Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La differenza la fanno i cappotti. Chi è uscito presto al mattino ne indossa uno pesante. Anche chi ha preso la moto. Gli altri sono usciti più leggeri. A mezzogiorno la differenza la fa l'ingombro delle braccia. Quelli che sono usciti presto ora devono portarlo a braccio e se devono pigiare un pulsante aprire una porta costringono gli altri a essere gentili. Ma non sempre è così.
Di Carvelli (del 27/03/2012 @ 11:35:07, in diario, linkato 1347 volte)
è solamente senso del dovere? una pratica pasticciona un vuoto calpestato m’impediscono di provare piacere semplicemente leggendo? devo restituire restituire attivamente scrivendo? così qui e per quale ragione per quali mescolanze rogge nel corpo? o lombarda abitudine o voglia di non essere ancora morto produttivo produttivo sempre
Giancarlo Majorino - La solitudine e gli altri
Visto Magnifica presenza di Ozpetek. Il film non è brutto come ne ho letto in giro ma è inessenziale. Va anche detto che il regista turco-italiano fa film non necessari per definizione. Dagli albori, a cui poi ha stentato a ritornare. Le fate ignoranti è divenuto essenziale sé nonostante. E generazionale gender-azionale per mood del tempo. Questa volta la costruzione lavora proprio sulla non necessarietà e si fa apprezzare per il coraggio dell'inattualità e del genere che percorre (poco italiano). Non avrei certo citato Pirandello, come hanno fatto regista e sceneggiatrice, ma al limite un Bontempelli (che fa la sua porc-a figura). E avrei riflettuto su certi passaggi di scrittura ma la regia è sontuosa (teatrale per coerenza) e interessante la direzione attori anche se il finale - in scrittura e regia - rischia la caricatura per trovare un'uscita "politicamente corretta". Non mi ha infastidito - anche se un po' telefonato - il gioco Risorgimento/Resistenza/Italia 2012. Tra vedere non vedere: vedere. Ma non per trovare un gioco di trasparenze del memorabile.
Con la mia amica Ele abbiamo una nostra speciale rubrica che si intitola "Lo sai". In questo non siamo forse diversi da La settimana enigmistica o da Focus. Ma i lo sai nostri - meglio i lo sai di Ele - sono più gustosi per me. Perché sono sentimentali, confortanti, malinconici. Il lo sai di ieri era questo. Ele lavora in un grande ufficio pubblico e questo che ne vedete in foto è il corridoio. Ebbene il lo sai di ieri è questo: la donna che lo pulisce ha portato in ufficio la figlia piccola (sei, sette anni?) e gli ha detto: "lo vedi quanto è lungo? Ora capisci quando ti dico che devi studiare?"
Di Carvelli (del 22/03/2012 @ 12:59:22, in diario, linkato 1035 volte)
Così Claudio Piersanti:
Chi cammina senza spostarsi semplicemente da un punto all’altro, chi vaga senza meta apparente, è spesso qualcuno che fugge, anche senza rendersene conto. Il male, la patologia, appunto il pathos, la sofferenza, dategli il nome che volete. Nella mia vita ne ho visti tanti incamminarsi per questa strada. Spesso l’insorgenza della cosiddetta schizofrenia trasforma l’individuo in un camminante. Inizia a girovagare su larga scala, salendo ogni tanto anche su un treno per ottenere una disambientazione totale. La fisiologia del camminare, dicono gli esperti, aiuta l’organismo a produrre sostanze calmanti, credo appartenenti al grande mondo delle endorfine. Ricordo il passo di Amelia Rosselli, leggero e costante di chi va lontano senza darlo a vedere. Era inseguita da nazisti, come si sa, che spesso la spingevano lontano dalla città, verso la costa. Ho sempre pensato che i suoi nazisti non fossero immaginari; eravamo noi ciechi che non li vedevamo. Da Camminare in città - Doppiozero http://www.doppiozero.com/materiali/camminare/camminare-citta
Il primo che avverte una rondine anche se non fa primavera, anche se è primavera, che lo dica a un altro e a un altro ancora come in quelle catene in cui si fa estate in un attimo. L'idea è trovare il giorno preciso e segnarlo sui calendari, confrontandolo di anno in anno. Ieri ho ricevuto tanti sms e mail come se mi fosse morto un parente. Tutti quelli che si ricordavano del mio lavoro su Tonino Guerra, del mio studio su di lui. Si sono fatti sentire dispiaciuti, compiangenti. Si sviluppa così il senso della familiarità. Cresce così. E si radica. In noi e negli altri.
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