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 Letto di L... di Carvelli
 
"
Sì ho parlato a troppa gente, oggi questo mi sorprende; ogni persona è stata per me un intero popolo. Un così immenso altro mi ha reso me stesso molto più di quanto avrei voluto. Adesso, la mia esistenza è di una solidità sorprendente; anche le malattie mortali mi giudicano coriaceo. Me ne scuso, ma è necessario che io seppellisca qualcun altro prima di me.

Maurice Blanchot
"
 
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carvelli (del 22/12/2009 @ 09:37:15, in diario, linkato 725 volte)

Oggi mi sono svegliato così. Bene? Male? Così, con questa canzone di Prince (di cui invero si parlava da giorni). Ero del tutto sveglio? Boh. Mi sono ricordato di aver sentito suonare questo brano coverizzato nel pre concerto U2 stadio Flaminio. Anno? 198... Elettrizzati scendemmo dalle gradinate (da dove avevamo pensato di assistere un po' tristemente allo spettacolo) e conquistammo il prato dove avrei conosciuto B. S. e M. - B. e poi S. sarebbero state due persone importanti per la mia vita di quell'anno (forse anche in assoluto). Dovremmo sempre avere una musica elettrizzante nelle orecchie per fare cose giuste. O sbagliate. Questa è la musica per oggi.

">.

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Di Carvelli (del 22/12/2009 @ 09:09:58, in diario, linkato 638 volte)

Quindi tu sei un personaggio pubblico?
E' omosessuale? No, sembra.
Mi vuoi un po' di bene?
Hai fatto tutto per il viaggio?
Secondo me devi pensare meno.
Fai un po' come vuoi.
Secondo me dovresti fare un figlio, una cosa creativa.
Tu resti sempre, illogicamente, il mio amore più grande dal quale non ho mai saputo difendermi...
Scusami se ti bastono.
Perché non li mandi a fare in culo?
Stai bene e continua a deliziarci del tuo eterno metterti in discussione.

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Di Carvelli (del 21/12/2009 @ 09:18:56, in diario, linkato 855 volte)

Ho comprato in superofferta (2euro per salvarlo dal macero, era il progetto) al Salone del libro di Roma  Quando scriviamo da giovani di Antonio Franchini di cui ho letto quasi tutto ma non questo. Leggendo la post-fazione in cui l'autore parla del "rileggersi" a distanza di tempo degli scrittori, del trovarsi migliori o peggiori di quanto ci si aspettasse rimugino sul grande senso critico e/o non critico che muove l'atto creaturale della scrittura. Ripeto l'esperimento su di me. Questo racconto La cartolina uscì quasi quindici anni fa su Rendiconti rivista diretta da Roberto Roversi.

 

La cartolina

 

di Roberto Carvelli

Fu una cartolina ad annunciarci il tuo ritorno. Eri partito  qualche anno prima lasciando me, mio fratello e la mamma soli.

Te ne eri andato nervoso, senza bagagli, all'improvviso. Nessun altro motivo se non la tua inadeguatezza alla vita insieme. Ognuno di noi aveva coltivato il sospetto della propria colpevolezza ma senza parlare per non rinnovellar dolore.

La mamma aveva rinunciato al lavoro a tempo pieno della casa per accettare un posto di segretaria contabile in uno studio medico, facendosi apprezzare per il suo spirito organizzativo e la sua mente pratica: tutte qualità che ti eri ostinato a negarle. L'avevano presa presto a ben volere ricompensando la sua dedizione all’impiego con una generosità non comune.

La mamma era ingrassata molto, o per trascuratezza o per nervosismo, ma manteneva il suo solito sorriso sereno, quell'aria pacata alla quale sempre più spesso ci saremmo affidati per non sentire il peso della tua assenza.

A noi non era mancato nulla. La scuola andava bene per entrambi e a luglio ed agosto finivamo lo stesso in case di villeggiatura ospiti di zii premurosi e compagni di gioco di cugini mica poi molto più felici di noi. Al contrario, l'estate ci faceva sembrare anche più gioiosi. Forse quella libertà dello stare fuori dal raggio di occhi troppo controllori – mamma rimaneva spesso in città e ci raggiungeva solo dopo aver completato la gestione del gabinetto medico - ci incoraggiava ragionamenti sulle cose, ci spingeva a scegliere e sbagliare e poi a riparare ai nostri piccoli errori.

