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 Il letto di Nadia... di Carvelli
 
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Quand'ero giovane, avevo ali instancabili,/ ma non conoscevo le montagne./ Quando fui vecchio, conobbi le montagne/ ma le ali stanche non tenevano più dietro alla visione./ Il genio è saggezza e gioventù.

Edgar Lee Masters
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carvelli (del 01/12/2009 @ 09:01:12, in diario, linkato 721 volte)

SONO CONTENTO DI AVERTI CONOSCIUTO/HAI UNA PERSONALITA' MULTIPLA/HAI UNA PERSONALITA' DOPPIA/TANTI AUGURI X TUTTO E TUTTI/QUELLA PARTE LA'/QUESTA PARTE QUA/SEI UNA PERSONA DI UN'INTELLIGENZA CHE MI E' MOLTO VICINA/TANTE BELLE COSE/SEI UNA BELLA PERSONA/SEI UNA PERSONA PREZIOSA BACI BACI A DOMANI TVB/QUELL'ALTRO CHE NON MI PIACE CHE ODIO/SEI UNO STRONZO VAFFANCULO/BUONANOTTE/SCUSA/OLA CHICO MI SEI MANCATO

Unisco in un blob serio sms mail e cose udite a voce tra le 17 di ieri e le 8 di questa mattina con rigorosa attenzione all'orario ma senza indicazioni sulle persone che hanno costruito questo monologo/dialogo immaginario a più voci e due sole orecchie, uno spettacolo per uno. Io (o noi).

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Di Carvelli (del 01/12/2009 @ 12:31:14, in diario, linkato 797 volte)

Cara**

ti scrivo in una lettera breve quello che penso a proposito di quello che mi hai scritto. Prendo spunto da un libro meraviglioso che ho finito di leggere stamattina presto. Dovevano essere le sei e avevo messo in forno una crostata di albicocca. Non so perché l'ho fatto. Forse per ingannare questa sveglia anticipata. Ti scrivo una lettera su delle lettere. Il libro meraviglioso di cui ti dicevo infatti è composto in massima parte di lettere. E si parla di amore. Che è il tema su cui tu mi interroghi. Del poco che so, del poco che mi viene in mente lo inizio da questo libro di Inoue Yasushi che si intitola Il colpo di fucile. Il tema dell'amore vi compare in una forma diffusa che spazia tra l'amore filiale, quello materno, quello di coppia, quello fuori dalla coppia. Contro la coppia: dovrei dire per il senso comune che si dà all'amare chi ...è amato da qualcun'altro? Non so se esistono diritti e prmogeniture in amore. Ci sono pagine di una semplicità toccante ma è di una cosa sola che vorrei dire con questa lettera. Amare ed essere amati. E' di questo che si dice a un certo punto. L'autrice di una lettera si lamenta infatti di non ver amato abbastanza e se ne rincresce (capisce, ma è in punto di morte, che era l'altra la strada giusta). Vedi, ora sento di poterti dire che in tutte le tue parole non sento altra preoccupazione che quella di "essere amata". Uso le tue parole, te ne accorgi? Essere amata: abbastanza... da lui... per un tempo lungo... Come se fosse un ricatto, come se fosse un diritto. Quello che vorrei dirti è che davvero questa tua attesa non renderà la tua vita più leggera, la tua ricerca più contenta. So che sei affezionata all'idea di qualcuno che faccia cose per te. Che ti dimostri la tua importanza (tu dici "unicità", sì così dici) come se dipendesse dalla considerazione altrui. Il tempo è poco e forse non direi niente di notevole anche se avessi più minuti e più carta. Allora lo dico così. Come mi viene. Come un augurio. Spero che tu abbia la fortuna di scoprire prima del dolore di una mancanza di ritorno quanto puoi dare e nel dare avere da subito. Un ricevere che davvero per la prima volta ti farà sentire, completa, contenta, in pace. La tua piccola guerra di attese con cui stai aspettando un gesto ti sta annientando - questo sento. E confusa: una confusione in cui tutto e tutti sembrano alla stessa stregua, in una specie di videogioco in cui si passa un quadro o un altro e quello è amore (che poi è sempre amore che ti ama). Non posso essere più chiaro e sincero di così. Non sarebbe neppure giusto. So solo che il dolore che hai sentito dopo la fine della tua storia ha a che vedere con questo tuo mancato gesto. Non con il mancato gesto di qualcun altro (anche se le giustificazioni da questo punto di vista sono sempre a portata di mano). E purtroppo sarà ancora così altre volte. Forse non ci sarà più tempo. Forse il tempo non c'è mai. E così t'invito da subito ad amare e nell'amare a tradire te stessa. La te inflessibile e ferma che aspetta, che pretende. La paura che senti è la paura che provi di essere amata e sparirà solo quando le sostituirai la forza di amare. Fare il primo passo, un avvio anche incerto o fatto male, ti solleverà da quella paura della paura. Tradisciti, tradisci e vedrai che il dolore e la paura svaniranno. Sono riuscito a dire cose banali ma serviva che lo facessi. Perché è banale tutta questa storia, spero che tu te ne accorga.

