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 Il letto di Skaftafell... di Carvelli
 
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"Ho vissuto solo così a lungo che tutto quello che mi circonda è personale, privato. Non mi meraviglierei se non ci fosse più nessuno in grado di capire quel che dico". "Io ti capirò," disse con tenerezza. "Dammi solo un po' di tempo... e capirò tutto quello che dirai." Si strinse nelle spalle. "Ho anch'io un mio modo personale di scherzare..." "Da oggi in avanti..." dissi, "uniremo di nuovo i nostri codici privati e ricostruiremo un'intimità a due". "Sarà molto carino," disse. "Ancora uno stato a due," dissi. "Sì," disse.

Kurt Vonnegut
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Carvelli (del 13/12/2005 @ 09:46:00, in diario, linkato 1073 volte)
Mi scuso con quanti abbiano mandato mail...So che alcune non sono arrivate. Altre sono tornate indietro. Tutte non le ho ricevute.
 
Di Carvelli (del 13/12/2005 @ 10:48:21, in diario, linkato 1085 volte)

Dal meraviglioso Il nostro primo, solenne, stranissimo Natale senza di lei di Franco Stelzer (Einaudi)

 

“Conobbi la sua triste figura incurvata nel momento in cui la vita gli si era spezzata tra le mani, e lui aveva lasciato la pelle del principe in qualche bar di periferia e n’era sgusciato fuori come una serpe stanca e provata, che ha visto troppo e non me ne vuole più sapere.

Abbandonò il suo piccolo appartamento, amicizie e abitudini costose, e accolse l’offerta di mia madre, di venire a vivere con noi. Piazzò in bagno pettine e brillantina, sotto il cuscino l’inserabile retina, il fermapantaloni per quando saliva in bicicletta… e fu per noi l’uomo della camera oscurata, il misterioso animale avvolto, la domenica pomeriggio, tra coperte di ciniglia, l’uomo che mangiava sempre poco, per paura del cerchio alla testa, l’uomo colpito da una rara e pericolosa forma d’abbassamento dello stomaco… l’uomo che parlava di donne e amici solo in forma di ricordo… le labbra fini screpolate degli ultimi anni… gli occhiali rotti e malamente riparati con il nastro adesivo. L’uomo che aveva già vissuto.”
 
Di Carvelli (del 14/12/2005 @ 09:08:11, in diario, linkato 996 volte)

Ecco Doctor avere il tempo vorrei... di vedere andare le palline al posto loro, i pezzi al quadrato, le pedine alla meta della linea di fondo che delimita una fine. Una fine allegra da cui ripartire e andare verso una nuova fine. Avere il tempo di tanti "fine". Avere il tempo di tanti ri-cominciamenti. Ecco cosa vorrei. Ora che le forze mi abbandonano e ritornano per quel breve tratto di una strada, quei passi che mi separano dalla toppa della porta. Come in quelle corse disperate al bagno e quelle promesse fatte con la vescica gonfia o... Avere il tempo. E vedere le cose che cambiano e sapere che le cose si sistemerannoe  cambieranno e non avremo tentennamenti e sapremo cosa è giusto, cosa è bene, cosa è meglio. Vorrei guardare alle nuvole con la certezza del sole, anche di un sole futuro, un sole fra giorni, o fra settimane. Avere il tempo di aspettare un'altra stagione, un altro paio di scarpe, un pantalone non più liso, una ruga che ora è bella, un pensiero che ora è sereno e tenero e felice. Avere il tempo di vedere come va a finire. Senza ansia. Così. Come un orologio.

 
Di Carvelli (del 14/12/2005 @ 14:11:33, in diario, linkato 1741 volte)
Spero di ricordare bene ma c'è un racconto di Cechov che si intitola CHIRURGIA in cui viene raccontata una dolorosa e incompiuta estrazione dentaria ad opera di un medico in seconda. Dottorino... si dice a Roma per indicare l'inesperta gioventù dei neo-laureati. In Cechov siamo davanti ad un "secondo" invece e il risultato non cambia. Mi viene da pensare alla mia disavventura ortodontistica al Fatebenefratelli di Roma (di cui ampiamente in Perdersi A Roma) in cui l'eroico, violento, spocchioso chirurgo chiamavasi come un panettone. Per anni ho conservato la testa del dente che non mi ha estratto, che mi ha lasciato dentro e ricucito. Per anni ho conservato la traccia della scarsa titolarità di quel luminare. Ancora è lì (lo spirito è evaporato) in un contenitore di plastica che suona come un giocattolo per infanti. Certe volte le cose vanno lasciate andare, evaporare. Conservare le tracce della propria scarsa fortuna è la ferita mal remarginata di altre future sventure. Bisogna saper glorificare le proprie sconfitte invece che portarsele dietro come un album di rancori. La chirurgia deve essere estrattiva, se non lo è non è. Anche il tempo incide (come se indicasse il male, come una freccia su quel che non serve o non va) ma se non toglie forse sta a noi levare quel che non serve o non va prima che si rimargini quel taglio. Alle volte il dolore dell'incisione ottunde e si preferisce vederla chiusa presto più che pulita la ferita.
 
