Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 30/05/2008 @ 11:54:51, in diario, linkato 1409 volte)
Lettere da una affinità estetica e affettiva
Entrambi stranieri all'italiano, la scrittrice austriaca e il musicista tedesco lo scelsero come lingua del cuore nel rapporto che li unì per oltre vent'anni. Una anticipazione dalla loro corrispondenza, in uscita giovedì per la Edt con il titolo «Lettere da un'amicizia»
A Ingeborg Bachmann Ischia, 7 luglio 1953 7 GIUGLIO SAN FRANCESCO CASA CAPUANA FORIO D'ISCHIA (NAPOLI) Cara ingeborg bachmann, certo è pericoloso essere favoriti dalla fortuna e ricevere troppo affetto, ma un po' di fortuna di quella che non gocciola dalle grondaie intellettuali e non va a finire in fauci intellettuali, un po' di gioia delicata e di amore, forse, su una terra molto fredda sconosciuta e incontaminata, piccoli miracoli di bellezza e purezza, non può essere che un bene per chi ha voglia di lavorare: ed è questo che il futuro deve darci, spero che mi capisca. se Lei immaginasse quanto sto bene qui! inoltre è accaduto come un miracolo, apollo calando dal sole si è stabilito in quella parte chiamata san francesco dal santo di assisi, in basso, al di sotto dei vigneti, tutto avvolto da raggi di colore azzurro scuro. antico sguardo ferino. il resto non conta, comincio a lavorare, come se fosse la prima volta. nulla è accaduto finora. perché non viene qui? se mi dice precisamente che idea si è fatta (anche riguardo la spesa) Le cerco qualcosa, così quando viene troverà tutto a posto. ma è meglio se viene prima così poi si mette a cercare da sola, il che è più bello, così,anche in questo caso, non avrà da ringraziare nessuno se non se stessa. Suo hw. henze A Hans Werner Henze (minuta di lettera) Klagenfurt, I novembre 1955 Klagenfurt Henselstraße 16 il I novembre 1955 Caro Hans, Questo pomerigio è arrivata la tua lettera, e mi tocca molto che è venuto ancora una volta un tempo il quale porta fuori la necessità della nostra amicizia o come si vuol chiamare questa stranezza. Penso che sento abbastanza bene il tuo buio - anche senza sapere i ragioni presenti, i detagli - e non sono meno importanti? Non è sempre lo stesso male che fa soffrire, nascosto o aperto? Ma prima di darti coraggio, lasciami dire un'altra cosa, un po' in relazione col problema. In una tua letteratu scrivi che io non ho detto la piena verità sulla mia situazione; questo è vero, ma non parlo perché so che posso convincere questo stato meglio senza parlare. Non è una mancanza di fiducia. Tu capisci: abbiamo parlato raramente su di me in questi ultimi tempi, e era anche poco utile, poco necessario, perché abbiamo vissuto tu là e io là, era anche bene per trovare una base più libera. Però mi sento su questa base libera nonostante più vicino a te e pronta per che cosa sempre. A Ingeborg Bachmann Napoli, 30aprile - 2 maggio 1958 30 aprile 1958 Divina, gemma come dura pietra, proprio adesso è arrivato un cablo dal covent garden, dove dicono che mi vogliono vedere lì soltanto alla fine di giugno. il che mi fa anche piacere a causa del mio hölderlin, ma mi dispiace perché così lo changement d'air va a farsi benedire insieme ai sopramobili inglesi che pensavo di acquistare, i soldatini scozzesi appisolati sui cannoni, le pastorelle e i caprioli dipinti in terracotta, per i quali vado matto. e questo significa che tu ancora una volta dovrai prendere una decisione. sarebbe magnifico se tu salissi su un avion e spuntassi qui, sarebbe divino e fantastico e sarei contento da morire! troverai ad attenderti un delizioso appartement e un hans che verrà a prenderti alla stazione o all'aeroporto con una elegante 1100 dalla linea slanciata e la bella terrazza ecc. ecc. e noi ci divertiremo da morire. se ti sbrighi potresti addirittura beccare la compagnia