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I letti...del Centro Anami
Di Carvelli (del 20/07/2004 @ 14:53:42, in diario, linkato 966 volte)

Questi sono i letti  degli studenti del centro Anami  e di Luigi La Rosa che li incoraggia coordina e segue con grande attenzione e passione.

Il sedile del pullman

Sicilia-Roma

 

Il mio è un letto in movimento. Ha ruote e non piedi, corridoi e non lenzuola. E’ letteratura senza parole, pagine di sonno.

 

Il mio letto taglia come una lama paesi sentieri città. E’ un letto nella notte, il cielo addosso come un graffito di diamanti o una sbavatura d’inchiostro.

 

Il mio letto lascia un’isola perché ama di più i perimetri, gli spigoli rotti, i nascondigli frastagliati dell’esilio.

 

Un letto che corre a ottanta all’ora da un paese all’altro, congiungendoli come una linea letta, ma la sua traiettoria bacia la curva, l’arco breve delle ore.

 

Ci si sale in tanti, ma si sta meglio in pochi. Un letto dove non si parla, non si legge, si dorme semplicemente, lasciando che il tarlo della notte addenti i secondi.

 

Un letto scomodo, politico, maledettamente impreciso, un letto fatto per corpi di ragazzo che odorano di sigarette, caffè insapori, autogrill dimenticati.

 

Un letto dove chiudere gli occhi insieme a chi ti somiglia ma non avrai mai il tempo di scoprirlo. Per chi è come te ma non ci sarà occasione di raccontarselo.

 

Un letto per l’anima che strappa anima. Un letto amico, nemico, diario ortodosso della tua biografia perennemente apolide. Su di esso imparasti, inospitale, la vita: faticosa l’algebra dello strappo, amaro il pedaggio dell’esser liberi.

 

Luigi La Rosa

 

 

 

Letto

 

  Cara amica ti scrivo mentre faccio il chilo a letto.

  Il pensiero impazza. Un chilo con un etto?

  Matematicamente sei uno sballo. Forse è un modo per fare la cresta alla spesa oppure un orgasmo da lettura con effetti climax.

  In fondo, anche fachiro potrebbe essere una forma sincopata di chiromante se non fosse un sadico su un letto acuminato.

  Oddio, adesso ho capito!

  Per favorire la digestione schiacci un pisolino dopo aver mangiato.

 

Nunzia Conte

 

Letto n.1

 

E poi come dimenticarsi quel letto. Come quale? Quello. Quando dico quello è quello. Non può essere che quello. Il letto dove ho fatto l’amore per la prima volta. Capite bene poi, che quando la prima volta coincide con l’ultima, quello non può essere che quello. Sì, vabbé, battuta vecchia, scontata. Vera però. Io non sono uno di quelli che ci gioca su a buttarsi giù. Vorrei con tutto me stesso non fosse così. Ma tant’è. Centrifuga sensoriale tapparelle tirate pulviscolo sensuale capezzoli turgidi battito fuori controllo umidità paradisiaca odore di buono lenzuola fresche cuscini chissàsec’erano lingua orecchio pelle su pelle voragine tattile peli cazzo figa vittoria vittoria vittoria. Eh sì, mi piacerebbe proprio ripeterlo. Non fosse altro che per fumarmi la sigaretta dopo. Ancora non fumavo, all’epoca.

 

 

Letto n.2

 

Il letto dei fiume. Il mio letto dei fiume. Quello d’acqua. Il più comodo e scintillante della mia vita. Anche se il fiume in questione è il Tevere. Non importa. Quando prendevo la canoa e andavo. Non importava nulla. Scivolavo sul sangue dell’arteria principale di questa città senza cuore. Non saprei dire se lo ha perso o non ce l’ha mai avuto. Non saprei. So che quando stavo lì a darci giù di pagaia l’indifferenza, l’arroganza, la volgarità di questa gente che si crede millenaria e non vale neanche un minuto, non esistevano. Non erano mai esistite. Gli schizzi d’acqua sporca che sollevavo le ricacciavano nelle loro case tranquille, ammantate d’eternità. Anche se non avevo il sole in faccia. Anche se le nuvole coprivano tutto. Era bello. Era proprio bello.

