Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 16/09/2008 @ 12:26:38, in diario, linkato 1506 volte)
Io vi ho amata: e ancora forse l'amore Nell'anima del tutto non ho spento; Ma che esso non sia per voi tormento; Non voglio che alcunché vi dia tristezza. Io vi ho amata in silenzio, senza speranza, Di timidezza soffrendo, di gelosia; io vi ho amata davvero, e così teneramente Come Dio vi conceda d'essere amata da un altro.
ALEXANDR PUSKIN (da Viaggio d'inverno nella versione Giudici-Spendel)
Cosa c'è di lugubre nella morte, chiede. E quello gli risponde "Il modo in cui viene celebrata dai vivi". - Vuoi dire "esorcizzata"? E l'altro insiste "proprio celebrata"...vuole dire che "esorcizzarla" è un pensiero troppo alto e troppo ricavato. L'idea è proprio quella che va celebrata per sentirsi meglio. - Tipo "mors tua vita mea"? - Sì una cosa così. - Dunque non celebriamo la morte ma i morti. - In un certo senso... ma magari non è stato sempre così e non lo è ovunque.
"Sono uno straniero. Vivo in un paese diverso da quello in cui sono nato e da sempre sono sensibile al problema delle differenze culturali". Così Tzvetan Todorov intervistato da Fabio Gambaro su Repubblica di oggi. Mi domando se si possa condividere la stessa affermazione pur essendo vissuti e vivendo da sempre nella stessa città, nello stesso paese. Eppure in un tempo diverso. Un tempo nuovo. In un paese che ne è uscito cambiato senza aver avuto - io - (non sempre certo) l'abilità e la prontezza di adeguarmi a questi cambiamenti. Viviamo un tempo diverso. E siamo stranieri del nostro paese senza la forza che si sprigiona nell'adeguamento, nel conoscere, nell'essere davvero stranieri in terra straniera. Che comunque è sempre un tema culturale, anche questo. E temporale.
www.zoemagazine.net
La classificazione dell’eroe per tipo di Roberto Carvelli Il padre di Antonio Di tutte le cose che potevano accadere alla vita di quest’uomo che è la mia, la peggio che poteva succedere è che ti nasce un figlio con l’handicap. Non lo so cosa ti può succedere che è peggio. Che non hai studiato che i professori parlano con quei paroloni, che non ci sta niente e capisci una cosa per l’altra, che dici proprio a me, che ti monta una rabbia che spaccheresti ogni cosa che questa cosa proprio non la capisci: che ti è nato un figlio anormale. A certi, certe cose non hanno da succedere. Una famiglia ricca, può essere. Ma uno che sgobba per due soldi no. Che devi fare? Lo tieni a casa e cerchi di lavorare più che puoi perché pensi “io muoio e a quello chi ci pensa? La sorella?” e lo sai che la sorella non ci penserà. Così lavori e ti spacchi la schiena ore. Ti svegli e lavori. In mezzo c’è solo il materazzo. E dopo? La cassa come per tutti. Di legno come tutti. Le immaginette, le preghiere, i fiori e basta. Questa è. Io zingaro Io zingaro io cassonetti tu butta e io raccoglie, io zingaro tu odia ma io serve: tu televisore plasma io tuo vecchio synudine, tu aspirapolvere nuova io tuo vecchio folletto; io zingaro tu butta e io raccoglie e domenica vende mercato; tu dice io inutile ma io serve, se tu lascia nessuno prende strada sporca gente lamenta e invece io prende e vende; tu butta mobiletto vecchio io vende tu lascia monitor computer io carica su furgone e vende; tastiera radio giradischi macchina moka tu butta io non butta; io prende e dopo strada pulita. Tu dice io mangia alle tue spalle nooooo tu butta pane e io pulisce e mangia. Tu butta e io raccoglie. Ehi sono Serena Studio da infermiera, tiro cocaina, sono sagittario. Mi tamburellano in mente queste tre frasi. Le dico che quasi non mi sembrano mie. Cerco di pensare alle persone a cui le ho sentite pronunciare. O era una sola? A quanto ne so potrebbero essere tre persone o una. Un ricordo sbagliato. Studio da infermiera tiro cocaina sono sagittario Da come suonano potrebbero essere un rap. Forse solo un rapper può inanellare tre sequenze così dissonanti. Ma a questo punto sarebbe una rapper donna. Conosco rapper donne? Che vuoto! Da quando è così? Da quando cerco di mettere insieme ricordi confusi? Provo a cantare a mente i miei tre versi. Studio da infermiera tiro cocaina sono sagittario Mi suonano. Li ripeto. Più e più volte. Ripasso nella mia agenda mentale la successione delle uscite serali per vedere se c’è un concerto, un gruppo rap. Vado in un negozio di dischi