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 Il letto di sarisari... di Carvelli
 
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Qui l'attenzione raggiunge forse la sua più pura forma, il suo nome più esatto: è la responsabilità, la capacità di rispondere per qualcosa o qualcuno, che nutre in misura uguale la poesia, l'intesa fra gli esseri, l'opposizione al male. Perché veramente ogni errore umano, poetico, spirituale, non è, in essenza, se non disattenzione

Cristina Campo
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carvelli (del 05/07/2010 @ 16:38:43, in diario, linkato 678 volte)
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Di Carvelli (del 05/07/2010 @ 14:24:38, in diario, linkato 624 volte)
Nel sogno scriviamo insieme una storia. Tu non ti preoccupi dei tanti anni tuoi. Né della mia incostanza, che conosci. Nel sogno vuoi scrivere con me questa storia. Già ma quale storia? La mia storia? Una che devo averti raccontato, una che sai, che ti avrò detto? Tutto questo il sogno non lo dice. Né lo dico io.
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Di Carvelli (del 05/07/2010 @ 10:24:59, in diario, linkato 634 volte)
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Di Carvelli (del 05/07/2010 @ 09:16:59, in diario, linkato 640 volte)
Non stupisce la recente notizia che il divorzio sia contagioso. Ovvero: a divorzi di amici e parenti seguono divorzi di parenti e amici. Di fatto il matrimonio è un fatto sociale e come tale risponde degli stimoli della socialità. Maggiore o minore disposizione al matrimonio, maggiore o minore disponibilità ai divorzi. E poi c'è l'amore. Prima di tutto. Avanti a tutto. Nonostante tutto. Ed è un passo altro. Un po' più in là e un po' più dentro. Con tutto il suo portato di sfide, dolori: l'ideale per farci accampare per leggerezza/alleggerimento un po' di socialità. Cosa altra. Il tutto merita silenzio. Eccolo. Quello bellissimo della canzone che vi linko oggi.
http://www.youtube.com/watch?v=G-60J_HcPoI&feature=related
In cui cantano Ferrer e la Portuondo che alla fine si commuove consolata da lui. E fa sempre un certo effetto vedere una donna in età adulta piangere. Una grande attrice, una grande cantante. L'idea che si possa vivere una vita di amore e senza nessun distacco cantarne i dolori, con dolore. 
Silencio, que están durmiendo
Los nardos y las azucenas.
No quiero que sepan mis penas,
Porque si me ven llorando morirán.

Così cantano come a dire che il dolore non va ritrasmesso lì dove dolore non c'è. Deve morire con sé. Non socializzato. Continuo a leggere Tolstoj è morto di Pozner. Ci sono capitoli di inconsolabilità amorosa totalizzante. Quelli in cui Tolstoj chiede solo di morire e nient'altro. Quelli in cui la moglie manifesta dolore per la fine del loro amore. Questo accade (sono tutte pagine di diario, parole dei due) dopo anni di grandissimo amore. Pare impossibile pensare che il nuovo progetto del marito possa aver condotto la mogle sulla stada di un dolore così insopportabile e lui di conseguenza. Socialità e fine di un amore. Il tema di oggi. E via, buona giornata.
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Di Carvelli (del 02/07/2010 @ 16:25:02, in diario, linkato 600 volte)
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Di Carvelli (del 02/07/2010 @ 16:09:06, in diario, linkato 972 volte)

Prima di morire suicida, poco prima David Foster Wallace leggeva questo intervento in un'università americana.

 

Ci sono due giovani pesci che nuotano insieme, e gli capita di incontrare un vecchio pesce che viene in senso contrario che gli fa un cenno col capo e gli dice: “Buongiorno ragazzi, com’è l’acqua?” ; i due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, poi alla fine, uno dei due guarda l’altro e gli dice “Ma che diavolo è l’ACQUA!?”

 

Se in questo momento vi state preoccupando che io voglia presentarmi qui come il vecchio pesce saggio che spiega cos’è l’acqua ai giovani pesci, per favore non fatelo. Non sono il vecchio pesce saggio. Il punto che salta subito agli occhi della storia dei pesci è che le più ovvie, onnipresenti, importanti realtà sono spesso le più difficili da vedere e di cui parlare.

 

 

Detto così, in questi termini, questo può certo sembrare un banale luogo comune… ma il fatto è che nelle trincee della quotidianità nella nostra vita da adulti, questi luoghi comuni possono essere una questione di vita o di morte. Questo potrebbe sembrarvi un’ iperbole o un’ assurdità.

