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 Il letto di antonella con ouzo... di Carvelli
 
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Questo lillà perde i fiori. Da se medesimo cade e cela la sua antica ombra. Morirò di cose come questa.

Alejandra Pizarnik
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\\ Home Page : Storico per mese (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carvelli (del 28/04/2006 @ 15:13:00, in diario, linkato 1444 volte)
Quel tipo di lettura che interrompe i biscotti e i cornetti, fraziona una fetta di torta, distanzia un cucchiaino di yogurth da un sorso di the o caffè e il salato, che so... una frittata. Quel tipo di frasi lette a mozzichi in un libro caro ma per troppo riposto. Quelle parole che ti sembrava di ricordare diverse, la carta ingiallita, la copertina consumata, una dedica non tua e non per te. Quel tipo di letture lì. Illuminanti.
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Di Carvelli (del 27/04/2006 @ 14:19:05, in diario, linkato 1678 volte)
A un certo punto una qualsiasi musica dei tuoi fatidici anni Ottanta e fai la faccia estasiata. E' giorni che dici che non stai bene, che ti pesa tutto, che niente è come dovrebbe. E poi Grass degli XTC o i Prefab Sprout o The Alarm o Patience di Lloyd Cole e fai una faccia distesa. Non è la stessa di ieri? Ti dico "no". Che c'è di diverso? "Se non te ne accorgi da solo non te lo dico". E alla fine la faccia distesa non ce l'hai più. Ho raggiunto il mio scopo? Penso di no ma se a fianco a me ci fosse un matematico con la faccia severa della scienza e un semplice pallottoliere - così tanto per iniziare il calcolo - allora sì che si vedrebbe con chiarezza che il risultato delle mie azioni è l'infelicità. Ma bisogna enucleare le leggi e il matematico dice "il tempo non torna mai davvero e se torna non cambia il tempo, il tempo cambia il tempo solo in quel tempo". E la musica non cambia.
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Di Carvelli (del 26/04/2006 @ 14:29:19, in diario, linkato 1466 volte)
Non sembra che sia l'aereo ad andare ma le nuvole. Sembra che l'aereo stia fermo e le nuvole gli si buttino contro. Sbattendogli addosso si dissolvono mentre come una chiglia di nave la carena separa il bianco. Un po' di qua e un po' di là. Viaggiano velocissime le nuvole nonostante l'aereo sia fermo e se lo lasciano alle spalle. L'aereo sospeso nel vuoto attende che questa corsa forsennata e bianca si arresti e intanto nel vuoto di sopra e di sotto ancora nuvole e ancora bianco. Mentre il tempo passa. Mentre l'aereo aspetta. Mentre tutto è come sempre è stato.
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Di Carvelli (del 21/04/2006 @ 15:14:12, in diario, linkato 3342 volte)