stoppa-morelli che presenta «uno sguardo dal ponte» nell'adattamento di luchino. splendida ape regina, principessa dei piselli, sanguisuga argentata, strega della poesia, suvvia non dir di no, venire devi. che ne dici alla fine della settimana? oppure? please make me happy! at least for a week you must stay! hans A Hans Werner Henze Uetikon am See, 4 gennaio 1963 4 - 1 - 63 Uetikon am See Seestrasse, Schweiz Tel: 740213 Caro, caro Hans, non pensare che facevo soltanto chiacchiere quando dicevo che volevo scriverti spesso - perché tante volte ho davvero iniziato, ho cercato di strappare dolorosamente al mio mutismo qualche parola, ma non ci sono riuscita. Oggi sono capace, perché ormai per me è certo che la vita degli ultimi anni è finita. Non so proprio da dove iniziare. Va avanti così già da quattro mesi, da quando mi trovo qui terribilmente sola e isolata da tutto e quelle poche volte che vedevo qualcuno per un'ora dovevo per giunta fare bella figura, ho dovuto fingere che non ci sia niente, soltanto un po di malattia. Ma non era vero, non era un po di malattia, ho dovuto andare alla clinica due mesi fa, perche ho provato di suicidarmi, ma non lo farò mai più, era una pazzia, e ti giuro che non lo faccio mai più. Poi c'è oltre ora questa operazione che anche era molto grave per me, più psichicamente, ma per questo anche più grave fisicamente. Adesso sono uscita dall'ospedale e sto sui miei piedi e comincio di sperare un po, non so esattamente che cosa, ma semplicemente spero che ci sia ancora qualcosa, lavoro, l'aria, mare, di tanto in tanto, più tardi, un po di allegria. (...) Tutto è stato come una lunga lunga agonia, settimana per settimana, e non lo so proprio perché, non é gelosia, e tutt'un altra cosa; forse perché ho voluto veramente, tanti anni fa, fondare una cosa durabile, «normale», alle volte contro le mie possibilita di vivere, ho insistito sempre di nuovo anche se ho sentito di tanto in tanto che la trasformazione necessaria ferisce la mia legge o mio destino - non so come esprimerlo bene. Forse pure queste spiegazioni sono false - ma il fatto è che sono ferita a morte e che questa separazione è il piu grande fiasco della mia vita. Non posso imaginare una cosa più tremenda di questa che ho vissuta e che mi possessiona ancora oggi, anche se oggi comincio a dirmi che devo continuare, che devo pensare ad un futuro, ad un vita nuova. Ti scrivo tutto questo non solo per parlare con te, ma per farti capire che non è un capriccio se insisto tanto che tu venga per un giorno o due da qualche parte con me, che mi stia vicino - ne ho tanto bisogno. Lo so bene che per te adesso - con tanto lavoro e tante faccende importanti - è difficile fare un viaggio e so anche bene che preferiresti dieci volte di più fare altro e anch'io te lo consiglierei. E poi il tempo, l'inverno, certo non contribuiscono a rendere più allettante il viaggio per te. Ma ti prego, ti prego vieni con me e puoi essere certo che io non me ne starò seduta accanto a te con il broncio e durante il viaggio non sarò per te un peso, una pietra. Devo fuggire via da qui, anche soltanto per qualche giorno, e vorrei tanto essere felice con te e godere di ogni metro di strada e di ogni luogo e di ogni cibo. E non conosco nessuno con il quale io posso farlo e vorrei poterlo fare, eccetto te. Sì Hans è ingiusto quello che chiedo, ma se esiste un cielo certamente ti ricompenserà. Degli amici nessuno sa ancora che ci lasciamo, attenderò ancora qualche giorno, finché Max a New York non si sarà liberato delle due faticose serate di gala, questa e la prossima settimana. Allora gli scriverò, che nemmeno per salvare le apparenze sono disposta a far durare oltre la cosa e poi non ce la faccio proprio più a continuare, perché tutto ciò mi tiene legata - ed io adesso ho urgente