 

Una grossa percentuale delle cose di cui tendo ad essere automaticamente certo, si rivela poi completamente falsa e deludente. Ecco un esempio della totale falsità di qualcosa di cui tendo ad essere automaticamente certo: tutto nella mia esperienza immediata supporta la mia ferma convinzione che io sia l’assoluto centro dell’universo, la più reale, nitida e importante persona dell’esistenza. Raramente parliamo di questa forma di naturale, basilare egocentrismo, perché è così socialmente repellente… ma è più o meno lo stesso per tutti, in fondo al nostro animo. Sono le nostre impostazioni di default (predefinite, ndt) , prestampate alla nascita nei nostri circuiti. Pensateci: non c’è esperienza che abbiate avuto di cui voi non siete il centro assoluto. Il mondo, per come ne avete esperienza, è proprio lì davanti a voi, o dietro di voi, alla vostra sinistra, destra, sulle vostre TV, sul vostro monitor o quant’altro. I pensieri e i sentimenti delle altre persone vi devono essere comunicati in qualche modo, ma i vostri sono così immediati, urgenti, reali, -- avete presente. Ma per favore non vi preoccupate: non mi sto preparando a farvi la predica sulla compassione, o altre buone qualità o sulle cosiddette “virtù”. Questa non è una questione di virtù, è una questione che riguarda la mia scelta di fare in qualche modo il compito di alterare o liberarmi dalle mie impostazioni di default “cablate” nella mia natura che mi fanno essere profondamente e letteralmente egocentrico e vedere ed interpretare la realtà attraverso questa lente del sé.

 

Le persone che riescono a regolare le loro naturali impostazioni di default in questo modo sono spesso descritte come “ben inserite nella società” (“well-adjusted” nel testo originale: letteralmente “ben regolate”, ndt ), che, credo, non sia un termine accidentale.

 

Visto il trionfale scenario accademico di questo luogo, una domanda ovvia è quanto di questo lavoro di regolazione delle impostazioni di default coinvolga la reale conoscenza o l’intelletto. Qui la questione si fa complicata. Probabilmente la cosa più pericolosa dell’educazione universitaria, almeno nel mio caso, è che autorizza la mia tendenza a iper-intellettualizzare le cose, a perdermi in argomenti astratti nella mia testa invece di fare semplicemente attenzione a quello che accade davanti a me. Spostando l’attenzione su quello che accade dentro di me. Sono sicuro ragazzi che l’avrete già scoperto: è estremamente difficile rimanere attenti e reattivi invece che rimanere ipnotizzati dal costante monologo dentro la vostra testa. Venti anni dopo la mia laurea sono arrivato gradualmente a capire che il cliché delle discipline umanistiche dell’ “insegnarvi a pensare” è in effetti un’abbreviazione per un’ idea molto più seria e profonda: “Imparare come pensare” in realtà significa imparare ad esercitare un controllo su come e cosa pensi. Significa essere consci e consapevoli abbastanza da scegliere a cosa porre attenzione e come costruire i significati a partire dall’esperienza; perché se non siete in grado di esercitare questo tipo di scelta nell’età adulta, sarete assolutamente spacciati. Pensate al vecchio adagio “la mente è una serva eccellente ma anche una terribile padrona”. Questo, come molti detti, così incerto e noioso in superficie, in realtà esprime una grandiosa e terribile verità. Non è affatto incidentale che gli adulti che commettono suicidio con armi da fuoco si sparano quasi sempre alla testa. E la verità è che la maggior parte di questi suicidi sono in effetti morti molto prima che premano il grilletto. E io sostengo che il vero valore della vostra educazione umanistica dovrebbe essere su questo (non dico stronzate): come riuscire ad evitare di vivere la vostra confortevole, prospera e rispettabile vita adulta da morti, inconsci e schiavi della vostra testa e delle vostre impostazioni di default che vi riducono unicamente, completamente e imperiosamente alla solitudine, giorno dopo giorno.

 