Questa storia comincia così

un racconto di Enrico Piscitelli

Questa storia comincia così: ero da poco diventato redattore editoriale. Non so se sia lo stesso, per tutti, ma io ho cominciato con un test, venti pagine piene di errori (refusi) e incongruità di vario tipo (difformità). Ecco, mi hanno chiuso in uno stanzino e mi hanno detto di correggere un testo pieno di traccie, castagnie (le castagne, a dire il vero, non c’erano) e di difformità: l’1 al posto della l (sembrano, uguali, ma il bravo correttore di bozze vi dirà che ‘dipende dal font di stampa’), Repubblica Italiana scritto Repubblica italiana e poi repubblica Italiana ecc. (mi raccomando, prima di ecc. niente virgola). Poi ti danno il tuo primo librone, diciamo trecento pagine (i numeri, se possibile, non vanno scritti in cifre) e qualche foglio, diciamo trenta, di Norme tipografiche, dove sta scritto che la casa editrice XY-DELTA vuole URSS in maiuscolo o in MAIUSCOLETTO se non MAIUSCOLO laprimaminuscolotutteLEaltre. Insomma: avevo cominciato a fare il redattore editoriale (pagato un tanto a foglio e, per intenderci, con quattro fogli potevo pagarmi UN caffè) e poi frequentavo IL CORSO. Non sto qui a spiegare il dettaglio, perché voglio essere breve: basta dire che, in fondo, era una terapia di gruppo (troppo generico, MEGLIO: psicoterapia di gruppo). Sedici esseri umani che devono confrontarsi fra loro e pubblicamente, con dei docenti (pagati dall’ente Regione – è un ente, per l’appunto, e quindi la R va maiuscolo – a sua volta finanziato dall’Unione europea) che spiegano perché quando ti gratti il naso FORSE stai mentendo e quando dici sì ma fai di no con la testa SICURAMENTE stai mentendo. Dopo ti costringono a parlare dei tuoi desideri, o meglio tenti di nascondere i tuoi segreti mentre ti gratti il naso di fronte a quindici persone e un docente.
Quindi, ricapitolando, ero appena diventato redattore editoriale e frequentavo questo strano corso (IL CORSO), senza sapere perché (adesso mi prude la caviglia destra). A dire il vero (è la seconda volta che mi appello alla verità) un motivo c’era e qui arriviamo al titolo di questa storia che è: di quella volta che Enrico, che era anche redattore di grossi tomi, dichiarò il suo amore a Lei, che si chiama S. e che frequentava il di Lui corso ed era l’unica-vera-ragione per cui Lui andava in quel posto a farsi del male, titolo lungo, se vogliamo, ma anche promettente. Mancano dei dettagli che non ho voluto inserire per non appesantire la lettura, come il fatto che Enrico dichiara il suo folle amore il giorno di san (minuscolo e per esteso) Valentino, che S. è felicemente fidanzata, come del resto Enrico (Lui, a quanto pare, non felicemente). Per il finale invece, ovviamente, bisogna aspettare LA FINE.
Quindi il preambolo è: ero da poco diventato redattore editoriale e avevo anche, questa volta non da poco, rinunciato al sogno di scrivere un piacevole romanzo, la storia (autobiografica, certo) di Guasto (in corsivo perché anche titolo provvisorio) che ha quasi trent’anni e spiega AL MONDO perché non lavora, perché non studia, perché non si fa le domande che si fanno GLI ALTRI, ma pone a se stesso interrogativi estremamente articolati e intelligenti. Se c’avete provato, a scrivere un romanzo, sapete già parchè il sogno si è infranto; se invece non vi siete mai posti il problema, allora vi dico solo: PROVATECI. Bene, adesso viene il difficile, ossia passare dal sogno di scrivere, di cui sopra (cfr. supra), al giorno di san Valentino, con il protagonista, IO, che dichiara il suo perduto amor. Che poi un collegamento c’è, perché IO quel dannato giorno ha molto insistito su un concetto o meglio su una sequenza logica che comprendeva il vivere, il soffrire, l’amare e lo scrivere. Dato che Lui sa che Lei è legata a Lui solo da un sincero affetto – Lei dice ‘amicizia’ – mentre è legata a lui L’altro (il fidanzato-amante-compagno) da un robusto rapporto di carni, quando Lei, dopo che Lui le ha detto di aver lasciato lei L’altra (che poi un nome ce l’ha ed è A.) perché scopertosi innamorato (e chissà di chi...); quando lei, insomma, si rende conto che Lui le sta dicendo parole grosse e gli chiede di raffinare i Suoi concetti (ricapitolo e uniformo: Lei è S.; Lui è IO; A. è lei L’altra di IO; e lui L’altro è il lui di S.), IO le ho detto, durante la pausa per il caffè, a metà della lezione:
