restituita: l' ha venduta e si è messo in tasca il ricavato, 7.200 yuan, equivalente a circa 700 euro. Qiu è andato alla polizia a denunciare il fatto, ma la polizia gli ha detto che non poteva far nulla. Allora Qiu si è arrabbiato e una mattina è entrato nella casa di Zhu e l' ha ammazzato a coltellate. La polizia l' ha arrestato, e il Tribunale lo ha condannato all' ergastolo. Fin qui, tutto normale. Il giudice, però, ha voluto sapere dalla polizia perché, quando Qiu è andato a denunciare il furto della spada, gli è stato risposto che non si poteva fare nulla: in fondo, il ladro non era ignoto, l' accusa era dettagliata. Perché? E la risposta della polizia è stata: perché la spada non era reale, era virtuale. Era un' arma conquistata nei combattimenti on-line, non esisteva, e per loro Zhu, cedendola in cambio di denaro, non aveva infranto nessuna legge. Ecco fatto. Ecco che la magagna esce dalla Grande Palude e comincia a riguardare tutti noi. Perché è vero che questi giochi on-line contano circa 30 milioni di utenti alla settimana, ma rimarrebbero ancora un mondo a parte, esteso, magari, e tuttavia circoscritto e isolato dal nostro, costituito da persone che preferiscono emozionarsi per esperienze simulate anziché reali; ma il concetto di proprietà, be' , quello è universale, e la sanguinosa reazione di Qiu ha reso appariscente un problema che fin qui conoscevano solo i fissati del Web: nel cosiddetto cyberspazio, così pieno di giochi, di simulazioni, di guerre, di territori e di oggetti virtuali cui viene riconosciuto un valore reale, la proprietà privata non è protetta dalla legge. La legge si è affrettata a difendere il diritto d' autore anche lì, ma non si è ancora preoccupata di difendere il più antico e intuitivo fondamento civile, su cui si sono basate praticamente tutte le violenze della storia. E questo non solo in Cina ma in ogni altro Paese del mondo: al momento portare via un oggetto virtuale a chi lo possiede non è un reato. Be' , se avessi 22 anni e fossi iscritto a giurisprudenza, ora saprei esattamente su cosa fare la mia tesi. Ma anche se fossi uno studente di sociologia, dopotutto, o di antropologia. Perché, come ho detto, questo della proprietà dei beni virtuali è un vecchio problema di Internet, e a questo problema la tribù del Web ha cominciato a dare soluzioni autarchiche, e arcaiche, tipo l' espulsione degli utenti scorretti dalle comunità di riferimento (ma a Zhu, evidentemente, questo non faceva né caldo né freddo), o l' istituzione di mafie (si chiamano proprio così, «mafie») che in cambio di denaro vero si preoccupano di difendere con disparati metodi le proprietà virtuali dei propri clienti (ma evidentemente Qiu non lo sapeva), e ciò è già interessantissimo: come si organizzi, cioè, una comunità abbastanza estesa, nella quale vengano effettuati scambi tra beni e corrispettivi in denaro (circa 880 milioni di dollari l' anno, secondo uno studio di un istituto di ricerca di Boca Raton, Florida, il giro d' affari di riferimento), e nella quale la legge non difenda la proprietà privata. Ma ancor più interessante, forse, è studiare come si può fare a difenderla. Fino a oggi la proprietà è sempre stata concepita nei confronti di oggetti reali (spade, terre, case, automobili vere, con una forma, un ingombro fisico, un peso e un volume); ora bisognerà sforzarsi di estendere questo concetto agli algoritmi e alle combinazioni di impulsi binari che generano gli stessi oggetti sugli schermi dei computer. E non si tratta solo di spade o di armi per i giochi di combattimento: esistono isole virtuali, sul Web, piene di animali virtuali, dove un giocatore può andare a caccia virtuale, dietro pagamento di una tassa reale. Come può fare la legge a difendere il loro proprietario dal pericolo che qualcuno, con il pirataggio informatico o carpendo la sua fiducia, se ne impossessi e goda impunemente del loro sfruttamento? È affascinante, perché bisogna rinominare tutto da capo. Ridefinire radicalmente il concetto stesso di «spada» o di «isola». Ogni cosa dovrà essere riconcepita in modo da poterla riconoscere tutta intera anche soltanto nella sua essenza, o nella sua effigie. La famosa pipa di Magritte, sotto la quale c' è scritto «questa non è una pipa» perché in effetti è il dipinto di una pipa, diventerà una pipa, almeno agli effetti legali, nel momento in cui, anche soltanto virtualmente, sarà possibile fumarla. È affascinante, sì. E difficilissimo. A meno che non si voglia continuare a fare come ha fatto la polizia di Shanghai, e sostenere che la pipa che A presta a B, e che B vende a C senza il permesso di A e senza dargli i soldi reali ricavati dalla vendita, ragion per cui A si arrabbia, e decide di uccidere B, e lo fa, realmente, quella pipa che C si ritrova adesso a possedere, e che può fumare nel suo gioco online ma anche vendere a D, ammesso che E non gliela rubi e non la venda a F, quella pipa lì continua a non esistere. Ma anche questo, sarete d' accordo con me, comporterebbe un bello sforzo.