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Di Carvelli (del 02/12/2009 @ 07:53:49, in Diario, linkato 766 volte)
Cala luna
cala pura
fatti muta
dentro me
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Di Carvelli (del 03/12/2009 @ 09:14:35, in diario, linkato 727 volte)
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Di Carvelli (del 03/12/2009 @ 09:44:02, in diario, linkato 936 volte)
Nella varietà dei casi di ogni declinazione possibile metto insieme i lamenti e le perplessità di: lui che dice che "non è amore baciarsi sulle labbra, essere come fratello e sorella, avere affetto completo, un pensiero totalizzante ma nulla di più"; lei che si sorprende "di quanto possa diventare dilazionato il fatto di rivedersi, dei suoi rimandi continui, che in definitiva non si tratta di quanto lui c'è o non c'è ma di come"; di lei che mette insieme spasimanti nello stesso luogo e alla stessa ora per sentirsi al centro dell'attenzione, per tentare di colmare un vuoto che è solo suo e che non serve a completarla"; di lei che prende tempo nell'attesa indeterminata che si compia il miracolo della transustanziazione per la quale un'idea diventerà una persona, ma non c'è l'idea e la persona non c'è più; di lui che dà lezione di disponibilità senza che questa sia il braccio che ti porta via, la mano che ti trascina, l'abbraccio che ti lega".
Nella varietà dei casi di ogni declinazione possibile metto insieme frasi di persone che conosco e le iscrivo nella stessa fallace categoria di uan generosità offerta o richiesta senza che questa diventi altro che un pensiero personale e idealistico di qualcosa che se diventa vero (e non diventerà vero, non abbiate paura!) diventa meno di quello che sembra e più di quello che ci si aspetta. Ma senza aspettare, per favore.
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Di Carvelli (del 03/12/2009 @ 11:42:10, in diario, linkato 789 volte)
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Di Carvelli (del 04/12/2009 @ 09:08:20, in diario, linkato 1549 volte)

 

 

Il fucile da caccia è un libro del 1949 di Inoue Yasushi. E’ un romanzo breve imperniato essenzialmente su tre lettere che descrivono un amore adulterino. In definitiva è come se fosse un libro a quattro narratori più un narratore esterno a cornice che riporta con oggettività il tutto Un libro corale ma personale. Per persone (per punti di vista su uno stesso tema). Un libro dotato di una grande grazia, semplice ma toccante a tratti commovente (dubbio: perché infine quella frase della poesia del narratore esterno viene attribuita a un personaggio?). La commozione – parlo per me – mi è nata dal pensiero di un segreto che regge la vita. Delle vite rette da un segreto. Un imperfetto e perfetto non detto (non dicibile) che le determina e le sospinge un giorno appresso all’altro. Un segreto che finisce nella terra e nel non tramandabile.  

 

 

Qui di seguito ho copiato uno stralcio della lettera della figlia allo zio-amante della mamma:

 

 

 

 

“Dalla storia fra te e la mamma ho imparato che esiste anche un tipo di amore che non riceve, non può ricevere, la benedizione di nessuno. Quello tra te e la mamma era un amore che solo tu e lei conoscevate – e nessun altro”. Né la zia Midori né io ne sapevamo niente, e nemmeno i nostri parenti”.

 

 

 

 

Qui una riflessione della mamma nella lettera indirizzata all’amato/nte.

 

 

 

 

“Amare, essere amato… come sono tristi le azioni umane. (…) Quando, giunte alla fine della loro vita, serenamente distese, volgeranno il loro viso al muro della morte, tra la donna che ha goduto appieno della felicità di essere amata e la donna che può dire di avere avuto poche gioie ma di avere amato, a quale delle due Dio vorrà concedere il tranquillo riposo?”