 

 

Letto n.3

 

Vi hanno mai cagato sul letto? Sì, avete capito bene. Gradirei sapere se qualcuno si è mai tolto lo sfizio di defecare sul vostro materasso. A me è successo una volta, in vacanza, due estati fa. Mi trovavo in un villaggio turistico a Torre dell’Orso, in Puglia. Nella discoteca del suddetto villaggio io e due amici miei ci siamo trovati a discutere animatamente con due nostri coetanei, che mi accusavano di aver fissato con insistenza e una certa dose di lussuria nello sguardo il culo di una loro amica. Io mi sono difeso, adducendo come parziale scusante il fatto che fissavo con insistenza e una certa dose di lussuria nello sguardo tutti i culi di tutte le amiche di tutti, lì dentro. Capite bene, in quel periodo, le prime due settimane d’agosto, il villaggio era riservato a ragazzi e ragazze che dovevano frequentare il quarto e quinto anno di liceo. Capite bene. I culi delle ragazze, intendo. Insomma i due tipi passarono dalle parole ai fatti e si accese una colluttazione. Non molto violenta, per la verità. Né molto lunga. Eravamo tutti e cinque piuttosto alticci. Diciamo pure ubriachi lessi. Fatto sta che gliele suonammo. Fatto sta che i buttafuori ce le suonarono a noi. Fatto sta che una ragazza con la quale mi ero appartato la sera prima, fece la spia. Fatto sta che quei due bastardi erano bravi scassinatori. Fatto sta che mi hanno lasciato due stronzi di discreta misura sul lenzuolo. Fatto sta che poteva andarmi peggio. Potevo trovarci loro due che dormivano abbracciati.

 

     Alessio Di Martino 

 

TELO DA MARE

           

 

  È il letto più atteso. Quello che sogni nelle giornate invernali o al lavoro quando, arrivata al culmine dello stress, fai il conto alla rovescia per le vacanze estive.

  Nel momento in cui scatta l’ora x, lo stendi con orgoglio sulla sabbia. È l’unico dove puoi stare sdraiata per ore senza avere l’influenza.

  È quello multifunzione, dove fai praticamente tutto: leggi un libro, riempi i cruciverba, ascolti il walkman, prendi il sole, ti asciughi  dopo il bagno, fai la siesta.

 

  Questa è la versione diurna. Ma c’è poi quella del falò, del bagno di mezzanotte, degli amori estivi, delle stelle cadenti.

  In genere è la parte che si ricorda di più ma si racconta di meno. Almeno per quanto mi riguarda. Poi  arriva il momento in cui il ricordo si trasforma in rimpianto. Allora capisci che stai invecchiando e quegli istanti non torneranno.

  Dici che in fondo sei cresciuta e preferisci un altro tipo di vita notturna. Ma ti sorprendi ad abbellire gli eventi, a miscelare emozioni e sentimenti alla realtà, fino a sentire gli occhi lucidi per il racconto di quegli anni. Inizi a chiederti cosa sia davvero accaduto in Sardegna, durante quelle notti che hanno segnato la tua giovinezza. Il bello è che non riesci a trovare una risposta.

           

  Ogni tanto apro l’armadio e guardo la pila dei teli da mare: sembra un album di fotografie.

Turchese, rosso, blu, verde, arancio. A una piazza, matrimoniale, striato, a pois, con le stelle marine.            

 Anche se sono consumati e scoloriti non ho il coraggio di buttarli.  Ognuno di essi ha una storia, un profumo, un volto, un nome. Spesso le storie si intrecciano l’una all’altra, ma il nome è sempre lo stesso. Alcuni non hanno storia. Quelli, però,  li ho lasciati a casa dei miei genitori. 

 

 

SOTTO LE STELLE

 

 

  Era la prima volta che dormivo all’aperto. Il gruppo che era con me, invece,  l’aveva già fatto. Avevo accettato perché si trattava di una sola notte. Non sono il tipo che si adatta facilmente, ma mi eccitava l’idea di vivere qualcosa di nuovo. Ogni tanto ci vuole un diversivo per rompere il solito tran tran.

