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Il Quadraro come concetto geografico-sentimentale (Il Che ci faccio qui? di questa settimana)
Di Carvelli (del 12/12/2011 @ 09:15:04, in diario, linkato 724 volte)

Il Quadraro come concetto geografico-sentimentale

di Roberto Carvelli


Via dei Lentuli, Quadraro, Roma, Italia. A sinistra l’autunno, tardo. A destra la primavera, incerta. Un giorno di pioggia e nuvole e, a spartiacque, il giallo “foglie morte” e il rigoglio dell’indecifrabile stagione sempreverde. Ecco l’immagine del non più mezze stagioni. Al Quadraro. Quartiere con suoi confini precisi che fa venire in mente la omelia delle scuole medie. Confina a nord con...a sud con... E ci sono segni precisi. Via Tuscolana che scorre lì a sinistra, oltre il giallo, poco più su. Ma poi via degli Angeli, via Columella. Non c’è pericolo da queste parti di annessioni, né il rischio di una Grande Tuscolana come di una Grande Serbia o di una Grande Germania persino nella divisione dei municipi: qui VI, di là X. Il Quadraro è piccolo e piccolo, si sa, è per definizione bello. Di un bello talvolta triste ma sempre orgoglioso. L’orgoglio è noto, quello del rastrellamento che lo ha reso quartiere a medaglia d’oro del valore. Vivervi – e io, modestamente lo vissi (per dirla parafrasando Totò) – fa pensare a vivere in una pagina di storia. Storia triste che forse sopravvive in pochi ricordi ancora “viventi”.

Al Quadraro ha dedicato un bel diario di viaggio personale Fernando Acitelli. Lo ha fatto sulla scorta della memoria e della vita del papà. Sulla strada del padre (Cavallo di Ferro) s’intitola questa ricognizione picara sui luoghi generativi della sua vita nella forma di un romanzo topografico. Un tributo personale pieno di sentimenti e strade. Scrive Acitelli (autore dell’indimenticato poema per figurine calcistiche La solitudine dell’ala destra): “Il Quadraro non è soltanto un quartiere, è uno stato d’animo”. E dissente su quei viaggi intellettuali – e da “ricchi” – in questa terra che pochi possono capire se non l’hanno vissuta. Acitelli l’ha vissuta, anche nelle parole del padre, e la racconta come una “linea difensiva uruguaiana”. Si attarda su due luoghi dell’anima: la fine di via dei Quintili (dalle parti di via Quinto Ortensio, per intenderci, verso la Madonnina), la Quinta Avenue come la ribattezza di questo quartiere, e via dei Pisoni che le maps di Google vi farebbero vedere in cima alla foto. Lo scrittore ci si perde a caccia di segni di presenza-assenza dei tempi di suo padre. Trova pochi cambiamenti e questa è la forza di questo piccolo agglomerato di case basse o bassissime in cui l’ascensore più che un orpello è un assurdo concettuale. “Le case intoccabili del Quadraro, quei villini di cui si coglie l’antica stabilità, la lesena definitiva, la carezza della prima mano d’intonaco, il pergolato che prende a distendersi su un lato senza finestre, a definire un orto, rifugio di quiete e di fresco”. Sono pagine belle quelle di questo libro traboccante di sentimenti come la fontanella in cui beve prima di lasciare il sagrato del quartiere verso via degli Angeli. Fermano un’idea dell’abitare in parte sopravvalutato di valore. La lotta dei confini, unico motivo del contendere (vero!), non è così a prova di alleanze. I dissidi per questioni di staccionata sono spesso punti fermi (o morti) di un contendere che definisce separazioni che neppure una riunione di condominio potrà sanare. E questo trascina in un pensiero di Romoli e Remi senza composizioni di sorta. Ma è vero che bisognerà trovare una pace oltre (senza) il coltello. Un accomodamento che sarà, però, una tregua armata.

Il Quadraro è cambiato o sta cambiando – un pub in arrivo, murales nel Giardino dei Ciliegi, oltre a quelli di via dei Lentuli (ma ne parleremo in una puntata futura) – ma nulla potrà far dimenticare la storia triste di quell’alba nazista. Nulla potrà togliergli quell’aria paesana, privarlo del senso maudite e un po’ malinconico, né fargli perdere l’orgoglio del colore rosso, l’idea di vivere – condividendoli – i principi di un’uguaglianza che per altri è sopravvalutata. Ma i risultati, a ben vedere, sono sotto gli occhi di tutti. Il Quadraro, come pochi altri quartieri romani, avrebbe bisogno di un vincolo che lo protegga per quello che è oggi. Un’oasi urbana con una specie a rischio di estinzione, da proteggere: un’architettura fatta di libertà monocellulare pianificata. Non la serialità dei villini a schiera che omologa il desiderio di indipendenza in un concetto-alveare in cui tu che compri hai l’impressione di aver scelto quello che, in definitiva, ti ha scelto. O, peggio, comprato.

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