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Cose dette e non dette ieri alla presentazione del libro di Ponturo
Di Carvelli (del 01/06/2011 @ 09:00:50, in diario, linkato 998 volte)

In relazione alla presentazione del libro di Emanuele Ponturo (L'odio.Una storia d'amore - Fermento). Vi trascrivo alcuni degli appunti da cui sono partito.

Il carattere dell'ingenuità è il tema di forza di questo libro di Emanuele Ponturo. In definitiva, l'amore, per come lo conosciamo noi (o lo riconosciamo noi), vive nell'illusione di questo riconoscimento ingenuo che è quello che ci muove le sensazioni. Forse bisognerebbe diffidare delle nostre sensazioni. In questo libro sbaglia chi crede di aver riconosciuto l'amore e sbaglia chi crede di esserne stato riconosciuto (parlo rispettivamente delle sensazioni di Stefano e di quelle della protagonista femminile che ne subisce l'incantamento). Dall'amore (da questo sbagliato, mistificato tipo di amore) ci può salvare, a ben vedere, solo la convenienza (e non sto parlando del bieco interesse di qualsiasi tipo esso sia). Dall'amore (come sopra) ci può salvare solo la concretezza nelle sue varie sfaccettature (dalla passione fisica, necessità dello scambio, mutuo sostegno). Questo di Ponturo non è il romanzo di un odio come non lo è dell'amore (nel senso che ho spiegato). Piuttosto di una inintelligenza, di una incomprensione, di un fraintendimento. E' giusto o, se preferite, è naturale (e dovrebbe essere anche logico se ci accompagnasse una logica in questo campo così minato dal sensazionalismo) che questo tipo di amore fallisca. Anche se è il solo amore che (ri)conosciamo. E' questa l'ingenuità che ci viene restituita dal libro (nel non detto di questo pensiero di amore fallito perché mistificato) che le pagine restituiscono anche nella scrittura. Al parossismo folle di questa storia è salutare che finisca così. Questo amore deve e può solo essere eliminato. Chi è fortunato lo fa senza sangue e senza dolore. Ma comunque deve eliminarlo. Da questo punto di vista si potrebbe definirlo un libro di formazione o meglio di deformazione. Uccidere questo tipo di amore è la garanzia dell'adultità o meglio della felicità seconda che ci attende dalla maturità. L'amore da questo punto di vista è uno dei pochi riti di passaggio rimastici. Anche se ci vengono raccontati sempre meno. Sempre meno li sappiamo riconoscere. E questo succede nel romanzo che sceglie anche la confezione della fiba, del racconto di miti di passaggio, della novella esemplare. Leggendolo ho ripensato all'Humbert di Lolita di Nabokov che deve compiere un analogo rito a quello di Stefano. Non lo farà sulla ragazza ma su un suo omologo Cue. In definitiva un suicidio. Un togliere dalla scena la parte malata che è anche in lui. L'odio del titolo del libro di Ponturo è solo la vendetta, una vendetta verso sé, in fondo, un'eliminazione che sola può salvare il protagonista.