  Così a ferragosto, con escursione termica e  tasso di umidità vertiginoso, mi accingo a sdraiarmi su un prato. Dentro il sacco a pelo, ovviamente. Senza questo mi sarei rifiutata.

 

  Era blu, soffice, caldo. Contrariamente a ciò che mi aspettavo, molto comodo. Avevano scommesso sul fatto che non avrei chiuso occhio.

  Invece sono l’unica che ha ronfato profondamente tutta la notte. E ora i miei amici dovevano pagarmi la pizza. Fino a questo punto, ero talmente entusiasta da esser pronta a ripetere l’esperienza.

  Ma nel pomeriggio ho iniziato ad avere mal di gola, seguita da febbre alta e  bronchite. Insomma, per farla breve, ho trascorso due settimane chiusa in casa a imbottirmi di antibiotici e aerosol: una vera tortura.

           

  Ricordo che in quei giorni mi ha chiamato Nicola, un ragazzo romano davvero simpatico. La prima cosa che mi ha detto è stata:  “Se ‘e botte de vita te fanno st’effetto, lascia perde!”.

 

  In quel momento mi ha dato fastidio.

  Ma a pensarci bene, credo avesse ragione.

Claudia Mereu

 

 

                      UN LETTO SUDATO-1

 

Avevo imparato la teoria ma non la pratica (avrei avuto bisogno di un corso come quelli che tiene il cavaliere nella sua villa ad Arcore, mi consenta cavaliere, cribbio mi dia una mano!)  Sapevo che un vero capo carismatico per essere tale aveva bisogno di tanti segugi che lo adorassero e fossero pronti a seguirlo sempre e comunque. Ma nella pratica succedeva sempre che io venissi interpellato per ultimo e solo quando nessuno sapeva cosa fare, neanche io. Quella sera Gigi sapeva bene cosa fare e dove andare. Bisognava imbucarsi in una festa privata,

 lì io e gli altri amici ci saremmo ubriacati e divertendoci avremmo messo tutto sottosopra a cominciare dalle invitate, femmine sempre pronte e vogliose( pensieri estrapolati da ormoni pronti all’esplosione). C’imbucammo in una palazzina nuova al quartiere Eur, secondo piano, svastiche disegnate sulla porta dell’ascensore. Invitati tutti molto distinti e precisini. Un paio di questi imbecilli si continuavano a fare il saluto romano e ci guardavano con l’aria di chi ci voleva solo spaccare la faccia. Le invitate erano molto…carismatiche, almeno su di me ce n’erano due che esercitavano un grande carisma con i loro davanzali in bella mostra e le loro mele lucenti e visibili vista la trasparenza dei pantaloni bianchi e i loro perizomi.Questa volta le femmine si dimostrarono poco inclini ai rapporti interpersonali intimi e gli amici dopo aver capito che non sapevano cosa fare m’interpellarono e io dissi aspettiamo e vediamo come va. Quando fummo ubriachi come delle spugne ci buttarono fuori a calci mentre noi gli urlavamo che erano solo delle cagne in calore

 ( veramente erano molto fredde) e fascisti del cazzo.

 Gigi, comunque, era riuscito a piazzare tutti i suoi cento grammi di fumo

( ma come, non erano i fascisti quelli che dicevano che l’erba è roba da conigli?) che significava soldi per continuare a bere la notte. Dopo l’ennesimo bicchiere di grappa( grappa?…Si mi sembra fosse grappa)cascai a terra in stato di totale incoscienza.

        

Il tempo dice il nostro nome, lo scandisce con molta calma. A volte ci rende corridori inconsapevoli, più spesso simile ai bradipi per godere del dolce far nulla. Allora il tempo smette di essere carogna, infame dentro e comincia ad essere ciò che noi vogliamo che sia, un compagnone, sempre pronto a burlarsi di tutto e tutti e anche e soprattutto di se stesso.

