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Una storiella edificante
Di Carvelli (del 13/06/2008 @ 09:15:27, in diario, linkato 722 volte)
L'ho letta all'alba dunque garantisco sulla freschezza ma non sulla verosimiglianza. Ma ci provo. Viene da una scrittura buddista ma la storia è un apologo universale. La storia di un mercante che finisce - siamo nel regno di Parthia, in India - nelle spire dell'insana passione del re di quei luoghi per i cavalli. Passione che si acuisce fino alla preparazione di un intruglio dalle foglie larghe capace di trasformare persone in cavalli. Come forma di cortesia il re decide di testarla solo sugli stranieri - stante le proteste interne - e i malcapitati si mutano in equini. ma quel mercante ha un "figlio devoto", così si chiama lo scritto in italiano che ho letto (è di Nichiren Daishonin). Bene, quel figlio che fa? Come dimostrazione di amore filiale va a cercare il padre e, trovatolo e recuperata la stessa erba gliela dà in pasto ottendendo la reversibilità della trasformazione. Dunque un figlio può salvare un padre. Sì, un figlio può. Non si dice che deve e non si dice come salvare e cosa si salva. Ogni tanto sento dire (leggo) "uccidere il padre" (la freudiana teoria ormai assodata) e penso che per molti si trasformi in una specie di regolamento di conti sotto mutate spoglie (mutate sta per non violente fisicamente). A me è chiaro cosa voglia dire e non si configura diversamente dalla storiella che vi ho citato. Insomma, salvare e uccidere per me qui hanno una parentela non così lontana. Dove salvare significa restituire una dignità superiore alla luce di una crescita (del figlio). Una specie di felice superamento e insieme una restituzione. Purché il tutto avvenga senza violenza e per devozione. E perché sia così non deve essere un fatto personale. Perché non è mai un fatto personale la trasformazione che qui si richiede, il salvare, il trascendere (appunto). Per fare questo serve poca persona e per attenuare la persona serve un qualcosa di più grande a cui riferirsi per controbilanciare il nostro breve orizzonte. E non è facile? No, non lo è. Anche se è semplice.