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 il letto di Silvia... di Carvelli
 
"
Ever tried. Ever failed. No matter. Try again. Fail again. Fail better.

Samuel Beckett
"
 
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carvelli (del 26/01/2011 @ 08:52:38, in diario, linkato 605 volte)

Ho visto e non mi è particolarmente piaciuto Qualunquemente. Le battute erano quelle che conoscevamo già (Fazio ecc) e la bravura indiscutibilie dell'attore non emerge. E' schiacciata, soffocata. I personaggi laterali sono abbozzati, prevedibili e dispiace anche per l'uso normalizzato di attori pur bravi. Indispone poi, in un cinema stracolmo la continua risata su un film che è più tragico che comico se uno pensa a quello che viviamo.

Ho visto e mi è molto piaciuto La donna che canta.  Un film che, pur a rischio di retorica e di boommalismo (conio qui per dire di "ricerca di effetto") riesce a stare sulla riga. Attori bravi. Ottima costruzione, una costruzione non facile per l'incastro delle storie. Magari ne riparlo.

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Di Carvelli (del 24/01/2011 @ 15:05:14, in diario, linkato 688 volte)
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Di Carvelli (del 24/01/2011 @ 14:54:33, in diario, linkato 1274 volte)

Parlando di Kyoto, Tabucchi cita questi versi.

Kyoto ha fortuna,
fortuna e palazzi,
tetti alati,
gradini in scala musicale.
Attempata ma civettuola,
di pietra ma viva,
di legno, ma come crescesse dal cielo alla terra.
Kyoto è una città bella
fino alle lacrime.
Vere lacrime d'un certo signore,
un intenditore, un amatore di antichità,
che in un momento decisivo
al tavolo delle conferenze
esclamò che in fondo ci sono tante città peggiori -
e d'improvviso scoppiò in lacrime sulla sua sedia.
Così si salvò Kyoto,
decisamente più bella di Hiroshima.


Wislawa Szymborska

 

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Di Carvelli (del 24/01/2011 @ 09:24:08, in diario, linkato 766 volte)

Pur avendo molte cose da dirvi sarò breve (non come alle conferenze si sente dire prima dei pistolotti). Ho visto due film e ve ne parlerò nel prossimo. Ho avuto - non so come - il tempo per leggiucchiare Antonio Tabucchi - Viaggi e altri viaggi (Feltrinelli). E mi dispiace aver scoperto di essere stato a Kyoto senza aver visto la tomba di Tanizaki su cui c'è scitto un solo ideogramma. Si traduce SILENZIO. Oppure NIENTE. Sarà per un altro viaggio.
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Di Carvelli (del 24/01/2011 @ 09:16:05, in diario, linkato 750 volte)
Grazie alla fedele e impagabile e. torno a postarvi alla vecchia maniera, a colori veri.
">.
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Di Carvelli (del 21/01/2011 @ 14:48:19, in diario, linkato 718 volte)

Non riuscendo più a regalarvi i video nella forma in cui ve li ho sempre impacchettati (se qualcuno sa come si fa a rimettere i video con lo schermetto... gratitudine massima). Per ora ve lo linko così e basta. Musica per le vostre giornate e serate allegre.
">.

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Di Carvelli (del 21/01/2011 @ 08:51:27, in diario, linkato 872 volte)

Il 16 maggio 1973


Una delle tante date
Che non mi dicono più nulla.

Dove sono andata quel giorno,
che cosa ho fatto – non lo so.

Se lì vicino fosse stato commesso un delitto
- non avrei un alibi.

Il sole sfolgorò e si spense
Senza che ci facessi caso.
La terra ruotò
E non ne presi nota.

Mi sarebbe più lieve pensare
Di essere morta per poco,
piuttosto che ammettere di non ricordare nulla
benché sia vissuta senza interruzioni.

Non ero un fantasma, dopotutto,
respiravo, mangiavo,
si sentiva
il rumore dei miei passi,
e le impronte delle mie dita
dovevano restare sulle maniglie.

Lo specchio rifletteva la mia immagine.
Indossavo qualcosa d'un qualche colore.
Certamente più d'uno mi vide,

Forse quel giorno
Trovai una cosa andata perduta.
Forse ne persi una trovata poi.

Ero colma di emozioni e impressioni.
Adesso tutto questo è come
Tanti puntini tra parentesi.

Dove mi ero rintanata,
dove mi ero cacciata –
niente male come scherzetto
perdermi di vista così.

Scuoto la mia memoria –
Forse tra i suoi rami qualcosa
Addormentato da anni
Si leverà con un frullo.


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Di Carvelli (del 20/01/2011 @ 17:10:51, in diario, linkato 727 volte)
Non era. Non era prima, almeno. Né è stato. Non hai capito. Non sono stato. Poteva essere diverso. In un altro modo. Questo.
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Di Carvelli (del 19/01/2011 @ 11:59:26, in diario, linkato 879 volte)

Grazie all'interessamento di e. (grazie!) ecco a voi.