«sai, tu non c’entri, poteva essere un cane, una pietra, l’importante è provare quello che provo, perché solo così posso vivere, perché per vivere devo soffrire, per soffrire devo amare, e per amare devo vivere e [per amare] devo scrivere [TESTUALE]».
Ora, tralasciando e per amare devo scrivere (diamine! una cagata la possono dire tutti), la sequenza logica, per me, non fa una piega. Guasto, quello del romanzo, non fa niente perché non ama, crede di amare, ma se amasse farebbe qualcosa, ed infatti IO faccio il redattore editoriale e soffro perché ho scoperto come mai si pubblicano tanti libri. SPIEGAZIONE SINTETICA: le università considerano la pubblicazione di un saggio come benefit (per le parole straniere non ancora pienamente in uso nella lingua italiana il corsivo non è optional). Il dirigente della SALCAZ SRL ha l’auto e il telepass gratis; il cattedratico un bel libro: ogni pagina (formattata, redazionata, corretta, collazionata, stampata, distribuita) ha un prezzo; se hai fatto carriera avrai un volume tutto tuo, se invece il tuo prestigio accademico è tale e quale quello di un piffero traverso ti devi accontentare di un opera colletanea (il classico A CURA DI, cinquantasei saggi, centoventisei autori, quindici pagine a saggio). IO – Lui, Enrico – redaziona questo, studi sul mobbing nelle scuole elementari di Mazara del Vallo, o sul matrimonio degli Aborigeni, che in realtà non si sposano ma vanno a cercarsi sotto le pietre i princìpi di vita dei figli non ancora nati. Quindi è chiaro che soffre e, se soffre, ama e vive e scrive (non fa una piega, no?).
Ma torniamo alla FINE: Loro sono rientrati in aula, Lui guarda Lei nella speranza che anche Lei guardi Lui, ma non è così. Allora scrive un biglietto per darglielo e fuggire:
«[lo sto ricopiando pari pari, giuro] non è colpa mia, mi è salita sta cosa, piano/ piano/ no, non è colpa mia, non si scelgono ste cose/ non si sceglie di non mangiare, non si sceglie di non dormire/ ma credimi, è bello non mangiare ed è bello non dormire/ è bello sentirsi vivi e camminare confusi/ ogni respiro vale doppio [apice del momento poetico] e sono felice/ posso solo dirti grazie/ perché nei tuoi occhi ho ricominciato a respirare».
All’improvviso però Enrico decide di non fuggire, di fare un ultimo tentativo: tossisce, attira l’attenzione di S. e le mima VADO VIA, SEGUIMI, ORA. O meglio, crede di averle mimato quelle quattro parole (e due virgole), ma forse si è confuso e ha detto IO ESCO: FRA VENTI MINUTI, SE TI VA, RAGGIUNGIMI, e in effetti aspetta un bel po’, ma non è un problema perché Lei alla fine esce e Lui si fa accompagnare alla stazione (si fa un’ora di treno ogni giorno). Per tutto il tragitto IO penso che farei ogni dannata cosa per un bacio, dico un-solo-bacio (i due trattini congiuntivi per dare l’idea dell’unicità), mentre Lei mi racconta di come ha conosciuto il suo di lei L’altro, di come questo di lei L’altro le è stato vicino nei momenti difficili ecc. Sono le ore 19.23 del giorno di san Valentino, in un auto bianca che accellera e frena, accellera e frena, due persone fanno un vecchio gioco che si chiama: sì lo so che ti sei reso ridicolo, ma non ti preoccupare, io sono bella e non sai quante volte mi è già capitato, quindi non ti preoccupare (e sono due!) perché possiamo fare finta di niente. Ma Lui non ha nessuna intenzione di fare finta che tutto questo non sia mai accaduto e decide: PRIMO – ¬che non andrà mai più al CORSO; SECONDO – che tenterà di baciare S. prima di andare via, verso i binari uggiosi (non piove affatto, ma IO sono convinto di sì); TERZO – decide di voler essere felice, perché non c’è altro modo per esserlo se non scegliere di esserlo.
La stazione è davvero piccola, è solo un muro che divide IL binario dalla strada, il treno sta arrivando, Lui la guarda e le dice che non si vedranno mai più: esco dalla macchina e sparisco senza voltarmi.
Ed ecco IL FINALE: Lui sale sul treno e si accorge di fare una cosa che non si aspetta, sorride. IO guarda il suo riflesso confuso col paesaggio scuro (insomma: guarda fuori dal finestrino) e lo vede, Guasto, e anche lui sta sorridendo.

