Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 10/06/2009 @ 09:49:35, in diario, linkato 1197 volte)
Visto ieri sera. Consiglio. Le Père de Mes Enfants di Mia Hansen-Løve. Regista giovanissima capace di un'opera (seconda) matura, intensa, sobria. Un film convincente e pieno di dimensioni, una felice compinazione di ottima sceneggiatura, una superba prova di recitazione frutto di una saggia direzione degli attori. Le bambine e la ragazza sono bravissime e poi fa sempre piacere rivedere la Caselli. Quando succede, spesso, è per il bene di un film.
Di Carvelli (del 09/06/2009 @ 17:37:32, in diario, linkato 1239 volte)
Di Carvelli (del 09/06/2009 @ 17:06:00, in diario, linkato 1203 volte)
Di Carvelli (del 09/06/2009 @ 17:03:21, in diario, linkato 1056 volte)
Succederà anche a te che qualcuno ti chieda scusa e ti chiederai “di che?”. Succederà che è tardi e che è meglio andare a dormire, che domani è un’altra giornata di lavoro. Insieme penserai a tutte le cose che nella vita non sono andate come dovevano andare. Ma il pensiero non ti darà più dolore come se fosse l’ultima ora della tua vita. Sai che c’è, ti dirai dandoti del tu e chiamandoti per nome, ce l’hai messa tutta, non hai nulla da rimproverarti. Hai provato, hai tentato, non era il caso. Non eri tu, non era lei. E un po’, sì, ti dispiacerà ma è andata, penserai. Una sera qualsiasi. Un giorno di un anno qualsiasi. Avremmo potuto. Avremmo dovuto. Un giorno. Un anno. Ecco qua: nel tuo giorno ultimo di vita, quello che pensi sia l’ultimo giorno, qualcosa ti starà ricordando errori, assenze. Beh succederà. Non prenderla male, la vita fa così. Hai provato, hai tentato. Lei, era lei. Lui, era lui. Ma non è andata così. Tutto sembrava dover andare in quel modo ma non è andata. E’ tardi per pensare che c’è qualcosa ancora da fare. Non è più il tempo per pensare che forse può ancora cambiare. Che peccato, pensi, sarebbe stato bello se tutto fosse andato in quel modo lì: lei e te, lui e te. Niente da fare, niente fatto. Ti metti il cuore in pace, ti giri dall’altra parte e dici addio a tutto.
BUONA LA SECONDA. La prima impressione non è quella che conta di Roberto Carvelli(03/06/2009) Non è vero che le cose succedono solo la prima volta. Non è vero che il dopo è solo la corruzione del prima. Fatto 1: il trailer del recente film di Marco Bellocchio, Vincere, mostra gli ormai consueti attacchi di isteria a cui ci ha abituati Giovanna Mezzogiorno. Li abbiamo conosciuti con L'ultimo bacio e non ce ne siamo più liberati. Il tutto ha formato de visu un po’ di disappunto. Ora la sentiamo strillare come un’ossessa “Mussolini” e vediamo lui, il dittatore (Filippo Timi), rispondergli con un ghigno grottescamente ridicolo. Guardo il trailer e penso: non andrò mai a vedere questo film: è la prima impressione. Fatto 2: c'era stato un gran parlare del passaggio di una promettente scrittrice napoletana, Valeria Parrella, all’Einaudi. Si era parlato di cifre astronomiche, si era detto di inevitabili successi. All'uscita del suddetto libro, Lo spazio bianco, sono stato assalito, al fianco del contemporaneo tributo di osanna, da una tamburellante campagna denigratoria: il libro è frutto di un editing sin troppo invasivo che le ha strappato la freschezza degli esordi. Uno più uno due: non lo leggerò mai. Questa settimana ho visto il film Vincere e ho completato la lettura de Lo spazio bianco, pur senza averlo acquistato. A dispetto del trailer il film di Marco Bellocchio non è, come temuto, ridondante, eccessivo. Al limite espressionista ma è un colore d'autore che riconosciamo e che amiamo filmicamente in questo regista dall’abbandono degli psicologismi di anni fa. Il film esce con un tempismo (forse non del tutto casuale) a ricordarci i prodromi apparentemente “umani” di una feroce e degradante dittatura. Mai come questa volta Giovanna Mezzogiorno mette al servizio del film il suo carattere. Le righe fra le quali s’immalinconisce o soffre, o strilla o digrigna o si abbandona sono alla equidistanza tra quello che è interpretare e quello che dovrebbe sempre essere verosimigliare (si perdoni il neologismo). Timi è par suo. Ma mi permetto di insistere sull’attrice per rimarcare una riabilitazione, per sottolineare una grazia che le auguriamo di non perdere. Anche il libro di Valeria Parrella - e siamo al Fatto 2 - merita lo stesso bagno di sgravi. E’ la storia ben raccontata di una professoressa di corsi di recupero e per immigrati, primipara, alle prese con un parto difficile (anche per essere frutto di un’unione subito mozza) e prematuro, successivi travagli e attese della vera (ri)nascita della piccola Irene dal