Tutto ciò potrebbe suonarvi esagerato, un nonsenso astratto. Allora siamo concreti. Il fatto semplice è che voi prossimi laureandi non avete ancora un’ idea di cosa “giorno dopo giorno” significhi veramente. Esiste una larga parte della vita adulta americana di cui nessuno parla nei discorsi introduttivi. Una parte che riguarda la noia, la routine, e la banale frustrazione. I genitori e la gente di una certa età qui sanno fin troppo bene di cosa sto parlando. Per esempio, immaginiamo di essere in un giorno come tanti: ti alzi presto la mattina, vai al tuo stimolante lavoro, e sgobbi duramente per nove o dieci ore, e alla fine della giornata sei stanco, stressato, e tutto quello che vuoi è andare a casa, cenare, forse rilassarti un paio di ore e poi buttarti in branda presto perché il giorno dopo devi risvegliarti e ricominciare tutto da capo. Ma ti ricordi che non hai cibo a casa – non hai avuto tempo di fare spesa questa settimana, a causa del tuo stimolante incarico – e così ora, dopo il lavoro, devi infilarti in macchina e arrivare al supermercato. Siamo alla fine della giornata, il traffico è micidiale, così arrivare al supermercato ti richiede molto più del dovuto, e quando alla fine arrivi, è gremito, perché chiaramente è l’ora della giornata in cui tutte le altre persone che lavorano almeno otto ore al giorno provano a strizzarsi nel supermercato, e il posto è orribilmente illuminato al neon e infuso di musichette di sottofondo alienanti o pop commerciali, ed è più o meno l’ultimo posto in cui vorresti essere, ma non puoi uscire subito appena entrato: devi vagabondare per le immense corsie, super-illuminate e affollate per trovare le cose che vuoi, e devi manovrare il tuo carrello stracarico tra tutte le altre persone con i carrelli, stanche e affrettate, e poi ci sono i vecchietti glacialmente lenti, le persone assurdamente imbranate, i bambini con la sindrome ADHD; tutti che bloccano la tua corsia e devi stringere i denti e cercare di essere il più gentile possibile mentre gli chiedi di lasciarti passare, e alla fine, in conclusione, hai tutta la spesa per la cena, solo che ora la fila alla cassa è incredibilmente lunga, cosa stupida ma che ti fa imbestialire, per non puoi sfogare la tua furia sulla frenetica cassiera. Comunque alla fine arrivi alla cassa, paghi il tuo cibo, aspetti che una macchina autentichi la tua carta di credito e poi ti senti dire “arrivederci” in una voce che è indiscutibilmente la voce della morte, quindi devi portare nel carrello le tue buste di plastica sottile piene di vivande attraverso un parcheggio affollato, sporco e accidentato, provare a caricarle in macchina in maniera tale che non cada tutto fuori rotolando per l’abitacolo mentre ritorni e poi devi guidartela tutta fino a casa, in mezzo al lento traffico dell’ora di punta, pesante di SUV, eccetera, eccetera.

 

Il punto è che nella banale e frustrante merda come questa è esattamente dove viene chiamato in causa l’esercizio della funzione dello scegliere. Perché l’ingorgo, le corsie affollate e le file alla cassa mi danno il tempo di pensare, e se non faccio una decisione consapevole su cosa pensare e a cosa fare attenzione, sarò incazzato e infelice ogni volta che andrò fare la spesa, perché la mia impostazione di default è la certezza che situazioni così riguardino veramente me, la mia fame, la mia stanchezza e il mio desiderio solo di arrivare a casa, e sembra come se, precisamente tutti mi si mettano in mezzo alla strada, e chi sono queste persone in mezzo alla mia strada? E guarda quanto sono repellenti la maggior parte di queste, e come sembrano stupide, non umane, manzi dall’occhio spento in fila alla cassa, oppure quanto sono fastidiose e volgari quelle che parlano ad alta voce al cellulare mentre fanno la coda, e guarda quanto è profondamente ingiusto tutto ciò: ho lavorato veramente duro tutto il giorno, ho fame, sono stanco e non riesco neanche ad andare a casa, mangiare e riposare a causa di queste dannate persone.

 

Oppure, certo, potrei essere in una forma più socialmente cosciente delle mie impostazioni di default, e passare il tempo nell’ingorgo serale arrabbiato e disgustato di tutti gli enormi, stupidi, ingombranti SUV, Hummer e furgoni pickup V-12 che bruciano serbatoi da 150 litri di gasolio, e soffermarmi sul fatto che gli adesivi patriottici o religiosi sui parafanghi sembrano sempre essere sui veicoli più grossi e distintamente prepotenti, guidati dai piloti più brutti, sconsiderati ed aggressivi, che generalmente stanno parlando al cellulare mentre tagliano la strada alla gente per guadagnare dieci stupidi metri nella coda, e posso solo immaginare come i figli dei nostri figli ci disprezzeranno, per aver sprecato tutte le risorse del pianeta e probabilmente incasinato irrimediabilmente il clima, e potrei anche pensare a quanto siamo stupidi, viziati e disgustosi, a come facciamo schifo tutti quanti, e così via , ancora ed ancora…

 