specializzato e chiedo. Esistono rapper donne ma nessuno sa rintracciare le mie tre frasi in un pezzo hip hop. Per giorni continuo a rappare. Studio da infermiera tiro cocaina sono sagittario Se solo ricordassi un particolare, qualcosa che mi aiuti a dare un nome e un giorno a tutto questo. Ehi sono Serena studio da infermiera tiro cocaina sono sagittario. Sì potrei essere io. Se ci metto il nome davanti pare che sta parlando di me. Non è che sono una rapper e non lo so? Ehi sono Serena. Il figlio di Bruno Se fossi stato calciatore avrei potuto aiutarti. Bastava che sapessi appena palleggiare. Con un po’ di fortuna e una buona scuola calcio saresti stato mio figlio, il figlio di. Un calciatore come papà. La curiosità del cognome e avresti avuto quell’attenzione che altri ragazzi possono solo sognare. Già solo quello ti avrebbe aiutato. Il minimo per entrare in una squadra pure piccola, farsi notare, farsi prendere come il figlio di. Un motivo per far uscire il nome della squadra sul giornale e saresti stato famoso pure tu. Forse è stato il confronto con papà. Forse non hai creduto abbastanza in te. Sono sicuro che non ti ricordi ma una volta venni a vederti giocare con i tuoi amici: una partita di un torneo amatoriale. Nell’altra squadra, non potevate saperlo, c’erano finti amatori, veri campioni anche se di categorie inferiori, gente di mestiere ma sfortunata o prestata a un torneuccio del giovedì sera. Perdeste, e anche di molto, ma tu segnasti quattro gol da fuoriclasse. Mi ero illuso che potesse essere il segno di una vocazione e invece il giorno dopo, come se volessi punirmi per il mio essermi fatto abbagliare dal tuo talento di una sera, mi annunciasti che avevi fatto domanda per la scuola di polizia. Io che ti avevo visto sudare e pagare il diploma me ne feci una ragione. Poi fini quell’amore come te ne erano finiti altri. Infatuazioni passeggere, fissazioni. Oggi non so più che farai, quanti biglietti da visita col tuo nome, quante nuove società, imprese commerciali. So che non sei quello che voglio ma so che sei mio figlio. Nient’altro. E finalmente mi basta.
"Mi piace pensare di avere tre relazioni: con il mio spirito, con gli altri e con me stessa" dice Alanis Morissette (a Gaia Piccardi - Magazine del Corriere di oggi). Ieri cinema. L'autre.
Nonostante la sempre affidabie, critica negativa di un mio amico. E invece il film mi è piaciuto. La protagonista (Coppa Volpi a Venezia) è bravissima e il film ha immagini davvero suggestive. E' la storia di un'ossessione. Qualcuno rideva (la mia compagna di sedia, per esempio). Cosa fa ridere nelle ossessioni? Ci deve essere qualcosa di ridicolo. Quello che a me sconcerta forse per frequentazione o precipitazione, altri lo trovano comico. Forse è comica sì la nostra disperazione vista da lontano o da fuori. Non siamo tutti uguali. Noi e gli altri. Gli altri. Noi e gli altri. Ecco fatto. E il terzo che ci cammina accanto (era Eliot?). Questo fatto dei numeri mi affascina sempre: noi e gli altri, io e te, noi, io. Quanti siamo? Siamo tanti? Siamo uno. Qual è il concetto sovrabbondante? Quale l'eccesso o la errata diminuzione. Quanto e quando siamo soli? Veramente soli. Giorni fa nel blog amico malacarne.splinder.com/ ho trovato questo post e ci ho pensato per un po'
venerdì, 09 maggio 2008
Mi ha detto ieri un amico: "E se aprissi un locale unicamente per persone sole?" "E come pensi di fare?", gli ho domandato. "Entrano solo uomini soli e donne sole e siedono ai loro tavoli o dietro al bancone a bere qualcosa, da soli, liberi di stare soli per tutto il tempo che desiderano, senza che nessuno glielo faccia notare. Poi pagano e da soli escono, come sono entrati". Quindi, dopo essersi preso del tempo per riflettere, ha aggiunto: "Chiaramente lo gestisco da solo...".
Sarebbe un'idea crearli e anche proporre dei viaggi su questa base. Anche se il viaggio offre sempre questa opportunità di svuotamento, di affollamento senza parole. Di fughe ciclistiche solitarie, stacchi dal gruppo.
Tristia
Io so la scienza dei commiati, appresa
Fra lamenti notturni a chiome sciolte.
Stan ruminando i buoi, dura l’attesa:
ultim’ora di veglia delle scolte
cittadine. E mi piego al rito della notte
del gallo, quando – in spalla il carico di strazio
del viaggio – guardavamo lontano umidi occhi,
e pianger di donne al canto si univa delle muse.
