Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Che piove non lo diremo a nessuno. Nessuno saprà che il cielo era gonfio di pioggia e che solo dopo un po' è arrivato il sole. Ognuno scopra da sé quanto impiega un maglione lana 100% ad asciugarsi senza che te lo sia sfilato. Che ognuno pensi che basta un piccolo impermeabile per salvarsi da un temporale per quanto breve. Sappiano da soli che uno starnuto è sempre due starnuti. Due starnuti tre. Tre quattro: una regola di marketing. Che il pelo dei cani è idrorepellente come all'inizio il maglione. Che sotto gli alberi è pericoloso ripararsi per via dei fulmini e degli uccelli. Che un giorno è uguale a un altro è una banalità che lasciamo ad altri. Ad altri e a domani. Oggi.
Di Carvelli (del 27/10/2009 @ 14:35:08, in diario, linkato 1040 volte)
Finito di vedere Guida galattica per autostoppisti. E tre (tre volte che l'ho iniziato e che non riuscivo a finirlo causa sonno). Sono giorni che non farei altro che dormire. Notti, piuttosto. Non farei davvero altro. E senza il minimo senso di colpa. Sono capace di mettere insieme 10 ore 10 di sonno senza fare una piega (al cuscino). Una mia collega mi ha detto di aver sognato la mia casa. Non la mia mia. Una possibile mia: con giardini pensili. Forse il mio cedimento al sonno contagia i sogni altrui. Un qualcosa dio aborigeno, chissà. Tornando a Guida galattica: è un film che merita: divertente, spensierato, positivo e ottimista nelle debolezze che lavora di sistemi di mondi che penseremmo perfetti. Per chiosarla con lo strillo di presentazione, sarà bene tenere a bada il panico. Sempre.
Giorni fa una mia amica si lamentava dell’amore e, ironizzando, mi coinvolgeva nel suo lamento “parlo anche per te” diceva. Un po’ pavidamente non me la sono sentita di dire nulla (un po’ perché è più facile sottoscrivere i lamenti altrui) ma poi ho pensato che non mi riconoscevo in quel lamento. Che non potevo sottoscriverlo. Ho avuto molto amore. Molto ancora ne ho. Non penso solo a quello che chiamiamo e definiamo “amore” in senso stretto. Compiuto. Concluso. Se devo rimproverare qualcosa a qualcuno preferisco rimproverarla a me. Ho dato meno di quel che ho ricevuto. Se ci penso bene penso di aver dato sempre meno di quello che ho ricevuto e spesso è ancora così. Così preferisco dire che vorrei ripromettermi invece di lamentarmi delle mancanze altrui di fare in modo che il futuro sia traboccante di una offerta riparatrice anche a perdere.
Ieri il mio gatto Google, rimproverato per aver finito la mia colazione – un uovo fritto (una distrazione può essere fatale con lui) – ha pensato di disobbligarsi stamattina portandomi sull’uscio di casa un pettirosso non vivo. Che pena vedere quel petto rosso tutto smagrito e l’occhio chiuso. Peccato che avrei preferito finirmi l’uovo fritto invece di immaginare qualsiasi fine alimentare del povero uccelletto.
Se pensi che mi hai mi perderai se pensi che mi hai perso mi perderai come sia se pensi hai già perso.
Gentile A.
grazie del suo apprezzamento che purtroppo è stato surclassato da contemporanei inviti alla leggerezza e all’allegria. Anche a me De Andrè piace e anch'io in genere preferisco il tormento a certe radiose mattine di primavera. Anch’io ho sempre pensato che da quelle parti succedessero cose più interessanti ma devo dire che spesso mi sono dovuto ricredere. La vita mi ha insegnato che sì è bello guardare in basso, in fondo, nel buio ma bisogna cercare di non farsi risucchiare dai crateri del mal di vivere che hanno bei colpi d'occhio verso il basso ma bordi scivolosi. Eccoci, siamo lì, inutile dire che l'atmosfera di quel magma di sotto è seducente. Bello fissare la lava infuocata. A guardarla si perde la dimensione del vuoto, del tempo (che passa). E' narcotica l'osservazione e deresponsabilizzante. Dolorosa ma avvincente. I tempi di ripresa da quel viaggio d’osservazione sono lunghi e sembra che in questa dilatazione sia vinta la battaglia con la fine. Diciamo che l’impressione della vittoria è accentuata dalla dilatazione che suona come una dilazione. Mi viene in mente Sherazade. Forse vincere la morte è ritardarla. Scacciarne la sensazione. Eppure sempre più spesso ho la percezione che il ritardo che realizziamo fissando quel punto vuoto lì in fondo sia solo il ritardo del tempo che percepiamo, non esattamente di quello in cui viviamo. Il ritardo vero lo mettiamo in piedi nello sforzo continuo di migliorarci, di migliorare gli altri, aiutare, compiere sforzi per il bene. Senza risparmio e senza attesa di premi. In denaro o in stima.
Ieri sera ho visto Tokio-Ga. Rivisto, meglio. Documentario del 1985 (ma girato nel 1983) di Wim Wenders. penso al 1983 in Italia e a oggi. provo, per ricavo, a immaginarmi come sarà cambiato il Giappone e Tokio. Miscelo il tutto con un po' di racconti di amici recentemente lì. Aggiungo qualche articolo e filmati tv, letture recenti e vado a dormire. Sogno me con capelli lunghie arruffati. Mi sveglio alle 5e30 sotto la pioggia che ticchetta dalla finestrella e mi riaddormento. Mi risveglio con la pioggia che ticchetta. Mi ritorna in mente l'immagine dell'attore di Ozu che Wenders intervista (qui nella copertina). La sua grande umiltà. Un'umiltà da imparare. L'immagine del bambino che si rifiuta di fare un passo e si butta a terra di continuo. la pazienza della donan che lo rialza senza mai sgridarlo. Un'ostinazione che non dovremmo mai perdere di fronte alle difficoltà prima di cercare soluzioni facili o scatti.
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