bisogno di muovermi liberamente. Per il momento non dire ancora niente a nessuno; aspetta un po' e sarò io stessa a dirlo, se è necessario, con un «no comment». Adesso io spero, spero, spero che non succede nessun imprevisto e tu venerdì presto potrai darmi una buona notizia. Vorrei tanto rivedere Napoli, è proprio infantile, ma lo vorrei tanto e immagino già tutto il viaggio, le stradine e l'autostrada, può darsi che io poi non resto - sivedrà - ma ritorno con te. Questo sarebbe già, non credi?, abbastanza ragionevole. Adesso faccio solo cose ragionevoli, mi riposo per bene, per essere in piena forma, e presentarmi a te nella condizione migliore, le carte stradali le so ancora leggere molto bene, anche se noi due il «sud» lo conosciamo a memoria. Hans, ti prego! Ti abbraccio Tua Ingeborg LUI Hans Werner Henze Compositore tedesco, orchestratore raffinato, marxista convinto, Hans Werner Henze - nato nel 1926 - è dotato di una parabola compositiva che dal neo-classicismo va fino al jazz. Allievo di Wolfgang Fortner, cominciò con l'utilizzare la tecnica dodecafonica per poi disertare gli obblighi dello strutturalismo e della atonalità, fino introdurre, per esempio, in «Boulevard Solitude», elementi del jazz e della canzone francese. Nel '76 ha fondato il Cantiere Internazionale d'Arte a Montepulciano, dove venne eseguita la sua opera per bambini «Pollicino». LEI Ingeborg Bachmann Poetessa e romanziera nata a Klagenfurt in Carinzia nel 1926, allieva del filosofo della scienza Victor Kraft, debuttò scrivendo per la radio ma si fece conoscere tramite il Gruppo '47, che la invitò per la prima volta nel 1953 . Fra le sue opere più riuscite e più note il romanzo «Malina» del 1971, prima parte di una trilogia concepita con il titolo «Cause di morte», la cui seconda e terza parte restò in forma di frammenti. Scrisse libretti per opere musicate da Henze, e gli ultimi racconti vennero raccolti sotto il titolo «Simultan». Morì per le conseguenze di un incendio scoppiato nella sua casa romana nel 1973.
Di Carvelli (del 30/05/2008 @ 11:40:33, in diario, linkato 1332 volte)
Di Carvelli (del 30/05/2008 @ 08:51:32, in diario, linkato 1209 volte)
Ieri metro. Uscendo una ragazza diceva "je pija a male". Je pija a male. Je pija a male. Sono stato un bel po' a pensare perché non "je pija male". Io me la ricordavo così. Gli (o le...è uguale) prende male, non gli va bene, si arrabbia, lo fa indispettire eccetera eccetera. Sempre più spesso sento dire Je pija a male e mi domando se sia contaminazione laziale del romanesco (in questi giorni esce, dedicato, un libro di Trifone: verificare). Qual è la versione più rispondente alla grammatica italiana? Un tempo si diceva pija subbito d'aceto (per s'inacidisce). Boh non so. Noi c'abbiamo il nostro dialetto. Diciamo fica e non figa (anche se suona male, più duro con quella c e non adatto all'intercalare ma sicuramente più adatto per il resto). Diciamo "mavaffanculo" (prendendo la ricorsa e senza risparmiare effe e c). E' un dialetto duro. Che non risparmia i raddoppi ( appunto subbito)ma poi (un po' ironicamente, ma senza rendersene conto, leva le doppie...matina invece di mattina). Sicuramente se a uno dici dajie ivece di dai gli verrà più voglia di muoversi, si sentirà più incoraggiato all'azione. Forse i dialetti servono prima che sono. Ecco allora che Roma avrà autoprodotto per sé un dialetto irriverente e duro (non sarà che è un'autoimmunizzarsi contro il potere qui molto praticato iun tutte le sue sfere?). Un dialetto sonoro e veloce: provate a cronometrare coglioni e cojoni. Un'arma di offesa quindi (di difesa in ultimo). Parole che servono da scudo. O un lancio di pietre per allontanare i malintenzionati. Anche solo idealmente. Irridere il potere=avere potere proprio. Anche se poi è tutta un'illusione.
