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Carrère, la Letteratura, la Verità
Di Carvelli (del 30/09/2013 @ 11:51:26, in diario, linkato 786 volte)

Arrivo tardi a dirvi di cosa parla “L'avversario” di Carrère – libro ripubblicato ora da Adelphi su cui, nel frattempo, sono scorsi inchiostro e pourparler! – così me ne disinteresso. Volutamente. Me la cavo precisando due dati necessari: 1 trattasi di cosiddetta autofiction; 2 ne è protagonista oltre allo scrittore testimone Jean-Claude Romand, autore di un’efferata serie di omicidi famigliari e di un non riuscito tentativo di suicidio al termine di questi nonché reo di aver per anni ingannato tutti (cari compresi) fingendo una vita che non ha mai vissuto. Fatte queste brevi premesse scrivo con un po’ di libertà e pretesto che per me il tema di questo libro è: quanto coefficiente di verità siamo capaci di omettere anche in buona fede. La sua trama è, definitivamente, quanto possiamo rimanere invischiati nella menzogna, nella finzione. Abbiamo o abbiamo amato davvero la moglie o il marito che abbiamo avuto? Lo, la abbiamo scelto, scelta? I figli che abbiamo avuto di che amore li abbiamo nutriti? E così via. Ma io volevo parlare non di questo libro ma dei libri. Della letteratura. Cosa voglio da Lei. Cosa mi aspetto da Lei. E c'entra la questione della verità e della finzione. La domanda è: quanta finzione anche la Letteratura – L maiuscola – può sostenere? Quanto scarto rispetto a quella e a che prezzo e scopo deve tollerare? E mi rendo conto che per me al di la del principio del piacere la vera letteratura deve mantenere un coefficiente misurato e sobrio in questo scarto. Detto questo, leggo e apprezzo libri che quel coefficiente allargano a forbice. A volta anche con piacere. A volte divertendomi. Punto. A capo.

"Una dolorosa lucidità è preferibile a una pace illusoria" su questo non posso che convenire con Carrère. Anche la narrativa non dovrebbe proporre ammaestramenti o inganni e comunque è meglio che dia anziché che dica. Che usi insomma le parole che creano piuttosto di quelle che illudono anche se poi certo c’è la poesia che gioca una fiche “effetti speciali” in più e per questo è sottomessa (pur con la concessione ampia della musicalità) alla regola dell’opportunità e della necessità in modo più stringente. Chiusa parentesi. In definitiva scrivere una storia dovrebbe contenere una sfida all'ordine costituito della realtà quanto della finzione che spesso pari sono nei termini della caccia alla verità per come la intendo io. Quello che forse insinua nel finale de “L’Avversario” Carrère: "un crimine o una preghiera". Un crimine o una preghiera. Trovate voi il regolo di queste parole. Verrebbe da parafrasare la sentenza degli psichiatri su Romand: "prima tutti credevano a tutto ciò che diceva, adesso nessuno crede più a niente, e lui stesso non sa cosa credere, perché non ha accesso alla propria verità, ma la ricostruisce con l'aiuto delle interpretazioni che gli offrono gli psichiatri, il giudice e i media". Il destino della letteratura è credere in se stessa e così farsi credere. La verità c'entra anche se in una forma non realistica e non per forza reale. La verità c’entra sempre. Nella letteratura come nella vita.