da www.famlibri.it

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Di Carvelli (del 21/04/2006 @ 14:34:17, in diario, linkato 1423 volte)
Quello che succederebbe se... Quello che è successo ma... Una lista, un catalogo di cose in previsione ma senza certezze, senza realismo. La magia del domani ma ad indovinare. Alla fine è meglio un anatema, uno scongiuro, uno sberleffo. Non il gioco d'azzardo. Né prima del risultato, né dopo. Ma provare, tentare fa l'effetto di un trasalire che piace. Anche se in prospettiva.
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Di Carvelli (del 20/04/2006 @ 14:10:47, in diario, linkato 1781 volte)
Tempeste di sabbia. Tempeste d'acqua. Tempeste in un bicchiere. Pieno. Vuoto. D'acqua, di vino. Tempeste di paura. Tempeste d'orgoglio. Di dolcezza. Di rabbia. Tempeste di niente. Tempeste di parole. Di silenzio. Di sensazioni. Tempeste sul mare. Tempeste lontane. Tempeste che si avvicinano. Tempeste di domani. Tempeste oggi. Tempeste forse. Tempeste di te. Di me. Tempeste, comunque tempeste.
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Di Carvelli (del 19/04/2006 @ 14:44:55, in diario, linkato 2358 volte)
Strano mettere la data
alle lettere come fossero
valide solo per oggi come
rassicurandosi di non poterle
rileggere domani. strano sapere
che tutto varia indefinitamente
strano mettere il luogo da
cui vengono scritte e non
quello da cui partono
non : dal cuore per un attimo
dall’anima prevedibilmente
per sempre, dal corpo
per una notte che lo riduca
in cenere.

ottobre 96

 

altre poesie qui www.nazioneindiana.com/2005/08/03/io-con-vestito-leggero/

 

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Di Carvelli (del 19/04/2006 @ 14:21:11, in diario, linkato 1536 volte)
L'esatta misura di questo non dici. Non sai dire. L'esatta metratura di questo spazio in mezzo a noi, non la concepisci coi numeri. La segni con delle bolle: così sono le parole di poche lettere. da qui a lì. E non sappiamo se è poco o è molto. E' il solito problema del ricevente e del parlante. Dici di "codesto" che non si usa più e si prova a fare un calcolo del tanto, dell'abbastanza, del troppo. Come evidente ci sinceriamo del semplicismo di un "varia al variare delle variazioni" (dici proprio questa frase e poi la neghi ed è un peccato perché è bella). Apodittica, dici. E io dico che era più bella prima che avesse questa tua sintomatologia. Ci perdiamo in questa voragine in mezzo a noi. Poi riniziamo tutto da capo. Come ti chiami?
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Di Carvelli (del 18/04/2006 @ 15:37:06, in diario, linkato 1422 volte)
Ho visto INSIDE MAN e ho pensato che spesso i gradi del potere quando si scoprono tra di loro si riconoscono solo nella misura di un sopra e di un sotto mentre la lateralità, l'orizzontalità non si evidenzia, non si appalesa. E' come se la verticalità fosse l'unica misura della riconoscibilità e a quel punto, solo a quel punto, i componenti di questo sopra e sotto riuscissero a dialogare, negli unici termini che riconoscono: comando, ordine, dovere, obbligo. Fuori da questo vettore cittadino sotto poliziotto sotto gradi superiori sotto interessi superiori si realizzasse la relazione. In parole povere: la relazione è il ruolo inteso come potere su non come funzione. Non so perché ma ho pensato a Genova e al G8. Non so perché ma ho pensato: "e se tutto si corrompe? che succede?", "e se la verticalità non ha principi di BENE COMUNE esiste ancora un VANTAGGIO GENERALE?" Queste cose ho pensato chissà se da solo oppure no.
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Di Carvelli (del 14/04/2006 @ 12:11:46, in diario, linkato 1497 volte)

E' un racconto da antologia. Lo è il racconto per la penna di chi lo scrive (Gianni Celati) e per la voce che trova (un perfetto io di memoria che poi sfocia in ultime meravigliose 40 righe). Sto parlando di VITE DI PASCOLANTI (primo racconto che dà il titolo alla raccolta da poco uscita nella collana gransassi della Nottetempo).

Siamo al liceo e siamo con quei personaggi improbabili che siamo stati noi al liceo. Noi maschi (era giusta la distinzione grossolana di genere allora...sarebbe grave ma spesso è ancora giusta oggi). Noi maschi distinti dalle femmine (era ingiusta la semplificazione anche nel caso delle nostre alter ego?). Quel microcosmo di incertezze e di dubbi, di illusioni a portata di mano. Quel tempo di mitologie sessuali così epiche (sembravano adorazioni di  statue greco-romane) anche nel racconto (ed edipiche), favolose e slittate negli anni, verso le mamme degli amici. Trans dettate dalle forme come in una geometria del desiderio che adorava l'esagerazione più che la norma e la idealizzava. Celati restituisce perfetta quella tempe(rie)sta ormonale che a leggerla è viva e forse non ci fa più vergognare ma sorridere di tanta ingenuità panica.

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