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		Una poesia ancora di Filippo Strumia 
		Vorrei conoscere gli operai delle cave quelli che cavano i nostri pensieri
 e sanno davvero usare la benna,
 quelli che aprono lunghi cunicoli
 dove non siamo mai stati
 e nemmeno sapremmo entrare.
 Forse hanno le mani sporche
 e anche i loro sindacati
 Vorrei conoscerli perché di certo
 non amano il padrone né lo odiano.
 Lavorano come noi un po’ di traverso.
 Ognuno fa la sua parte più o meno,
 ma chi si preoccupa se il prodotto è finito?
 Gli addetti alla consegna non sono responsabili,
 cosa c’entrano loro se il sogno è scarso?
 Come vorrei parlare da uomini
 e andare con loro all’osteria
 un po’ di vino, calcio e allegria,
 vorrei mostrare che sono simile a loro
 non sono migliore non sono un padrone.
 Sono quello che loro mi danno
 sassi grezzi e pensieri a volte buoni
 oppure solo un po’ d’argilla e terra bagnata,
 ma che farci?
 Non sanno come mi sento solo
 e come vorrei essere loro amico.
 Non sanno che simpatia mi fa
 il loro mondo scanzonato.
 Strizzo l’occhio anche allo sciopero
 che mi lascia senza parole.
 Io non merito davvero un’altra dedizione,
 lo so che sfrutto il loro sudore
 e quando dal fondo esce una gemma
 non so neanche chi ringraziare.
 
 da Pozzanghere (Einaudi)
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