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Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 13/03/2008
"Molte cose trovano il tempo ma il tempo non trova molte cose". Deve aver detto una frase come questa o proprio questa. Il senso in tutti i casi era questo. Ma io ero lontano e non sentivo perfettamente e non si può andare da qualcuno a chiedere cosa ha detto specie se è al cellulare e non ha l'aria proprio di chi aspetta te per fare conversazione. Ma la frase era bella, lei pure...così me la sono segnata, così come mi suonava perché ho pensato che presto avrei dimenticato quella faccia e prima anche quella frase. Se ci fosse una categoria sarebbe? Aforismi? Filosofia? O solo "farsi i fatti degli altri"?

Questa foto (qui la vedete dimezzata) era ieri sul Corriere della Sera ma questa è la matrice. Da qui vine, da questa copertina. La foto fa il verso a un'analoga di Lance Armstrong che non metto e me ne scuso con lettrici interessate. Metto questa e mi spiace non nella versione totale e mi spiace per questioni anatomiche (anche se non ci crederete). Mi spiego. La bellezza di questa foto è determinata dal curriculum della suddetta Pendleton. E il suo corpo - la perfetta combinazione di tessuti muscolari ecc - è il suo curriculum. Questo mi piace. Anche se so che molte colleghe della su rappresentata avranno stesso CV anatomico e palmares minore. Perché quello che non si fotografa (qui e altrove) è quello che c'è dentro. Eppure, qui come altrove, sembra di vedere qualcosa che non si vede ad occhio nudo (mi scuso per l'aggettivo coincidente). E dunque? E dunque questa sembra la foto di un meccanismo perfetto di mezzo (il corpo e la sua propaggine balistica in forma ciclistica) e intenzione. O sarà un'impressione?
Stamattina ho letto un racconto di Kafka. Il titolo è Un digiunatore (nella mia edizione) ma scopro che l'originale tedesco è Un artista della fame. Non so il tedesco ma per chi lo sa: Ein Hungerkünstler (fatevi aiutare a pronunciarlo, farò altrettanto). Ah questa mania del "cambio di titolo"! Ho letto questo racconto dopo colazione, a stomaco pieno, ma non ho sentito i morsi della fame. Sarà perché Kafka scrive tutto dentro e quel fuori che mai manca (non è scrittore di sensazioni Kafka) è una specie di correlativo oggettivo. Ho letto e ho pensato a quella sgradevole opportunità che è la nostra vita quando viene vissuta come esplicitazione di un'abilità - vogliamo dire "inutile" in questo caso? - non riconosciuta se non nel breve di un tempo che poi svapora. Ah quanto ci sarebbe da dire! Quindi l'ho letto come un racconto sulla transitorietà delle mode? Non tanto: più come un racconto sulla facile dimenticanza dei tempi, sul declinare delle attenzioni (fin quando si diventa, un inciampo che separa dalle stalle il pubblico pronto ad osannare le belve in gabbia). A vederla con un po' di serenità: ha senso forzare la naturalezza, costringere (per quanto il digiunatore in ultimo ci riveli una scarsa attitudine al gusto appropriato per lui del cibo) le proprie capacità allo sguardo secondo di un ammiratore (chiamasi amore, chiamasi considerazione lavorativa, approvazione censoria)? Forse no. Però. Ho pensato a Boris Pahor (che pure sta conoscendo in vita la giusta considerazione) e, ancor più anche se non lo conosco, a Carlo Coccioli di cui ultimamente sento parlare e parlo. Eppure alla fine mi trovo a pensare sempre e solo alla morte. Ma non come a una cosa un po' triste, tipo i calzini bucati, i maltagliati che si sono ammuffiti, la maniglia che non chiude più (reali correalativi oggettivi di un mio presente). Come una cosa che completa tutte quelle che capisco e vedo.

Fotografie del 13/03/2008
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