Poi ad agosto la mamma: mai stanca del tutto, sempre con quella energia inesauribile dell'amore. Il tempo e la separazione non l'avevano resa mai rabbiosa o scontrosa neppure nei tuoi riguardi.

 

La cartolina recava il timbro postale di Torre Canne ed era datata 6 settembre. Con una grafia molto elegante avevi scritto in perpendicolare alle righe dell'intestazione ed in corsivo "Torre Canne 6 settembre". Scritta e spedita nello stesso giorno. Forse avevi rimuginato la notte intera su quella scelta e al mattino, molto presto, per lo stupore del tabaccaio avevi affrancato e infilato in una cassetta rossa forzando il cigolio dello sportello TUTTE LE DESTINAZIONI, un invito a soli invii extra-urbani che distingue i piccoli centri dalle città. Qualche solerte funzionario pugliese l'aveva timbrata. Uno di quelli che lavorano solo nei periodi di vacanza e poi se ne stanno quasi inoperosi per il resto dell'anno.

Comunque si intuiva che i tuoi ragionamenti insonni non avevano riguardato la sostanza sentimentale di quel gesto ma si erano dedicati unicamente alla opportunità di compierlo come obbedendo ad uno sbalzo di temperatura del rimorso.

Ci salutavi così:"Cordiali saluti. Papà".

Erano passati tre anni silenziosi dalla tua partenza e il contrasto di quel saluto freddo, imbarazzato, formale strideva al cospetto della continuità famigliare del "papà". Qualcuno di noi nelle discussioni che seguirono avrebbe detto che papà non lo si è per diritto ma bisogna meritarselo e aveva criticato quel tuo proporti per un ruolo che non eravamo più disposti a riconoscerti. Assolutamente.

Eravamo crudeli in quei giorni, ma per difesa.

Io corsi a consultare l'enciclopedia e, scoprendo l'assenza della località da cui risentivamo la tua voce dopo tanto mutismo, immaginai chissà quali misteri. Avevo dodici anni allora e queste sparizioni erano motivo di curiosità infinite. Il tuo pesar le parole poi non giovava affatto al nostro fedele ignorarti.

Cercando su una vecchia guida foderata di stoffa rossa dell'Italia meridionale scoprii che Terme di Torre Canne era in provincia di Brindisi, una stazione idrominerale e località di bagni di mare in sviluppo. Un unico albergo, Terme, il tuo, aveva 99 camere con 8 bagni, era senza termosifoni con stabilimento termale annesso e parco. La Torricella e l'Antesana erano i nomi delle due fontane da cui sgorgava acqua cloruro-solfato-sodica usata per bevanda ed indicata per le affezioni del fegato, delle vie biliari e per l'uricemia. L'indicazione "stazione maggio-settembre" ebbe l'effetto di una conferma lapidaria di una tua, per me nuova, adeguatezza temporale. Mi fece sorridere invece la prevedibilità di quella sproporzione dei bagni, pochi, al cospetto di tutte quelle stanze e ti immaginai di notte, nei tuoi pigiami, pantalone e giacca abbottonata di cotone azzurro o beige ad attraversare corridoi bui, cercando a tastoni i punti rossi dei relè. Non ebbi dubbi sulla ragione della tua presenza lì: si erano riacutizzati i dolori al fegato a seguito di chissà quale monogama e distratta dieta alimentare o di fiaschi da due litri di cantine sociali senza controlli d'origine. Non eri tipo da mare tu, né eri tipo da accompagnarti con gente di mare e non eri neanche accompagnato. Almeno credo.

L'immagine della cartolina raffigurava un portico di quattro file di pilastri quadrangolari lisci con bordi stondati come si usava in quegli anni preferendoli agli spigoli e ai tatuaggi delle annodature del legno delle tavole sul grigio freddo del cemento.