 

 

 

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Di Carvelli (del 04/12/2009 @ 12:13:14, in diario, linkato 823 volte)
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Di Carvelli (del 04/12/2009 @ 14:18:55, in diario, linkato 1117 volte)

Stamattina mi sono svegliato con questa canzone che è citata (male per refusi editoriali) in un brano di cui vi faccio omaggio, due piccoli estratti da Kamasutra in Smart, un libro ormai uscito da diversi anni e credo ora esaurito. Qui Luna (capitolo 5) che ha incontrato il protagonista a seguito di un incidente lo invita ed esce con lui. Lei ha poco più di vent'anni lui ne ha quarantacinque. Sono due mondo lontani che si scontrano e cercano di recuperare anni e tempo facendo il gioco delle separazioni, come in questa scena finale rivissuta nel ricordo:

– Cerchiamo le cose che ci avvicinano, non quelle che ci allontanano – aveva detto una volta lei per distogliermi dalla cupezza e dalla pesantezza del tempo.
– Vediamo… Gli U2, Vasco Rossi, Pippo Baudo, fare trekking, il calcio… Sì, ma facciamolo anche con quelli che ci dividono…
– Sei il solito negativo.
– Io? Perché tu? Allora allora… il piercing, il commercio equo e solidale, il mobbing, il lavoro interinale, goldrake, yuppie du, uhuhuh ramaya…
– I consigli di fabbrica…
– Quelli si fanno ancora, credo.
– Il PCI, la verginità, Mao Tse-Tung, il perizoma, depilarsi il sesso...
– Basta, sei irriverente… ricominciamo con quelle che ci uniscono… il calcio-balilla, i Bee Gees, Van Morrison…
– E chi è Van Morrison?
Potevamo continuare per ore intere ad elencare parole e cose nel tempo, del tempo. Ci piaceva. Era il nostro gioco, il nostro modo per costruire ponti tra di noi oltre che con il sesso. Somigliava a quell’attimo di totale fluttuazione di personalismi in cui i musicisti accordano i loro strumenti producendo una polifonia dissonante ma gradevole, sospensiva e promettente. Ora lo giocavo da solo a casa. Mi accordavo senza Luna e senza magia. Non si può dire che le cose fossero migliorate.
 

 


Capitolo 5 – Nel quale la infili dappertutto



ECCO L’AUTO PICCOLA PICCOLA
Centri urbani sempre più congestionati, traffico sempre più convulso: sono questi i problemi che affronteranno gli automobilisti del 2000. E una soluzione, per creare maggiore spazio, visto che le strade non si possono allargare, è stringere le vetture. Anche a questo devono avere pensato i progettisti della “Smart”, al momento la più famosa fra le citycar. Anche se questa classificazione le sta un po’ stretta.
(smart - prove tecniche di Quattroruote)