Chi, alla parola “commiato”, sa quale
distacco giungerà per noi fra poco,
che cosa presagisce lo strepito del gallo
mentre la fiamma arde sull’acropoli,
e perché all’alba di una vita nuova,
mentre il bue rumina pigro nell’andito,
il gallo, araldo della vita nuova,
sulla cinta muraria le ali sbatte?
E amo il filato, amo la tessitura:
il fuso ronza, va su e giù la spola.
Guarda: scalza, leggera come fosse peluria
di cigno, Delia già incontro mi vola!
O gramo ordito del vivere nostro,
che povera è la lingua della gioia!
Tutto fu in altri tempi. Tutto sarà di nuovo.
Solo ci è dolce l’attimo del riconoscimento.
Ma così sia: giace in un terso piatto
D’argilla una traslucida figura,
come una pelle stesa di scoiattolo,
e a scrutare la cera una ragazza è curva.
Non sta a noi trarre auspici sul greco Erebo:
la cera è per le donne ciò ch’è il bronzo per l’uomo.
Noi sfidiamo la sorte da guerrieri;
destino è ch’esse traendo auspici muoiano.
1918
Non so se vi capita, vi è capitato. (Forse vi capiterà). Che qualcuno stigmatizzi qualcosa con un "Non è successo nulla". Magari dopo averti urtato (macchina o piedi che sia). "Non è successo nulla". Come a troncare subito qualsiasi discussione e prima di (al posto di) chiedere "scusa". Spiacevole? Sgradevole? Diffuso! Specie a Roma (molto a Roma). Non so se voi avete esperienze di un Altrove. "Non è successo nulla". Per tagliare qualsiasi diritto accampabile e prima che ci si senta costretti al necessario e sorgivo "scusi" o "scusa". Anche tra amici succede, infatti. E c'è una versione anche più sgradevole che parte subito in quarta e rincara spazientito. "Non è successo nulla". Che vuol dire "nulla". Anche da un punto di vista ontologico. E chi può decidere le conseguenze di un'azione che non abbiamo provato se non nell'altro senso? Ma si dice. E anche spesso.
Di Carvelli (del 09/09/2008 @ 09:51:25, in diario, linkato 1630 volte)
La rossa non è solo Ferrari (e viceversa)
di Roberto Carvelli
Un cancello rosso, con una fascia bianca e sopra una banda tricolore. A fianco il simbolo del cavallino rampante. Mi viene da pensare “eccomi nei box della Ferrari” ma mi guardo intorno e sono nel cuore della Tuscolana, a due passi dalla Palmiro Togliatti che – le va riconosciuto – ogni tanto ospita i suoi bravi Raikkonen. Fuori dal mio cancello la scritta inequivocabile “Carrozzeria autorizzata Ferrari e Maserati”. Sì, d’accordo ma siamo nel cuore di Cinecittà, che ci farà in quest’isola di medietà, di stipendi fissi, di fare la spesa l mercato, una carrozzeria per generi di ultra-lusso? Risponde il titolare, Gianfranco Urbani, quarantadue anni di Ferrari sulle spalle e sui capelli bianchi: “Io riparo la carrozzerie della Ferrari da sempre. Poi un concessionario mi ha convocato e mi ha chiesto di essere il responsabile della carrozzeria ufficiale ed eccomi qua. Qua come altrove. In tutti i casi i ferraristi (quelli che
la Ferrari
ce l’hanno, non quelli che la tifano, è bene puntualizzare NdR) stanno qui come altrove”. Sulle motivazioni del lavoro, sul perché il Signor Urbani sia meccanico delle rosse, le parole volano alte (o basse, a seconda del punto di vista): “A me è sempre piaciuto fare le cose perfette e ho sempre fatto cose perfette”. E nello sguardo s’insinua il piacere di avere a che fare con i gioielli. Che poi significa studiare, prepararsi, fare corsi di aggiornamento. Sulla saldatura, sull’alluminio. E dietro le spalle il signor Gianfranco (ma qua tutti lo chiamano Franco) ha un piccolo museo a parete di attestati che lo certificano. “Non è un lavoro che si può prendere sottogamba. Hai a che fare con la perfezione e ti devi adeguare. E poi, non nascondiamocelo, hai a che fare con migliaia di euro...” Riparazioni che possono arrivare anche a 90 mila euro ma anche oltre. 