Di Carvelli (del 15/12/2005 @ 09:19:32, in diario, linkato 1032 volte)

Vi comunico che a casa mia è scoppiata la primavera. Non sono io che parlo ma una fila sterminata di formiche. Hanno fatto la loro tana nel gradino della scala che porta al terrazzo soprastante. Sentito il calore dei termosifoni si sono fatte due calcoli (sbagliati) e sono uscite a caccia di cibo. Il cibo si divide in 1 molliche (le hanno trovate) 2 rimasugli (c'erano) 3 zuccheriera (eccola!) 4 frigorifero (ci hanno girato intorno a giostra estasiate ma fallimentari). Non vorrei dare una troppo buona impressione della mia casa - né dal punto di vista alimentare né da quello climatico - ma casa mia saluta la primavera con un degno anticipo di tempo e festeggia con la Natura (madre e non matrigna) il rifiorire di tutte le specie. Precorre, insomma, i tempi e le stagioni e saluta la vita. Io meno.

PS Perché si dice in fila indiana e non in fila di formiche?

 
Di Carvelli (del 15/12/2005 @ 11:41:40, in diario, linkato 1040 volte)

Dal Corriere della Sera Magazine. Una foto di Jeff Wall

 
Di Carvelli (del 15/12/2005 @ 16:56:38, in diario, linkato 1467 volte)

Mentre leggo Alicia Erian BEDUINA (Adelphi) che recensirò per BLUE voglio qui declinare la mia debolezza visiva per volti e forme mediorientali...

 

 
Di Carvelli (del 16/12/2005 @ 09:03:47, in diario, linkato 874 volte)
C'è una caratteristica somatica che rende riconoscibile a vista un poliziotto o un commissario? Come si fa a riavere sedici anni ma felici? Perché si deve tifare la squadra della propria città? Da dove a dove è amore e da dove a dove non è più? Perché, pur la carta essendo molto delicata, non si trovano in giro banconote troppo lise? Come mai, pur tanta gente tagliandosi o ferendosi, non si vede per terra mai un cerotto accartocciato? Come si fa a capire le intenzioni degli altri? E quelle nostre? E a cosa serve capirle?
 
Di Carvelli (del 16/12/2005 @ 14:31:16, in diario, linkato 1034 volte)

Voglio dire che, se dietro ad ogni spavento ci sta un dio, noi non possiamo sempre bestemmiare curandoci dallo spavento.

(Parlando di UNA QUESTIONE PRIVATA di Beppe Fenoglio) Emanuele Trevi da ISTRUZIONI PER L'USO DEL LUPO (LETTERA SULLA CRITICA) Castelvecchi

PS Cosa fate voi quando vi regalano una nuova edizione di un libro che già avete?

 
Di Carvelli (del 19/12/2005 @ 10:25:14, in diario, linkato 965 volte)

Che è una promessa velata di pianto in mezzo agli ostensori, all’incenso e alla mirra, che tu non sai cos’è e neppure lui. Non fai il presepio e neppure il presepe e neppure l’albero e neppure le lucette. Anche quest’anno. Di domenica stai a casa. Di lunedì vai a lavoro. Oggi stai male e ti fai un brodo caldo e ci metti un formaggino che è come tornare bambino. Che l’amore, l’amore… l’amore passa, l’amore si ferma. Che c’è la guerra ma non qui. Qui ci sono le conseguenze. Che come l’amore. Anche lì, altre conseguenze. Il tamburellare delle dita, un fioco rantolo di dolore nel sonno. Una parola forse alac, una cosa così. O forse alat o calat. Ma su quale vocabolario cercare. Una carta dei tarocchi ma quale? La coincidenza delle scacchiere: basta dire una volta una parola e compare ovunque. Perché? C’è un destino fattivo che ha la nostra lingua? Una gestualità? Uno scaturire e un creare? Scacchiera. Ed è ovunque. E non sai mai quando finisce una partita. E non hai mai vinto fino alla fine. Fino all’ultima pedina. Le facce che fai per dire “è buono”, le cose che dici per dire “sono triste”. Amico mio. Amica mia. Che vi possiamo fare da mangiare? Quanto vi trattenete? Sei mio ospite. E ti siedi. Allarghi le braccia per dire “fosse per me” per dire “io vorrei ma” per dire “non dipende da me”. Ed è brutto che tu faccia così, ed è triste ma come allarghi le braccia tu… Un cristo pari. E ti si perdona tutto. E poi oggi c’è il sole. E ti ricordi come pioveva ieri? Una pizza. Non sarà una cosa lunga. Eppure pare infinita. Eppure pare il massimo del niente, del poco. È una pizza ma è la migliore che esista. Te lo avevo detto no? Michele a Forcella. Due tipi e basta ma è la migliore e basta. Che anche mio nonno anni fa... Se vai a Napoli… questo e quello…se vai a Napoli questo e quello. E quando torni?

 
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