plexiglass della neo-placenta all’aria e al biberon. E’ vero che questa volta la scrittura è sincopata, contratta, pensosa (e forse sì il lavorio degli editor ci ticchetta nelle orecchie) ma tutto è al servizio di una storia che tiene dappertutto e ovunque sborda. Le due cose, esserci e disarginare, rappresentano al meglio la condizione umana di chi si avvicina e si allontana, suo malgrado, dalla condizione umana. Che poi, se ci pensate, è La Condizione Umana. La prima impressione non è quella che conta. Fatti N. Così, alla rinfusa. La prima volta che ho visto mia madre e che ho pensato che mai sarebbe morta. Non l’ho pensato, in verità, ne ero certo. Non era un regalo a cui si disponeva la mia generosità, né una forzatura della stima: era così e basta. Di me non ho pensato altrettanto: sarò morto e rinato almeno mille volte e non sempre senza dolore. Temo che andrà avanti così per un po’ e, alla fine, ci ho fatto il callo, anzi mi piace pure. Anche il primo amore non sarebbe finito. Certi politici – un certo politico – prima o poi si sarebbero rivelati per quello che era, a dispetto del “buona la prima” della sua guittezza in onore del nostro immediato avvertimento del male. Pensiamo per giorni, lavoriamo per anni. La vita, a nostro dispetto, agisce per attimi e insieme descrive ere con una facilità di visuale a cui accediamo con sovrastanti difficoltà e non senza essere invasi da una saggezza prospettica che la nostra finitezza umana ci allontana costantemente (davvero un bell’esercizio, il migliore davvero, se si ha la forza di scegliere questo sport così survivor). “Non c’è congruenza” dici? “Non c’è comprensione” pensi? Forse sì. Forse si tratta solo di aspettare. Meglio sarebbe non con le mani in mano e facendo lavorare a tutta forza le nostre capacità. Ma, nel frattempo, è bene ricordarselo, senza fidarsi troppo della prima idea. Questa è la bellezza seconda della vita.
www.amiciperlacitta.it
S. ieri era sicura "noi donne mettiamo solo il desiderio, niente altro, solo il desiderio. Voi uomini mettete il bisogno" e si riferiva all'amore, allo stare insieme (al desiderio dello stare insieme). Era sicura S. Non ho detto nulla non avendo certezze al riguardo. Dopo, era tardi, c'era un tizio a casa di un amico che sarebbe rimasto a dormire lì. Aveva comprato uno spazzolino e un dentifricio: riniziava da lì. Prima c'era stato come evidente qualche litigio e un aut aut. L'aut che aveva scelto (ma perché si dice aut quando non c'è scelta?) era la casa del mio amico. La serata è passata così. Diceva L. "ma perché devo cambiare se ho 50 anni e ho vissuto bene fino ad adesso? perché devo vedere male il mio passato, la mia famiglia, perché devo odiare i miei, perché non posso invece continuare a mantenere i bei ricordi della mia infanzia?" Ci dilunghiamo sui pessimi effetto della psicanalisi. Gli effetti di ritorno. Alla fine ore 2 non arriviamo a un punto. La mostra di foto (fstival della fotografia) sono tanti scatti minimi che nella notte ritornano come sogni che non ricordo.
Dopo era tutto come sempre era stato. Che io ero lì solo a pensare alle cose mie. Tutt'intono brulicavano pensieri e cose di altri. Mi contavo - forse pure mi contavano -, facevo il vuoto di quello che era stato prima. In fondo si poteva riniziare, pensavo. Magari tutto quello che era stato prima poteva tornarmi utile. C'era un filo di vento, c'era un filo di sole. C'erano pensieri sempre più leggeri. Dico: è questo il momento. Dopo... Dopo, non sapevo più dire.
Rivedendo Once upon a time in America - chissà per quale ennesima volta - mi accorgo solo ora, davvero solo ora, che il rapporto tra i due protagonisti è improntato sulla diffidenza. Non proprio: un intrico di diffidenza, adorazione, complicità, competizione, (e pure) diversità. Alcuni piccoli gesti (quello che mettono le mani sulla valigia nel giuramento di lealtà, la scena dell'orologio da tasca rubato...) rivelano da subito che Noodles sa già come andrà a finire questa storia. Lo sa, eppure... Lo sa e la vive. Come succede che si pensa così: andrà in questo modo, finirà così, alla fine lui o lei farà questo. Tutta una casistica di premonizioni che non si ha coraggio per liberare alla luce. No, forse è solo che nella vita è bello vedere andare le cose nella direzione del destinato. O è una scommessa? Persa?
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Di Carvelli (del 29/05/2009 @ 14:42:09, in diario, linkato 1499 volte)
Ne te courbe que pour aimer Si tu meurs, tu aimes encore...
Piegati soltanto per amore se muori, continuerai ad amare...
René Char - 1963
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