 

Sono cascato in un vortice. Una strana sensazione di paura mista a curiosità.

 

Un letto a una piazza e mezzo, ancora un bacio, poi lei si volta dall’altra parte e subito si addormenta notte  luna  silenzio.

Notte…luna…silenzio…

Un casolare in campagna, l’erba del prato appena tagliata, tanti fiori colorati, papere e galline, cani e gatti. Un pozzo in mattone, una vita tranquilla. Lei dà da mangiare ai cani. Lunga gonna a fiori, maglietta bianca. Lui è poggiato su una vecchia quercia, jeans stropicciati, maglietta bianca con la scritta bastardo dentro, una piccola margheritina in bocca, sorriso stampato. Hanno un figlio psichicamente menomato dalla nascita ma sono due mesi che è sparito. Dal pozzo stanno uscendo, a migliaia, tanti piccoli vermetti bianchi.

Angelo il pazzo del paese quel giorno prese un treno. Arrivò in città. Per le strade la gente scappava inseguita dai celerini, un puzzo di gas lacrimogeni, alcune ragazze erano costrette dai carabinieri a cantare faccetta nera, una mamma veniva picchiata a sangue davanti alla sua carrozzella, il bambino lanciava urla disumane. Chi veniva preso era fortunato se veniva solo picchiato e torturato, con tanto di fotografo pagato per le foto ricordo di rito. Massacrati nel nome dell’ordine costituito. Angelo scappò, scappò più veloce che poteva poi cadde sulla sabbia, si rialzò, ricadde in mare, guardò il cielo, vide una nuvola sorrise e quel sorriso fu per sempre.

 

-         Ma cosa cazzo mi sono preso stanotte?

 

C’è Luisa stesa su un prato, è bellissima, cazzo è completamente nuda e mi chiama. Corro verso di lei e penso che farò come fece Nanni nel film Bianca, mi butterò sopra di lei. Arrivo e inciampo su l’unica pietra presente in quel prato, casco sbattendo la faccia a terra e quando mi alzo Luisa non c’è più. Ma guarda che cazzo di sogni… 

 

Questo vortice ritorna, ancora qui e non mi interessa più sapere niente, non ho domande e non ho risposte e sento che un bastone mi prende a mazzate la testa, ma che succede?

 

-         Sandro che fai? Perché ti sei addormentato tutto nudo steso sul pavimento al centro della stanza?

 

                        Colloqui di sonno-2

 

 

Er Gran Fio stava di colloquio quel giorno, si era sbarbato, vestito di tutto punto, improfumato, impomatato, niente anelli e catenine, solo un piercing al naso, addirittura la cravatta che lui ha sempre chiamato il nodo scorsoio.

Entra nella stanza, c’è una sedia e uno strano computer che parla e sputa fogli e matite. Con la matita deve scrivere il suo curriculum vitae: scippatore, spacciatore, gigolo, otto anni di rebibbia per furto con scasso e tante altre piccole cosette di questo genere. Er Gran Fio scrive tutto, non tralascia niente. Poi prende il foglio e lo rimette nel computer, ma il computer non lo accetta dice che c’è un errore. Lui ricontrolla e poi lo rimette nel computer, ma il computer continua a non accettarlo. Dopo mezz’ora di tira e molla si stanca e si addormenta sulla sedia.

Orario di chiusura, entra un impiegata:

-         e lei cosa fa?

-         Ioooo?…nieeente.

-         Come niente, lei sta dormendo nell’ufficio adibito ai colloqui, come si permette?

-         Iooo? E mica corpa mia, sto computer der cazzo è rotto, io so venuto pe lavorà.

-         Guardie, guardie, per favore chiamate le guardie!

-         Aò a guardie ma che cazzo fai? Ma o voi sapè che c’è? Annatevene affanculo te, le guardie, sto computer de merda e st’azienda de ladri.

L’ho sempre detto io che è meglio annà a rubbà che fa lo schiavo in un posto de merda come questo. Io sarò pure Er Gran Fio ma qua de gran fii ce n’è a josa.

 

                                                                       Alessandro Piragino