In alto da feritoie forse protette dal vetrocemento filtrava la luce intensa di un cielo bianco di sole. Al fianco di queste dei neon e degli altoparlanti sospesi promettevano serate danzanti ed orchestre di liscio. Fuori da questo spazio coperto il verde intenso di un bosco fitto nel quale era difficile fare distinzioni di alberi. Davanti - in basso nella foto e a destra - un'aiuola di modesti fiori fucsia con dei pitosfori potati ad albero dal tronco nudo e sottile e una testa non troppo rigogliosa. Sedie di ferro arrugginito e formica di quei colori tenui, azzurro verde-acqua o rosa pallidi da refettorio, naufragavano nello spazio dell'inquadratura e avevano abbandonato tavoli di un identico pallore seguendo il filo di quelle conversazioni che, iniziate in forma confidenziale, finiscono per coinvolgere molte opinioni diverse. Attorno ai tavolini, degli assembramenti più ordinati di giocatori di carte napoletane si erano eclissati dagli altri.

L'immagine era stata scattata da un fotografo il cui occhio aveva incontrato gli sguardi di questi vacanzieri che ora osservandolo incuriositi lo indicavano. La cartolina ce li mostrava in vestiti puliti ma dimessi. Avevano le facce del meridione povero che si meraviglia di sé. Senza volerlo veramente si erano messi tutti in posa ma ognuno per conto proprio, senza legami con gli altri come davanti ad un giudizio universale, individuale.

Due uomini, entrambi canuti, ma di corporatura diversa - l'uno breve e fino, le spalle abbassate di chi ha molto sostenuto, l'altro panciuto e dritto con l'aria vincente di chi ha fatto molto sostenere agli altri - puntavano un sorriso ambiguo e l'indice contro l’obbiettivo. Guardandoli veniva da pensare a parole come cavaliere, comare. Ruoli.

Si trattava di un'immagine estiva se giudicata alla luce delle camicie a maniche corte degli uomini, dei vestiti sbracciati delle donne, delle borse di paglia appoggiate qua e là sulle sedie vuote.

La cartolina era per stomaci semplici, per saluti di secondo piano o ridimensionamenti. In questo caso l'aria informale non giovava. Al di là dei riceventi, lo stesso hotel reclamizzato non vi compariva se non in una prospettiva parziale e comunque in modo non edificante. La stessa comitiva di villeggianti nei loro visi sorpresi, segretamente indispettiti o indifferenti, non rendeva alla felicità del soggiorno né la modestia dello scenario incoraggiava divertimento. D'altro canto, l'aria confusa di quei diversificati assembramenti - i giocatori di carte, le donne in circolo conversatorio, il gruppo additante il fotografo, le sedie abbandonate scompostamente - comunicavano un senso d'irrequietezza non particolarmente allegro e inadatto al riposo termale. Spontaneità era una parola bella ma non da fotografare e reclamizzare.

Che avremmo dovuto pensare di quel tuo soggiorno? Che eri malato? Che eri in un posto in cui non c'è nulla di cui divertirsi?

Lo pensammo anche ma alla fine concludemmo che la completa assenza di gusto estetico ed etico di quelle foto aveva sposato la tua insensibilità, il tuo senso del risparmio. Probabilmente avevi sottratto la cartolina al banco accoglienza del hotel con il tuo candido "si può prendere?!"

Facemmo molti pensieri negativi perché non credevamo più nella tua possibilità di renderci felici: non eri felice tu, né mai lo saremmo stati noi con te.

Ricordo poco di quelle discussioni. Eravamo tutti nervosi e ci aiutò pensare che mai avremmo dovuto riaccordarti la nostra fiducia. Andammo avanti faticando orgogliosi del nostro farcela da soli, contro di te.

La tua cartolina l'ho ritrovata in mezzo a LA STORIA  di Elsa Morante che era il libro che leggeva la mamma in quei giorni. E' un libro importante, di amore materno. Dal segno che teneva la tua misera cartolina, circa ai due terzi della lettura, il seguito sembra intonso come se la mamma, solitamente rispettosa fino alla fine dei suoi impegni di lettura, avesse interrotto lì. Mi piace pensare al contrasto tra la ricchezza d'intimità di quelle pagine e la freddezza del tuo segnale di esistenza. Credo che la mamma avesse capitolato davanti a questo stridore e più che pensare tormentosa alla letteratura che non dice il dolore della vita avesse preferito annullare un contrasto. E nulla più.

 

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Di Carvelli (del 21/12/2009 @ 08:45:20, in diario, linkato 651 volte)
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Di Carvelli (del 18/12/2009 @ 09:34:25, in diario, linkato 1001 volte)
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Di Carvelli (del 17/12/2009 @ 09:25:33, in diario, linkato 689 volte)

Luogo: pronto soccorso
Durata: dalle 19,30 all'1,30
Scenografia: semplice, fredda. Molto verde, molta plastica, molti tubi. Luce neon.