10 o 400 ore di manodopera, le dime di riscontro (che sono dei piani di lavoro adatti alla messa in opera delle scocche). Poi certo c’è chi si deve far levare solo i graffi sulla carrozzeria, quelli dei “dispettosi” che magari ti sorprendono dentro qualche ristorante o locale, unico momento di libertà delle splendide biposto senza i loro piloti. Quando tentiamo di fare l’identikit di un possessore di Ferrari ci perdiamo in un campione poco riassumibile. Il tipo che mi siede a fianco – è arrivato ora come se fosse venuto a prendersi un the e a chiacchierare in un romanzo dell’Inghilterra vittoriana – ha un forno ad esempio. Una mercedes per tutti i giorni e una Ferrari per la domenica. Una macchina con cui sfidare l’impossibile ma “con prudenza – sottolinea – perché c’è gente che se la compra come un giocattolo e non sa che basta sbagliare a dare il gas e sei fatto”. Ci guardiamo youtube come una bibbia di casi allegri o disastri. Provate anche voi a mettere nel motore di ricerca “Ferrari+crash” e vi compariranno brandelli di lamiere o disattenzioni da paperissima. Disattenzioni care. Si va dalla morte recente del rampollo della casata soviet d’Albania Hoxha a stupidate da neofita che ti costringono a settimane e mesi di riparazioni. “Bisogna saperla portare. Come nulla bruci la frizione o ti allunghi” ancora l’amico panettiere. L’incidente più comune è il fuoristrada in curva o “semicurva” come battezzano l’inganno della strada. Ma c’è chi tampona nonostante i tanti sistemi di sicurezza in frenata. Urbani quell’uomo albanese lo conosceva. Una volta Dritan Hoxha gli aveva detto “a 320 è difficile levare i moscerini dal parabrezza” ma la macchina la sapeva portare, lui. E invece.
Poi c’è il discorso dei limiti di velocità, del calcolo della media in autostrada. Ma anche su questo ci si attrezza. Con il navigatore satellitare e con soste ai box per il caffè. Sul fatto di andare in pista, costi a parte, non è una cosa che interessa molti. Smontiamo anche il luogo comune del ferrarista piacione. Gente con famiglia e la passione per la velocità. D’accordo ma sua moglie non le avrà detto “ci potevamo comprare una casa al mare”? “Anche se ce n’è – spiega l’uomo del pane – di gente che fa i buffi per farsi
la Ferrari
è gente che non gli sposta molto comprarla”. Poi tocca vedere. Con 20 o 30 mila euro una mondial la compri, con 50 una 348. Non ce n’è per tutte le tasche ma si può fare. Tempo fa avevano pure scoperto Ferrari taroccate “ma si vede subito” dicono loro e chi le compra non è che ci cade è solo che non sa resistere al fascino di una rossa versione supereconomica. A questo punto mi levo la curiosità dei colori. Dire “la rossa” non è una giusta tautologia. Franco Urbani divide i colori per numeri: “Ti capitano 10 rosse, 6 gialle, 4 metallizzate e nere”. Dunque l’emulazione F1 non è così smaccata. Il super-carrozziere mi presenta il suo uomo di punta, Simone Baldelli. Anche lui 40 anni ma non di sola Ferrari. Uno che fa modellismo e quadri: “Quand’ero giovane mi sono costruito una Ferrari pezzo per pezzo” e mi mostra sul suo telefonino una sua opera pittorica: manco a dirlo rappresenta una macchina. Urbani e i suoi sono anche un gruppo-spalla come si direbbe in musica. Vengono chiamati in tutta Italia e fuori per dare la loro esperienza a carrozzeria alle prese con le macchine di Maranello. Perché questo è un mondo complesso. Anche se un incidente grave distrugge un veicolo scatta l’Archivio Ferrari che va a recuperare carcasse per studiare l’incidente. Nulla si distrugge, insomma, a parte i patrimoni e, purtroppo, qualche vita. Sfogliamo l’album delle foto come se fosse un repertorio di trasformazioni impossibili e vedo carcasse mangiate ridiventare nuove e “perfette” come ripete ossessivo Urbani in un prima/dopo documentato. Dunque la perfezione è umana? Parrebbe di sì.
Sgattaiolo fuori su via Papiria e sono in mezzo al caos tuscolano. Nessun rombo attorno a me. Solo l’esausto prima-seconda di gente in fila per tornare a casa dopo una giornata di lavoro. E’ venerdì. Mi viene da domandare chi di questi domani o dopodomani ritirerà dal garage la sua rossa o gialla o nera e sfiderà le foto degli autovelox. Una cosa l’ho capita: non è la faccia che conta, non c’è una faccia da Ferrari a parte quelle di Raikkonen e Massa.
Dov'è che eravamo mentre succedeva tutto? Con chi parlavamo? Che ci diceva quella ennesima voce che ascoltavamo? Dopo pensavamo che era meglio non esserci che esserci, o esserci stati prima e poi niente. Ma non ricordo in che anno. Né chi. E forse non saprei neppure dire se è di me che si sta parlando o di quell'altro che per un po' è stato dentro di me.
|