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Cicloamatori (da l'Unità - Roma)
Di Carvelli (del 03/06/2008 @ 14:59:38, in diario, linkato 1105 volte)

Questo racconto l'ho scritto un po' di tempo fa per l'Unità-Roma.

Pantoni, Pantani e prosciutti

 

di Roberto Carvelli

Gli sto dietro da un po’. Più che incuriosito, affascinato: dalle loro mute aderenti e ipercolorate con sigle strane, pubblicità attaccate ai loro dorsali, spot sui glutei o sui flessori. E’ un gruppo di cicloamatori che si dà raccolta a Subaugusta o in cima a via di Capannelle, incrocio con via Tuscolana. Gli ho fatto le poste per giorni. Un po’ saranno state le piogge ma non certo il freddo perché oggi farà qualche linea sullo zero e arrivano alla spicciolata con il loro pantone di tessuti fosforescenti. “Piacere, Fabio” e iniziamo a parlare. Partiamo da questa gloriosa passione: le due ruote. “Io” mi racconta Fabio “per allenarmi prendo ferie e permessi dal lavoro”. Il suo piccolo sacrificio è pedalare: non solo fatica ma pure organizzazione del tempo – quello libero, per capirci. Gli vedo la fede alla mano e mi ricordo di un’amica che mi raccontava la passione maldigerita del marito per le due ruote ma lui andava solo. Qui di sabato o domenica dice Fabio “puoi arrivare a vedere anche duecento di noi”. E,, anche oggi che è un venerdì conto un’ottantina di casacche variopinte. A un certo punto persino un furgone che segue un gruppetto monocolore. “Tra di noi” dice Antonio, qualche anno più dell’amico “c’è chi ha passato i sessanta e qualcuno anche i settanta”. Ma a dispetto di quello che posso pensare mi dice che è gente che come loro “si macina i centoventi chilometri”. Dubitavo e, infatti, tiro le conclusioni errate: “dunque rientrate la sera?” Fabio: “Ma che, per pranzo siamo a casa”. Mi sorprende il senso di inferiorità. Cicloamatori. Che strana festa agonistica. Un andare negli anni e degli anni senza cedimenti fisici. Eppure Antonio mi intima “Scrivilo che razza di strade percorriamo, scrivilo che rischiamo la vita sempre. Tra di noi c’è gente che si è fatta il suo bel coma. Gente tutta rotta. Gente che ha lottato per ritornare in vita e poi sui pedali”. L’ho promesso e l’ho scritto. Ecco fatto: ma non è questione di correttezza è che sono giorni in cui non si può e non si deve non pensare a quanto le macchine – e macchine sempre più grandi, alte e corazzate, macchine spesso clonate sulla misura delle guerre e degli eserciti che le combattono – abbiano reso le nostre strade (non solo extraurbane) un campo di battaglia con caduti e gente che li piange, fiori e lapidi ai bordi delle strade. Mi indicano un signore che, certo, deve suonare sotto i metal detector tutto pieno di ferro e viti. Sono tempi duri per il ciclismo. “Non si sa perché” mi dice Fabio “uno sport così illustre sia finito per essere demonizzato”. Come ovvio finiamo per parlare di doping e “intanto” mi dice Antonio “perché non è successo altrettanto con l’atletica leggera? Anche lì sono scoppiati casi imbarazzanti eppure non c’è stato un attacco così sistematico e radicale”. Su Pantani, ad esempio, la versione è comune: “Mettiamo pure che ci fosse davvero un problema di sostanze perché proprio lui e lui in quel momento. E poi, doping o meno, se lo faceva lui lo facevano anche altri come poi si è visto. Il fatto che vincesse tanto e in quel modo non sta a dire che si dopasse più di altri, era solo che era molto più forte degli altri. Il doping aiuta ma non ti fa diventare un campione”. Affondo: “E tra voi? C’è gente che si dopa (qualcuno mi ha detto che il doping è diffuso anche tra gli amatori)?”. Il silenzio è generale. Poi Fabio rompe l’imbarazzo: “Personalmente io uso solo bistecche” e anche Antonio conferma per sé. Ma nessuno sembra voler mettere la bistecca sul fuoco per tutti gli altri. Passa un gruppetto e ci si saluta. “Questi” dice Fabio “sono veramente forti”. Parliamo delle gare, dei prosciutti e delle coppe (queste ultime non di suino) che si vincono. Magra consolazione? Mica tanto: la vittoria li lusinga nel gesto sportivo, non nel premio. Mi spiegano che esiste un percorso invernale (quello di oggi, ad esempio) verso il mare: Capannelle, Cristoforo Colombo, Ostia e ritorno. E uno estivo: “Con molta più scelta” rimarca Massimo, uno che i sessanta li ha passati (“sessantuno” mi ha detto fiero). “D’estate saliamo di più. Hai presente Tivoli? Più su…San Polo dei Cavalieri e ancora oltre”. Parliamo di attrezzature: bici da 3.500-5 mila euro. “Ma con 1.500” dice Massimo “una bella bici la prendi”.
Ripartono. Ancora una volta – stavolta letteralmente – gli sto dietro. Loro tutti compenetrati in una pedalata regolare e imperiosa (“sul lungomare – mi aveva detto Antonio – “si arriva a 45 km/h”) in bici, le mani sulla barra orizzontale del manubrio, e io dietro, in vespa. Ognuno con i suoi problemi: soprattutto quello di rimanere in sella, in questo urban rodeo che è andare per città in bilico su due ruote mentre tutt’intorno piovono bombe e SUV.