Luna ha una guida audace. Una guida fatta di scarti improvvisi durante i quali io sono quasi meravigliato che nessuno al nostro lato, su due ruote, cada vittima di queste subitanee variazioni di viaggio. Andare avanti senza udire urti, tonfi mi sembra miracoloso. La sensazione è: essere dentro un missile, un proiettile, un siluro, una bomba. Siamo velocità con vento attorno, un bozzolo circondato di aria. Un motorino con le pareti. Tutto ci è vicino.
Non abbiamo molto da dirci. Non parliamo. E mentre andiamo penso che forse è stato un errore accettare l’invito ad una serata che non ha una sua logica precisa. Uscita irregolare di cui un giorno favoleggerò rimproverandomi indecisione, imperizia. Anche se ho detto la mia, se ho fatto la proposta che dovevo. Invitata a salire a casa ha detto “no”. Cosa significa un no? Quanta fermezza contiene? Deve avere un suo seguito? Un’altra domanda? Un nuovo invito? Un’attesa? È il codice miniato.
Ci infiliamo ovunque, tra le macchine strette ad un semaforo e andiamo. Verso un locale di via di Libetta. Non ci diciamo nulla. O poco. La macchina. Quando se l’è comprata. Non altro. Non temi più forti tipo “con chi vivi”. Il cellulare le squilla in una nuova polifonia. Non quella dell’altra volta. Lei guarda il display e lascia fare. Non dice nulla, non commenta. Tiene tra le mani la piccola farfalla argento e il filo male annodato attorno. Risquilla e lo riguarda. Nulla. Risquilla e solo un “uffa”. Trilla ancora con un’insistenza sicura. Lo rimette nel vano dietro il contachilometri che è spazioso e mantiene anche la sua borsetta. Rosa. Piccola.
– Perché la gente non capisce!?
– La gente?
– I ragazzi. I ragazzi della mia età.
– Ti avviso, mi stai dando del vecchio!
– No. Anzi. Io preferisco la gente grande, quelli come te. È come se non fosse necessario parlare. Non dico che capite di più.
– Lo prendo come un complimento?
– Non ti offendere! Ho detto solo che, a prescindere da tutto, non state lì a fare tante domande, a insistere. Con voi le cose sono più facili. Non c’è bisogno di stare ogni volta a rispiegare.
Squilla ancora la polifonia.
– Ah allora non vuoi capire, cazzo, e allora sai che faccio? Ti spengo.
E ce ne rimaniamo per un minuto in silenzio. Solo il jingle del software del cellulare che si disconnette.
– Che palle. Una è chiara. Ti dice non mi cercare. Non significa nulla.
– Cosa non significa?
– Le cose si fanno anche così senza sapere dove portano. Si fanno e basta. Mica bisogna stare sempre lì a spiegare. Ecco forse voi più grandi almeno non siete insistenti. Siete più abituati alle non-risposte, ai dubbi.
– Non ne sarei così sicuro. Shhh questa è una canzone dei miei tempi.
– All night long, la conosco anch’io, vedi?
– Sì, ma io avevo la tua età. Cazzo.
Frenata brusca. E retromarcia.
– Certo che non perdi il vizio tu?
– Neanche il pelo se è per questo. Cos’è che non ti va?
– Che freni senza guardare dietro.
– Ho guardato ho guardato – s’incazza.
– Diciamo che stavolta siamo stati fortunati che non c’era nessuno dietro.
– Uffa, ti ho detto che ho guardato! – si spazientisce.
– Toglimi la curiosità ma quante te ne fai al giorno?
– Di che? – sorride maliziosa.
– Di macchine.
– Pensavo di uomini?
– Pensavi male. Volevo sapere “quante ne tamponi” se no avrei detto “quanti”.
– Infatti io pensavo… quante …scopate…
– Quante?
– Tutte le volte che mi va. Ma tu volevi sapere delle macchine forse?
Non so cosa dire in alcune situazioni. Ma spesso non serve. Non siamo mica a portaAporta che devo avere una replica. Ecco una cosa sì l’ho capita, che il silenzio contiene tutte le risposte possibili mentre una risposta sbagliata tiene sicuro sicuro un errore.
Il parcheggio non è venuto male. Onore al merito. Ma magari è anche una tautologia viste le dimensioni della macchina. La strada è buia. Non c’è neppure quel caos di andature che minano la tranquillità poco più in là. Quelle divisioni scomposte che caricano le liste degli ingressi in discoteca: un nome con a fianco cinquanta, cento nomi. Truppe miste e vocianti, battaglioni di maschi e di femmine armati delle migliori intenzioni e del loro quartiere che trasmigrano in questo porto franco del divertimento portandosi dietro orgoglio di contrada e modi di dire solo loro. Come sarà successo che questa zona così marginale sia diventata la mecca del divertimento notturno? Gazometri, metri cubi di abbandono, piazzali delle verdure, stanziamento di frutta, magazzini con un futuro di buttafuori e P.R. Più in là addirittura un porto fluviale, caserme, ponti di ferro, una stazione a forma di toblerone con dietro marmo e tanto abbandono che consegue ad eventi irripetibili come i mondiali di calcio degli anni Novanta. Schillaci, Baggio e tante stazioni nuove poi abbandonate.
Karamu fiesta for ever all night long. Luna toglie la chiave dalla sua destra, vicino al piccolo cambio da videogioco e cadiamo nel silenzio. Nei primi attimi della stasi si decide tutto. Le operazioni di spegnimento, di chiusura, di assicurazione della macchina al marciapiede: sono attimi decisivi. Momenti che possono determinare un seguito. È interessante come possano risuonare le voci in un abitacolo così piccolo ma anche come possa riecheggiare il silenzio. Come se fosse una nota lunga tipo quella che senti quando esci da un concerto tornando nella quiete. Luna mi tiene gli occhi addosso come un gatto.
– Scommetto che non baceresti una ragazza in macchina.
– Perché?
– Per quelli come te la “Situazione Uomo/Donna” è casa, luci soffuse, musica d’atmosfera… Aspettate la pausa di un discorso. Volete un via libera. Vi aspettate un incoraggiamento. Sapete che le ragazze oggi sono intraprendenti, decise e…
– E sbaglio?
– No. Non sbagli.
Mi avvicino alle labbra di Luna, flettendo poco il busto, e creando l’eco di una bocca che si apre con tutta la risonanza del pieno che c’è dentro. La saliva, la lingua – come un pesce che ci nuota dentro a quest’acqua – i denti, le labbra. Tutta una serie di strumenti che poi suonano una piccola sinfonia di suoni bassi, acquitrinosi.
– Hai perso.
– Ho perso a parole. A mente ho vinto.
– Ah hai scommesso su due? Sei una a cui non piace perdere?
– Sono una a cui piace vincere. Ti dispiace passarmi le mani addosso?
– Su quale risposta hai scommesso? Su questa?
– Sì.
– Così?
– Così. Ma non così poco. Di più.
– Così?
– No, guarda.

 

 

 

 

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Di Carvelli (del 09/12/2009 @ 08:38:38, in diario, linkato 703 volte)
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