Di Carvelli (del 29/05/2008 @ 16:42:02, in diario, linkato 1173 volte)
"Quale romanziere non guarda agli anni degli esordi con meraviglia e quella dolente invidia che l'immagine di noi stessi giovani ci ispira? Quanto gli sembrava facile allora creare quegli esserini di carta, e, una volta creati, quanto erano malleabili, pronti alle sue necessità, avidi dei suoi ordini..."
Di Carvelli (del 29/05/2008 @ 13:03:59, in diario, linkato 1143 volte)
«Forse l’unica ragione per cui io mi considero un uomo intelligente è appunto il fatto che in tutta la vita non sono mai riuscito a cominciare né a finire nulla […] ma che farci, se l’unica, immutabile strada che sia data a un uomo intelligente è precisamente quella della chiaccchiera, ovverosia di un premeditato travasare del vuoto nel vuoto?» (Fedor Dostoevskij, “Memorie dal sottosuolo”).
Di Carvelli (del 29/05/2008 @ 09:37:03, in diario, linkato 1162 volte)
Leggo dell'Argentina. E' quella di Antonio Moresco. In Scritti di viaggio, di combattimento e di sogno (Fanucci). E' un bel titolo tra l'altro: non nel senso estetico ma per completezza di contenuto. "Si vede che ci sono momenti che bisogna improvvisamente viaggiare" così parte Moresco. Dalla rottura di una stasi. Una lunga stasi. La Buenos Aires di Moresco è città di contrasti. Mi sorprende questa consonanza (dovrei dire corrispondenza antropologico-evoluzionista): "Passano continuamente tutti questi corpi grandi, donne belle, impennate, dalle forti strutture ossee, le schiene dritte, le ossa delle spalle in linea retta e gettate all'indietro, le tette in fuori, la spina dorsale animale dritta, incavata, il culo forte che sporge. E mi viene da pensare che tutto l'orrore che c'è stato in questa città e in questo paese, tutta la violenza fisica, diretta, da uomo a uomo, sui corpi, questa macchina spaventosa della tortura dei corpi è stata se possibile ancora più spaventosa anche perché ha avuto a che fare con questi corpi forti di grandi mangiatori di carne, dotati di una simile potenza ossea e così pieni di sangue, che altri mangiatori di carne pieni di sangue hanno a uno a uno steso sui lettini, per giorni e giorni, per mesi, torturato, stuprato, gettato giù dagli aerei, strappando i neonati dalle viscere delle madri per poi segregarli in nuove carceri famigliari, cose inventate qui e mai successe prima allo stesso modo in nessun altro paese, da nessun'altra parte, tutto in nome dell'Ordine e della Cristianità e dell'Occidente, nello spaventoso silenzio complice delle alte gerarchie della stessa Chiesa che pure si dice nata da un leggendario torturato e condannato a morte".