Guardate, se scelgo di pensare così… bene, nessuno me lo impedisce, molti di noi lo fanno – a parte il fatto che pensare in questo modo tende a essere facile e automatico- non deve essere una scelta. Pensare in questo modo fa parte delle mie impostazioni di default: la modalità automatica, inconscia con cui faccio esperienza della noiosa, frustrante e affollata parte della vita adulta, quando agisco nella automatica e inconscia convinzione che io sia il centro dell’universo e che i miei sentimenti e immediate necessità sono quelle che dovrebbero determinare le priorità del mondo. Il fatto è che, ovviamente ci sono modi differenti di pensare in queste situazioni. Nel traffico, tutte queste macchine ferme immobili sul mio percorso: non è impossibile che alcune delle persone nei SUV siano state vittime di terribili incidenti d’auto in passato e per loro guidare è così traumatico che il loro analista non ha potuto fare a meno di consigliargli un enorme e pesante SUV per sentirsi più sicuri alla guida; oppure che l’Hummer che mi ha appena tagliato la strada, forse è guidato da un padre il cui figlio piccolo, sul sedile accanto è malato o ferito e sta correndo all’ospedale e ha una fretta molto più grande e giustificata della mia – effettivamente sono io che sto intralciando la sua strada. Oppure posso scegliere di sforzarmi a considerare la possibilità che tutti quanti nella coda al supermercato sono annoiati e frustrati quanto lo sono io, e alcune di queste persone probabilmente hanno tutto sommato una vita più dura, tediosa e penosa della mia.

 

Di nuovo: per favore non pensate che vi stia dando consigli morali o che vi dica che dovreste pensare in questo modo, o che qualcuno si aspetta che lo facciate, perché è difficile, richiede volontà e sforzo mentale e, se siete come me, alcuni giorni non sarete in grado di farlo o semplicemente non lo vorrete. Ma nella maggior parte dei giorni, se siete lucidi e consapevoli a sufficienza da darvi la possibilità di scegliere, potete guardare in maniera differente questa grassa signora dall’occhio spento e il trucco pesante che ha appena sgridato il figlio nella fila alla cassa – forse non è sempre così, forse è stata sveglia per tre notti di seguito tenendo la mano del marito che sta morendo di cancro alle ossa, o forse è la stessa impiegata della motorizzazione, sottopagata con contratto a termine, che proprio ieri ha aiutato tua moglie con quell’incubo burocratico di documenti, bolli e autorizzazioni. Certo, nessuna di queste cose è probabile, ma neanche impossibile – dipende tutto da quello che decidete di tenere in considerazione. Se siete automaticamente certi di sapere cosa è la realtà e chi e cosa è importante – se operate secondo le vostre impostazioni di default – allora voi, come me, non considererete possibilità inutili e fastidiose. Ma se avrete veramente imparato a pensare, a fare attenzione, allora saprete che avete altre possibilità. Sarete in grado di vivere un’ esperienza lenta, affollata, rumorosa, da girone dantesco del consumo, non solo come significativa, ma sacra, splendente della stessa forza che illumina le stelle – compassione, amore, l’unità di tutte le cose che si nasconde sotto la superficie dell’apparenza. Non che tutta questa roba mistica sia necessaria: la sola cosa Vera, con V maiuscola è che voi decidete come provare a vederla. Riuscite a decidere coscientemente cosa ha significato e cosa no. Riuscite a decidere cosa credere…

 

Perché ecco un’altra cosa Vera: nelle trincee della vita quotidiana degli adulti non esiste una cosa come l’ateismo. Non esiste una cosa come il non adorare nulla. Tutti adorano. L’unica scelta che abbiamo è cosa adorare. E una ragione prominente per scegliere qualche forma di Dio o cose di tipo spirituale – sia esso Gesù o Allah, Jahvé o le dee-madri Wicca, le Quattro Nobili Verità o qualche insieme di infrangibili principi etici -- è che più o meno ogni altra cosa che adorerete vi divorerà vivi. Se adorate il denaro e gli oggetti materiali – se da questo attingete il senso per il vostro vivere – allora non ne avrete mai abbastanza…non avrete mai la sensazione di averne avuto abbastanza. E’ la verità. Adorate il vostro corpo, la bellezza e l’attrattiva sessuale e vi sentirete sempre brutti, e quando il tempo e l’età inizieranno a farsi sentire, morirete un milione di morti prima che vi abbandonino definitivamente. Ad un certo livello, tutti conosciamo già queste cose – sono state codificate in miti, proverbi, cliché, epigrammi, parabole: l’ossatura di ogni grande passato. Il trucco è tenere la verità sempre davanti agli occhi, in una consapevolezza quotidiana. Adorate il potere – vi sentirete deboli e spaventati, e avrete bisogno di altro potere sugli altri per tenere a bada la paura. Adorate il vostro intelletto, essere considerati intelligenti -- e finirete per sentirvi stupidi, un imbroglio, sempre in procinto di essere scoperti. E così via.

