Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Vestiario
Ti togli, ci togliamo, vi togliete cappotti, giacche, gilè, camicette di lana, di cotone, di terital, gonne, calzoni, calze, biamcheria, posando, appendendo, gettando su schienali di sedie, ante di paraventi; per adesso, dice il medico, nulla di serio si rivesta, riposi, faccia un viaggio, prenda nel caso, dopo pranzo, la sera, torni fra tre mesi, sei, un anno, vedi, e tu pensavi, e noi temevamo, e voi supponevate, e lui sospettava; è già ora di allacciare con mani ancora tremanti stringhe, automatici, cerniere, fibbie, cinture, bottoni, cravatte, colletti e da maniche, borsette, tasche, tirar fuori -sgualcita, a pois, a righe, a fiori, a scacchi- la sciarpa riutilizzabile per protratta scadenza.
(da "Gente sul ponte" di Wislawa Szymborska)
Uscendo dal lavoro, ieri, sono andato ad un parchetto vicino casa dove un mio amico porta il suo cane per chiacchierare e stare un po' con lui. In realtà mi sarei fatto volentieri una birra ma non ho trovato nulla di vicino così sono andato lì a fumare un po' di sigaro e ad assistere al loro rispettosissimo e famigliare parlare di cani. Tutti pronti a solidarizzare in questa area circondata in cui facco giocare i loro compagni di vita. Ci si sente un bel po' fuoriposto ma va pure bene ogni tanto. Ti senti alla fine che i tuoi problemi non sono nulla davanti alla vita di quattro zampe coperte di pelo che riescono a strappare amicizia e amore senza cambiare nulla della loro natura. mentre a noi alle volte sembra di dover fare chissà cosa per un po' di considerazione.
Dopo ho deciso di farmi un barbecue anche se ero solo a casa. Alle volte mi piace questo piccolo spreco di carbonella (solo ad accenderlo avrò speso un'ora ieri) e carne. L'idea che stai facendo una cosa solo per te anche se è di molto più bello farlo per altri. Facevo avanti indietro dal fuoco alla cosa bevendo vicno rosso e mi sembrava che in casa ci fosse tanta gente (non credo dipendesse dal vino, no). Fuori faceva un po' freddo e tutt'intorno era silenzio. Un amico mi ha suonato ma non ho sentito. Mi ha chiamato, gli ho aperto mi ha aiutato ad accendere il fuoco e se ne è riandato. Ho rivisto Full Metal Jacket. Vi ricordate la scena finale. Con loro che cantano topolin dopo morte e in mezzo ai disatri che bruciano ancora. Ecco, spesso un inno alla vita può anche essere un po' ridicolo, uno stano miscuglio di dolore, pena e un po' di tenerezza infantile.
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Sono ferme, le migliaia, e cantano. Intorno a loro, nel mondo la gente sale su scale mobili e lancia occhiate segrete alle facce che scendono. La gente fa dondolare bustine di tè sopra l’acqua bollente dentro tazze bianche. Le macchine sfrecciano silenziose sulle autostrade, strisce di luce colorata. La gente siede dietro le scrivanie e guarda i muri dell’ufficio. Annusa le proprie camicie e le getta nel cesto della biancheria sporca. La gente si accomoda su poltrone numerate e vola attraverso fusi orari e alti cirri e notti fonde, sapendo che c’è qualcosa che ha dimenticato di fare. Il futuro appartiene alle masse.
Sto leggendo Mao II di Don DeLillo (Einaudi). Con gusto.
17 aprile 1944 è una data che il quartiere in cui vivo non potrà mai dimenticare per i motivi che trovate qui http://it.wikipedia.org/wiki/Quadraro Punto, a capo. C'è questa casa editrice faentina, la Moby Dick ( www.mobydickeditore.it), per la cui rivista Tratti ho qualche volta collaborato e che merita vicinanza e sostegno come tutti i piccoli editori. Ogni tanto ricevo qualche dono e, curiosamente, in questa antologia-concorso che mi mandano E alla fine Beethoven trovo un racconto di Serena Patrignatelli dal titolo 17 aprile. Il racconto offre un altro punto di vista su quella terribile giornata e sulle conseguenze che ne derivarono. Un finale meno triste di quello ampiamente storicizzato (ci sono molti libri a riguardo). Un finale in cui la morte sta discosta. Ogni casa di questo quartiere fu presa di mira. Esiste addiritttura un elenco della parrocchia (grazie al suo eroico sacerdote) che porta casa per casa, civico per civico, l'elenco dei proscritti destinati al campo di concentramento. Ogni anno la memoria rivive con corone e manifestazioni e il quartiere ha una medaglia d'oro al valore. Ho ripensato a tutto questo leggendo questo breve racconto nell'antologia non so in che misura autobiografico. Ho ripensato a quanto da allora è cambiato e cosa è rimasto di quella brutta alba. Se c'è un legame tra quel quartiere di allora e quello di oggi.
Ognuno dovrebbe pensare a sé e agli altri - a un altro o un'altra - come a una piccola orchestra, una nazione, una squadra non importa di quale sport. Ogni volta che qualcuno parla a qualcun'altro davanti dovrebbe avere presente un collettivo. Ognuno potrebbe a ragione darci o darsi del "voi" e stavolta non sarebbe cortesia. Poi, d'accordo, uno parla all'attaccante perché intenda il portiere o al violino perché serva alla tuba. Tutti dovremmo parlarci senza avere la certezza che quello che diciamo raggiunga una sola persona, quella che noi pensiamo. Contro ogni tentazione ho usato il condizionale perché pensavo che non è facile vedere la seconda linea o la terza. Non è semplice guardare un gruppo in una faccia. Ed è vero anche che tutto sommato è più semplice fare una cosa per volta. Anche se è sbagliata.
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