Elogio del flop
di Hans Magnus Enzensberger [laRepubblica, 18/1/2011]

FLOP è un termine stranierorelativamente nuovo epiuttosto gradevole per la qualità onomatopeica che l’Oxford English Dictionary gli attribuisce; anche i dizionari tedeschi gli rendono adeguatamente onore traducendolo con“insuccesso” e “fiasco”. È un concetto indispensabile soprattutto nello show business, ma anche in altri campi svolge un buon servizio. Il più delle volte al cupo frastuono che un flop fanascere, segue un silenzio deciso e duraturo. Care sorelle e fratelli in arte, voi potete scrivere versi, recitare, dipingere, fare film, cantare, scolpire o comporre: ma perché parlate così malvolentieri delle vostre piccole o grandi débacle? Vi vergognate forse? Siete preoccupati di fare brutta figura? Su questo punto vorrei tranquillizzarvi. Da quello che mi avete confidato sottobanco, penso proprio di non essere l’unico ad avere alle spalle dei flop di un certo interesse, altrimenti non mi prenderei la briga di sciorinarveli davanti. Perché non fate la stessa cosa? Vi accorgereste che un esercizio del genere può essere non solo istruttivo e refrigerante, ma anche molto divertente. Difatti in ogni cosa per noi penosa è insita una buona intuizione, e mentre chi lavora nella vigna della cultura cerca di dimenticare presto i suoi successi, il ricordo di un flop dura invece per anni, se non addirittura per decine di anni, con una intensità abbagliante. I trionfi non riservano alcun insegnamento, gli insuccessi al contrario stimolano la conoscenza in svariate maniere. Ci spingono a dare un’occhiata alle esigenze del mercato, alle maniere e alle usanze delle industrie più rilevanti e aiutano lo sprovveduto a valutare le insidie e i terreni minati con cui in questo campo si trova a fare i conti. I flop hanno inoltre un effetto terapeutico: possono, se non guarire, almeno mitigare le malattie professionali che colpiscono a volte gli scrittori, come la perdita del controllo o la megalomania. Per quanto mi riguarda, confesso che a poche esperienze sono così grato come ai miei flop; affermo anzi che nel corso del tempo mi sono diventati sempre più cari. Per questo vorrei presentarvi una rassegna di progetti falliti a cui ho lavorato più o meno intensamente. Manca sino ad ora una ricerca scientifica sulle cause che portano a un flop, manca anche una classificazione utile che dovrebbe considerare l’altezza da cui si cade, le dimensioni, la visibilità e la posizione di chi osserva un flop: di queste cose non ho alcuna intenzione di occuparmi. Inoltre questa piccola raccolta non ha alcuna pretesa di essere completa: un campionario completo correrebbe infatti il pericolo di stancare il lettore già solo per la ricchezza degli argomenti. Oltretutto una serie di progetti li ho semplicemente dimenticati. I migliori flop della mia vita li offre, come è noto, il palcoscenico. Mentre un libro può contare, anche nel peggiore dei casi, su un’aspettativa di vita di settimane o di mesi, ossia fino a che il disinteresse del pubblico e della critica diventa palese e una sfilza di stroncature lo fa precipitare nell’oblio, una messinscena fallita viene trombata con una rapidità che tecnicamente ricorda una ghigliottina ben oliata; sembra persino di sentire il cupo rumore con cui questo strumento di morte esegue il suo compito. Per questo i miei flop teatrali sono per me i più indimenticabili e i più cari. Il settore che può vantare i più grandi aborti è, notoriamente, l’industria del cinema. Le sue tradizioni e le sue usanze sono, come sanno tutti coloro che ne fanno parte, davvero barbariche. Ciò dipende presumibilmente dal fatto che i film sono smisuratamente costosi. Chi ha la disgrazia di pensare in immagini in movimento, deve tener conto di una serie di ostacoli di cui un saggista o un poeta non hanno la più pallida idea, dato che i costi di produzione del loro esile volumetto sono diecimila volte più bassi di quelli di un film di Hollywood. Come nel mercato globale dell’arte, le possibilità di successo al cinema dipendono da un massiccio apporto di capitali. Il denaro è la cocaina di queste due branche. Gli autori che pensano malvolentieri alle loro piccole o grandi sconfitte, li posso comunque capire; che sugli scenari delle arti regni l’ingiustizia, non è una novità. Perfino un novellino alle prime armi intuisce che lì, da tempo immemorabile, impazzano bugie, intrighi e trucchi a non finire. Sono queste le cose che costituiscono la base affaristica dell’impresa. Unirsi al coro dei soliti lamenti rivela un animo delicato, ma non promette niente di buono per il futuro. Invece di perdere tempo con queste difficoltà, è ben più sensato tirar fuori dalla manica la prossima carta da giocare e avere un barlume di speranza. Questa è una cosa che non dovrebbe riuscire troppo difficile.

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Di Carvelli (del 19/01/2011 @ 09:16:58, in diario, linkato 666 volte)
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