Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 17/07/2006 @ 10:15:27, in diario, linkato 1155 volte)
L'arte di perdere s'impara presto;
tante le cose col segreto intento
di andare perse che non è un disastro.
Perdi una cosa al giorno. Con malestro
accetta chiavi perse, un'ora al vento.
L'arte di perdere s'impara presto.
Perdi di più, più in fretta; al peggio apprestati:
luoghi e nomi e dov'è che avevi in mente
di recarti. Non sarà mai un disastro.
L'orologio di mamma ho perso; e questa!
che è l'ultima di tre case nel niente.
L'arte di perdere s'impara presto.
Ho perso due città, belle. E, più vasti,
altri regni, due fiumi, un continente.
Mi mancano, ma non è poi un disastro.
Anche perdere te (la voce, il gesto
amato) non mi smentirà. È evidente:
l'arte di perdere fin troppo presto
s'impara, e sembra (scrivilo!) un disastro.
A due a due si salgono i gradini solo se miri ad un piano basso o se hai fretta. Ma fare sei piani a balzi lunghi se non è per ansia è per sport. E poi il fiatone, e poi il sudore. Non è stagione per simili cavalcate o bisogna essere allenati. O bisogna fare pause ai pianerottoli. Ogni tanto.
Di Carvelli (del 07/07/2006 @ 14:12:11, in diario, linkato 1091 volte)
"Dopo di colpo capisco come la tenda del balcone/ dopo di me continuerà a battere contro il cemento./ Che gli alberi s'allungheranno sulla statale di Palmanova/ come le biglie colpite dalle biglie, le foglie contro il vetro./ E ci saranno sentieri nuovi sopra le nuvole,/ il cielo fisso di adesso ma non così immobile./ Diremo parole come pane, speranza, attimo, festa,/ parole come ciglia, labbra, mano, dita,/ sul vento che assorda e scuote la tenda."
Questa poesia è da LE COSE CHE DICO ADESSO di ALBERTO GARLINI. Un libro rubato (un sabato mi avevi letto COME DIRSI ADDIO, bella, ricordo) da una libreria non mia. E' bello scovare (in questo caso è lo scovare di uno scovare) un libro. Specie quando è piccolo e viene dalla persistenza, da un incontro casuale dove volere e non volere fanno un gioco di ombre. Ti domandi in quanti siete ad averlo (e come fare a farlo avere ad altri). Spesso si passa per qualche gentile redattrice di una casa editrice piccola. Il libro viene spedito in una busta che forse meriterebbe di essere conservata come la pagina di quel libro stesso. Quasi che la copertina abbia un appendice di carta gialla e francobolli.
Estate e piove. A dirotto. L'impressione è che dentro una stagione sia finito il cuneo di un'altra. E' come se dentro il sole sia finito uno scroscio d'acqua. E' un'enclave dell'inverno nella torrida landa dell'estate. La terra se ne imbeve, assorbe a secco tutta questa abbondanza fuori dall'orologio delle stagioni. Si formano nonostante la secchezza pregressa delle pozze d'acqua non contenuta. Il tema della sinfonia piovosa diventa la sua ingestibilità. E, fuori da ogni lamento, scatta una rivoluzione della pelle.
Di Carvelli (del 06/07/2006 @ 14:29:32, in diario, linkato 1741 volte)
"Fai un salto, fanne un altro; fai una giravolta, falla un'altra volta. Guarda in su, guarda in giù: dai un bacio a chi vuoi tu."
L'esergo è questo. Il testo è il bacio. Quello di giorni fa. Sono giorni che scrivo di bocche, baci, denti e capelli. Sono giorni di facce e di parole sulle facce. Per ora è così. Conto al più presto di parlare di braccia e di gomiti. Ma voglio arrivarci con calma. Un "passo" per volta. Intanto, una giravolta.
Capelli cotonati, ricci, diradati. Capelli corti, rasati, capelli come qualche anno fa, tagli fuorimoda, azzimature. Capelli spettinati, a schiaffo, ingelatinati, ispidi, lisci, imbrillantinati. Capelli con le vertigini, con le treccine, capelli appena frizionati. Lopecie maschili e femminili, tinture, colori e tagli. Capelli alla moda, capelli di nicchia, guizzi, stili. Creste, croste, sporcizie, forfore. Lo sbuffo delle porte della metro.
Sembra un bacio ma non è un bacio. Tecnicamente, sì, è un bacio. Ma non è un bacio. Me ne accorgo da come lei prepara il colpo. Pare che digrigna le labbra. Letteralmente. Come se fossero denti. Prima che lui scenda dalla metropolitana lei si è già preparata il bacio-morso (che non sarà un morso ma un bacio) con le sue labbra dure. Dure? C'è qualcosa di più di uno stato dell'essere. Il punto non è morbide o dure ma quello che quelle labbra faranno. Baceranno sì ma per esprimere cosa? Un bisogno, un controllo, un potere, un siggillo? Le vedo preparare le labbra mentre il ragazzo (alto e magro, moro; lei è più bassa e rossa vera di capelli) arranca all'arrivederci di un paio di fermate prima. Lui sembra fare una finta, uno scarto ma è lì. E porge il fianco, le labbra. Ed è strano che un momento così paritario, forse l'unico momento paritario amoroso - labbra e labbra (non è data altra parità così assoluta all'incontro d'amore) - sembra sottintendere una passività e un'attività, un vigore e una debolezza, quasi una vittoria e una sconfitta (per quanto ai punti e non per KO). Ecco la piccola telecronaca del bacio che vedo. Stamattina. In metropolitana. Un bacio che mi dà da pensare.
Gli anni 80 e i suoi simboli: tanti, diversi, ripetuti. Colori, forme, stili, gruppi musicali, pettinature. Alla fine è così. E se si ripetono? Sono citazioni, immaginario colto ripetuto. Eppure ogni tanto mi blocco e mi vengono in mente questi due fustoni - i bronzi di Riace - e non mi può non venire in mente quel giro di anni lì. Senza che si possa ripetere tanta muscolatura e tanto clamore che in quegli stessi anni ci facevano sussultare di orgoglio italico.
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