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 Il letto di ML... di Carvelli
 
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Dunque, poiché la cosa della quale si parte in cerca non può né deve avere un volto, come riconoscere i mezzi per raggiungerla se non dopo averla raggiunta, e che mai potrà essere la meta se non una meta apparente? Un precettore orientale non parla diversamente, là dove asserisce che il discepolo deve camminare per arrivare, spingersi avanti con la forza del suo spirito al fine di ricevere la sua illuminazione. Il compiersi dell'illuminazione è pari al subitaneo schiudersi del loto o al ridestarsi del sognatore. Non è dato aspettarsi la fine di un sogno, ci si desta spontaneamente quando il sogno è finito. I fiori non si apriranno se ci si aspetta che s'aprano, ciò avverrà da sé quando il tempo sarà maturo. L'illuminazione verso la quale si procede così non si raggiunge. Essa verrà da sé, quando il tempo sia maturo.

Cristina Campo
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Vi espongo i fatti (4)
Di Carvelli (del 23/02/2010 @ 09:51:21, in diario, linkato 1028 volte)

Che cos’è un “curriculum sentimentale”?

 

 

A sentire Carlo le persone si presentano bene o male dal punto di vista dei sentimenti. Bene o male, solo così. Delle due, per sé, lui sceglie un’autovalutazione negativa.

Una volta, presentandosi a una ragazza, già tutto sommato ben disposta nei suoi confronti, aveva detto “NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE: ecco cosa scriverei fuori di me come se fossi un pacchetto di sigarette”. La frase a effetto aveva colpito lei e i rischi paventati sarebbero state malattie purtroppo reali. Non si sbaglia mai a presentarsi male. Lo sapeva Carlo e non sapeva di saperlo quella ragazza che si chiamava Giulia. Ma questa è un’altra storia. Carlo e Giulia. Una storia che dal momento in cui raccontiamo fa parte di una specie di piccola archeologia amorosa.

Il momento da cui racconto è quello in cui Carlo ha conosciuto Anna e siamo qualche anno dopo. Neanche molti ma abbastanza per credere che si tratti di due persone diverse: Carlo dopo Anna, Carlo prima di Anna. Uno spartiacque che ha tagliato il corso placido del fiume che era, che era sempre stato prima di conoscerla. Una diga, un salto, una cascata che non lascia l’acqua ferma mai.

 

 

 

Anna – e siamo a uno dei loro primi incontri – di sé aveva detto molto semplicemente a Carlo: “Anna è questa e anche quella”. Parlava di sé in terza persona e si chiamava per nome in una prova di vigore egotico e impersonalità insieme. Carlo era troppo preso dall’incanto della voce e dal sottile e semplice tribale del braccio – un particolare nascosto agli sguardi meno intimi delle persone che l’hanno incontrata fuori   per capire quale era Anna delle due, quali erano le due Anne a cui lei stessa richiamava la libertà di quella ubiquità. Anche giorni o mesi dopo non avrebbe saputo dire la doppia Anna. Anna in breve sarebbe stata una – una per lui, unica per lui – e la disattenzione sarebbe stata premiata con un dolore nuovo per lui abituato più a far soffrire che a soffrire. La novità, naturalmente, sarebbe stata in certo qual modo apprezzata pur nel male. Da lì sarebbero scaturite riflessioni in forma di lamentazione, vittimismo ed espiazione. Espiazione necessaria.

Qualcuno a quel punto avrebbe dovuto richiedere a Carlo: “Carlo, che cos’è un curriculum sentimentale?” E mettersi lì ad attendere una nuova risposta.

 

 

 

Alla domanda Quanti anni hai?, invece, Carlo risponde 29, per una consuetudine che si è prolungata ben al di là di un anno. La Carta d’identità dice infatti quasi 31. Ma lo sconto praticato dal portatore non è, in definitiva, mal riposto. Tutto in Carlo – dall’abbigliamento alla perfetta forma fisica, a un certo modo di scherzare e prendere la vita con una leggerezza senza confini – conferma l’età giovanile e la diminuzione non stona. Ma non ci sono vezzi dietro questa piccola decurtazione. Solo consuetudine, come detto. Spesso un anno dura due. O forse un anno particolare come quello del trentesimo di vita finisce per essere annunciato e festeggiato, atteso e quindi prolungato da celebrazioni che lo posticipano. Gli anniversari fanno spesso questo di buono.

 

 

 

Degli uomini Anna, in estrema sintesi, pensa che siano vittime inconsapevoli – sulla consapevolezza è disposta a mettere mani in altoforno, inteso la vera consapevolezza, che poche volte ha incontrato e per un tempo così ridotto da pensare che sia praticamente casuale come indovinare un paio di numeri al superenalotto – di loro stessi. Li vede schiavi antropologici. Tutti aggravati dalla necessità di dimostrarsi maschi al cospetto della società e di loro stessi. E’ come – pensa Anna – se dovessero continuamente dimostrare alla loro parte femminile che non esiste o conta poco. I primi a soffrirne sono loro stessi.

 

 

 

Anna è stata sposata ha cinquant’anni e nessun figlio. Anna si sarebbe detto anni fa è vedova. Una parola in disuso, oggi. Una parola che si usa, al limite, solo per chi ha figli. Una parola che si usa con un compatimento che rischia di ingessare chi la riceve. Meglio ricevere la perentoria classificazione di una definizione spaziale come Anna è sola? Forse neppure. Ma è come si sente Anna, a dispetto dell’amichevolezza di tanti colleghi, dell’amicizia sincera di tanti parenti della sua e della famiglia dell’ex-marito Augusto. Di Laura.

 

 

 

Ecco in sintesi le due schede sentimentali dei nostri protagonisti che abbiamo lasciato in una birreria e che fra un po’ ritroveremo in un ristorante che segue qualche aperitivo insieme a Laura e ad altri. Sempre insieme ad altri. Ma sempre con la domanda sottesa Usciranno mai da soli? E soprattutto: Come si troveranno? E ancora: E’ già il tempo di smettere i panni neri della vedovanza per Anna? Domande generali. Domande dei due. Domande soprattutto di Anna. E soprattutto perché le risposte sono di Anna. E’ lei l’ago della bilancia di questo piccolo pezzo di futuro in attesa.

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