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Una poesia di Massimo Gezzi
Di Carvelli (del 07/09/2011 @ 15:04:28, in diario, linkato 1056 volte)

Ultimo trasloco

Come se ci fosse altro tempo, oltre a questo,
altri giorni per sentire questo freddo
salutare, imparare un’altra lingua,
bussare a una porta socchiusa, entrare -
le processioni sulle auto sul corso, l’intuizione
di un bene nascosto al di là
di tutti i muri e che solo rinunciando
a tutti i muri brillerà
(come la tavola del mare corrugata
dalla brezza scintillava
di origine ai prime raggi dell’alba).

Allora il nostro dovere di uomini liberi
è di contare le finestre illuminate
nel buio. Perché sul confine
tra il paese e la campagna una donna
si è svegliata a ruminare la sua angoscia
(disoccupazione, amore inconfessabile che svelle
la serratura della porta, malattia).
Perché un uomo abbandona
la sua casa una notte e tutti pensano
che è vita, in fondo, quella, è bellezza.

Nei mobili ereditati dai nonni i nipoti
leggono il passato come gli anni
nel legno, accarezzano le assi
e risvegliano il timbro della voce
degli assenti, li invitano nella casa
pitturata di fresco, li sistemano
negli angoli, acquattati
con il viso schiacciato sulle ginocchia a mormorare
la preghiera che il vento ogni sera
chiede al mandorlo, la perfetta consistenza
del tuo sangue che attraversa
ogni singolo millimetro di te,
senza svegliarti.

da http://www.nazioneindiana.com/2010/04/19/32677/