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Di Carvelli (del 23/10/2009 @ 14:56:45, in diario, linkato 630 volte)

Gentile A.

 

grazie del suo apprezzamento che purtroppo è stato surclassato da contemporanei inviti alla leggerezza e all’allegria. Anche a me De Andrè piace e anch'io in genere preferisco il tormento a certe radiose mattine di primavera. Anch’io ho sempre pensato che da quelle parti succedessero cose più interessanti ma devo dire che spesso mi sono dovuto ricredere. La vita mi ha insegnato che sì è bello guardare in basso, in fondo, nel buio ma bisogna cercare di non farsi risucchiare dai crateri del mal di vivere che hanno bei colpi d'occhio verso il basso ma bordi scivolosi. Eccoci, siamo lì, inutile dire che l'atmosfera di quel magma di sotto è seducente. Bello fissare la lava infuocata. A guardarla si perde la dimensione del vuoto, del tempo (che passa). E' narcotica l'osservazione e deresponsabilizzante. Dolorosa ma avvincente. I tempi di ripresa da quel viaggio d’osservazione sono lunghi e sembra che in questa dilatazione sia vinta la battaglia con la fine. Diciamo che l’impressione della vittoria è accentuata dalla dilatazione che suona come una dilazione. Mi viene in mente Sherazade. Forse vincere la morte è ritardarla. Scacciarne la sensazione. Eppure sempre più spesso ho la percezione che il ritardo che realizziamo fissando quel punto vuoto lì in fondo sia solo il ritardo del tempo che percepiamo, non esattamente di quello in cui viviamo. Il ritardo vero lo mettiamo in piedi nello sforzo continuo di migliorarci, di migliorare gli altri, aiutare, compiere sforzi per il bene. Senza risparmio e senza attesa di premi. In denaro o in stima.