 

Attenzione, la cosa insidiosa di queste forme di adorazione non è che siano perverse o peccaminose; è che sono inconsce. Sono impostazioni di default. Sono il tipo di adorazione in cui scivoli gradualmente, giorno dopo giorno, diventando sempre più selettivo su quello di cui ti accorgi, e su come misuri il valore delle cose, senza mai essere pienamente cosciente che è quello che stai facendo. E il mondo non ti dissuaderà dall’operare secondo le tue impostazioni di default, perché il mondo degli uomini, dei soldi e del potere viaggia a meraviglia con il carburante della paura e del disprezzo, della frustrazione, della brama e del narcisismo. La nostra cultura attuale ha imbrigliato queste forze in modo che producano straordinarie ricchezze, confort e libertà personale. La libertà di essere i padroni dei nostri minuscoli regni delle dimensioni del cranio, da soli al centro dell’universo. Questo tipo di libertà si vende molto bene. Ma certo ci sono tipi diversi di libertà, e del tipo più prezioso non sentirete molto parlare nel mondo lì fuori, fatto di conquiste, realizzazioni e esibizioni. Il tipo di libertà veramente importante riguarda l’attenzione, la consapevolezza, la disciplina e l’impegno e l’essere in grado di prendersi cura veramente delle altre persone e sacrificarsi per loro, più e più volte ogni giorno, in una miriade di piccoli gesti né seducenti né clamorosi. Questa è la vera libertà. L’alternativa e l’incoscienza, le impostazioni predefinite, la corsa al successo (“la corsa dei topi” tradotto letteralmente, ndt) – la costante e lancinante sensazione di aver avuto e perso qualcosa di infinito.

 

Lo so che cose come queste forse non suonano come divertenti, elettrizzanti o fonte di grandi ispirazioni. Per quello che ne so io sono semplicemente la verità, senza troppe stronzate retoriche. Ovviamente potete pensarne quello che volete. Ma per favore non liquidatelo come una predica ammonitrice della dr.ssa Laura (Laura Catherine Schlessinger, speaker radiofonica ndt). Nulla di tutto questo riguarda la moralità, la religione, i dogmi o le grandi domande sulla vita dopo la morte. La Verità con la V maiuscola riguarda la vita prima della morte. Riguarda arrivare a 30 o forse 50 anni senza avere il desiderio di spararvi. Riguarda la semplice consapevolezza, consapevolezza di ciò che è così vero ed essenziale, così nascosto in bella vista intorno a noi, che dobbiamo continuare a ricordarci continuamente: “questa è l’acqua, questa è l’acqua”.

 

E’ inimmaginabile quanto sia difficile farlo, e rimanere coscienti e vivi, giorno dopo giorno.

 

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Di Carvelli (del 02/07/2010 @ 09:56:31, in diario, linkato 692 volte)

Oggi il mio gatto Google ha compiuto il suo piccolo genocidio. Nel giardino un nido e due uccellini trucidati. Formiche a piovere. Il nido era una calotta di gommapiuma o così sembrava. Gli uccellini erano sanguinolenti e patiti.

D'estate cambiano leggermente le mie abitudini. Nel frigo caffè freddo. Colazione con caffè con ghiaccio e frutta fredda di frigorifero. A letto lenzuola bianche di lino ereditate dalla famiglia. I piedi scalzi. Avanti e indietro dal giardino.

Ieri magnifico concerto di Herbie Hancock. Vitalistico e sperimentale. Intelligente, a tratti arguto. Tra i brani questo
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Di Carvelli (del 01/07/2010 @ 09:33:17, in diario, linkato 647 volte)
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Di Carvelli (del 01/07/2010 @ 09:03:50, in diario, linkato 666 volte)

Tutto era già in cammino. Da allora a qui. Tutto
il tempo, luminoso, sfiorava le labbra. Tutti
i respiri si riunivano nella collana. Le ombre
di Lambrate chiusero la porta. Tutta la stanza,
assorta, diventò il primo battito. Il nero
dei tuoi capelli contro il giallo dell’ultimo raggio.
Da allora a qui. Era il primo giorno dell’estate.
Il silenzio ci riempiva la fronte. Tutto era
già in cammino, da allora, tutto era qui, unico
e perduto, nostro e remoto, ardente. Tutto chiedeva
di essere atteso, di tornare nel suo vero nome.

da Milo De Angelis - Tema dell'addio - Mondadori

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