Di Carvelli (del 28/05/2008 @ 10:22:45, in diario, linkato 1598 volte)
Sull'ultimo numero on line di Silmarillon intervista scritta a me e visual al mio editor Daniela D'Angelo. Come dire: camera e cucina. Un appartamentino insomma. Manca il bagno, direte? Ma no. Il bagno c'è. C'è sempre qualcosa che si butta nella scrittura e nel lavoro di editing. Anche a malincuore. Eppure serve buttare e anche tirare lo sciacquone. Buttare è la prima cosa. Ma buttare e conservare nella mente (fare come se ancora fosse lì, a portata di mano, che lo puoi recuperare non è la stessa cosa). Buttare è buttare. Rinunciare, fare vuoto. Tirare la catena e basta. Questa è una cosa che ha molto a che fare con la religione, con la fede, con la mistica. Ecco volevo parlare della scrittura e lo sciacquone. L'ho fatto. L'editor per me è (non è solo questo) quello che ti dice "butta" e tu butti. Poi ti dice "tira la catena" e tu arrivi persino ad imitare il verso dello sciacquone. Ma finché non tiri davvero la catena l'esperienza mistica non scatta e la casa, peraltro, rimane anche un po' sporca. La ragione per cui spesso leggiamo tanti brutti secondi o terzi o decimi libri di un autore nasce da qui. Che crescendo nessuno scrittore vuole sentirsi dire tira l'acqua. E scrive con questo culto delle sue...interiorità. Questo è spesso un fallimento della mistica della scrittura e il trionfo dell'egotismo. Il successo, la vendibilità, il trionfo dell'immagine e del market autoriale non ha nulla a che vedere con la qualità e potremmo fare l'esempio tragico di libri di grande successo e premi che meriterebbero ogni tre per due un "tira la catena". Ecco: io soffro nel vedere tanta...interiorità...nei libri (anche nei miei: ad esempio in Kamasutra c'è qualche mancato tira la catena, lo so). Mi sembra un po' di cattivo gusto e irrispettoso verso il lettore anche se spesso chi sente l'odore è solo quello più smaliziato. Scusate questo breve inno alla deiezione. Così, di mattina.
www.silmarillon.it/homepage.asp?numero_ID=20
Di Carvelli (del 27/05/2008 @ 16:03:55, in diario, linkato 1198 volte)
"C'era qualcosa in lei che mi faceva pensare alla parola 'fagottino', ma non sapevo bene cosa. Non era via della sua corporatura - era alta e snella. Di sicuro non era il piercing al naso, né la ragnatela tatuata sul braccio sinistro, o la complicatissima spada disegnata lungo la clavicola".
Avevo mancato di riparlarvi di Amanda Davis e del suo bellissimo MI CHIEDO QUANDO TI MANCHERO'. Provvedo un po' così, con questa citazione che non rende giustizia delle tante belle pagine, delle descrizioni di persone e di un tono generale che fa davvero colla amichevole. Una colla che ce lo mette addosso e ce ne conserva il clima.
Di Carvelli (del 27/05/2008 @ 12:54:17, in diario, linkato 1258 volte)
"Non voglio provare desiderio per lui! Non voglio provarlo per nessuno, non voglio sentire niente e basta! Non voglio essere attratta da un atto d’amore, o anche solo pensarlo; voglio libertà, voglio la liscia sterilità delle monete, che si sfregano una contro l’altra, consumate dal tocco di mani amiche; a trent’anni voglio dire addio all’amore, perché non sono forte abbastanza. Una donna nell’atto d’amore non prova gioia ma solo spavento, una parodia del travaglio del dare la vita. Tortura. Il cuore che batte a centosessanta, centottanta battiti al minuto, dov’è la gioia in tutto questo? Cos’è questo inganno, questo scherzo? Il corpo stesso non è forse uno scherzo?" (Joyce Carol Oates, Storie americane).
Di Carvelli (del 27/05/2008 @ 09:15:17, in diario, linkato 1159 volte)
Delle preziose compagne degli inizi (anni) di scrittura mi ricordo la piccola ma interessante rivista di letteratura TRATTI (Fogli di letteratura e grafica da una provincia dell'impero) che ora so anche resistente. Mi arrivano a distanza di anni due numeri di questo sforzo appassionato che si fa a Faenza. La guida spirituale si chiama Leotta, la casa editrice Moby Dick. Il numero 77 aveva la curiosa campionatura d'auto di Elio Paoloni. Il 78 è un florilegio di poesia ben introdotto da Cesare Ricciotti ("La grammatura delle parole"). Vi segnalo le poesie del veneto Andrea Longega. Trascrivo questa - facendo torto al dialetto di partenza - in lingua.
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Ancora quasi a quarant'anni salgo le scale dietro di te. Il pantalone che si alza ad ogni scalino ti segna la gamba magra, gamba di chi ha fatto poco sport, ed io - diverso anche in questo - chiudo la fila, dietro di te.
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