Personaggi e interpreti:

- La ragazza inglese che piange al telefono.
- Uno che potrebbe essere slavo o sardo che si annusa le ascelle e si passa una mano sulla pancia enorme, nuda come se fosse una sfra di cristallo.
- Un uomo che telefona a tutti di continuo disteso sul lettino (la cartella di pelle e il casco distrattamente adagiati dulle caviglie) e che all'arrivo del figlio piccolo inscena una tormentosa disperazione querula che alla telefonata successiva è mutata in un fortificante florilegio militare.
- Una coppia di sessantenni di cui un uomo e una donna o forse due donne o forse due uomini. O forse non so.
- Un ragazzo glabro (a parte un pizzetto) che si perde in una faticosa riflessione sull'opportunità di firmare e andarsene a casa o rimanere in corsia come da consiglio dei medici.
- Una donna che enta ed esce di scena con un braccio prima libero e poi ingessato.
- Una mamma che litiga con gli infermieri per l'attribuzione di un codice sbagliato alla gravità delle condizioni della famiglia (escono mano nella mano arrabbiate).
- Un uomo grasso con le scarpe slacciate che starnutisce spesso e rumorosamente.
- Due ragazzi indiani molto affettuosi tra loro che entrano ed escono di scena come in un balletto.
- Una ragazza sul lettino e una sulla sedia a rotelle che rievocano la scena del loro incidente in una moviola piena di se e ma e forse e ormai.

Comparse:

- Vari portantini, infermieri, medici (senza più alcuna distinzione di casta).
- Un gendarme con la radio che di tanto in tanto trilla.
- Accompagnatori (di vario genere: famigliari, amici esperti, fidanzate asservite, vicini di casa).

Rumori di fondo:

- Cellulari che squuillano nelle più varie sinfonie musicali.
- Suono di ambulanze in arrivo.
- Rumore di ruote cigolanti di lettino.
- Passi.



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Di Carvelli (del 17/12/2009 @ 09:18:24, in diario, linkato 581 volte)

Ritorno
in quell'angolo d'ombra
da cui mi hai visto arrivare
una mattina di primavera
pensando che era per sempre.
Rimango
muto a fissare
il lembo di una veste
che è stata tua
il tempo di un sogno
per me infinito
per noi finito.
Non vado per andare
ma per tornare:
diverso
lo stesso
sempre io
quello giusto.


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Di Carvelli (del 16/12/2009 @ 16:42:51, in diario, linkato 620 volte)
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Di Carvelli (del 16/12/2009 @ 10:40:57, in diario, linkato 638 volte)
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Di Carvelli (del 16/12/2009 @ 08:41:07, in diario, linkato 1212 volte)

Forse ogni tanto va ricordato l'errore di attendere da altri le risposte a/su quello che siamo. Siamo logicamente (o illogicamente) altro da quello che siamo per altri. E per ognuno siamo qualcosa di diveso. Siamo, in definitiva, i punti di vista degli altri. Un modo (il loro) di sentirci e percepirici. Un modo, appunto. Non il solo. Il loro non è il solo. Smetto di convincere qualcuno di come sono. Smetto di far ragionare su quello che sono veramente. Smetto perché anche il mio modo (sono in ultima analisi la persona che ha passato più tempo con me da quando ho memoria) è il mio modo. E scopro - con rincrescimento a volte o con perplessità - che persone mi vedono non oggettivamente ( e, sì, ha ragione C. "illogicamente" diverso da come mivedo io, anche fisicamente).

Esiste un principio buddista che si chiama "alleggerimento della retribuzione karmica". In breve: il karma di retribuzione si manifesta in forma più tenue al variare della propria fede o della fede di chi ci è vicino. Sono le 16 e con A. parliamo di lui. E lui in quello stesso momento sta avendo un incidente. Lo saprò solo dopo. L'incidente è grave ma di una forma grave che tutto sommato poteva essere decisamente più grave, avere più implicazioni. Due cose: le coincidenze (a cui credo ancora?). E l'attenuazione dell'infaticabile lavoro del destino. Un lavoro o un lavorio?

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