|
Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 17/02/2010
Sul numero corrente di Zoe Magazine la mia non-intervista all'indimenticato sceneggiatore felliniano e autore teatrale Tullio Pinelli.
Tullio Pinelli, intervista impossibile (o mancata)
di Roberto Carvelli
Un giorno di novembre ho preso e ho chiamato. Ho cercato di calcolare il tempo per essere certo di non disturbare. Era novembre. Tullio Pinelli, indimenticabile sceneggiatore dei grandi film di Federico Fellini, aveva compiuto 100 anni il 24 giugno del 2008, sapevo che stava bene, che rispondeva lui al telefono. Il numero lo avevo chiesto a quelli della casa editrice Edizioni Sabinae che gli avevano pubblicato per l’occasione un soggetto cinematografico, L’uomo a cavallo (15 €). Il telefono squillava a vuoto. E’ stato così per alcuni pomeriggi. Mi domandavo se forse non erano le ore giuste per l’età di questo autore di teatro, letteratura e cinema. Poi, una sera, mi ha risposto la moglie, gentile, con il suo accento francese: “Pinelli sta male, Pinelli ricoverato in una clinica”. Lo chiamava per cognome. Le ho spiegato che avrei voluto intervistarlo per un libro su l’amore a Roma. E anche dopo che Amarsi a Roma era finito ho riprovato lo stesso a chiamare per sapere come stava “Pinelli”, come se fosse un filo che dovevo ancora tirare. Anche ora che il libro è in giro nelle librerie mi domando cosa avrebbe potuto dirmi: L’amore che raccontavano ai tempi di Fellini de La dolce vita era ancora attuale? Si potrebbe raccontarlo ancora così? Qualche giorno fa ho saputo che Pinelli è venuto a mancare e ho pensato che la risposta, se la volevo, me la sarei dovuta dare da me per non lasciare una riga bianca alla mia curiosità. Con Pinelli se ne è andato un pezzo di cinema italiano, un pezzo importante. Prima di lui – per rimanere agli sceneggiatori – se n’era andato Ennio De Concini di cui ho ricordi personali: molti anni fa... 1990?... lo andai a trovare nella sua casa seminterrata a via Stoppani a Roma, di fianco al cinema Embassy per sapere di alcuni racconti che gli avevo spedito. Le sue parole le ho in mente, stampate: “Lei vuole scrivere... Deve sapere che è una vita da cenobita. Si tratta di stare in cima a una colonna e digiunare. Se la sente?”. Altre risposte da trovare da soli. Prima ancora se n’era andato Ugo Pirro, anche lui sceneggiatore da Oscar. Io, come molti della mia generazione, sono andato ai suoi corsi “democratici”. Pinelli, invece, fino ad ora, lo avevo solo intercettato negli anni ma, nell’occasione del libro, mi era sembrato utile interrogarlo direttamente. Ne L’uomo a cavallo, che citavo prima, c’è un’intervista a lui che ne ripercorre la vita: quella partigiana con tanto di pallottole (una rimasta conficcata nella spalla), l’amicizia da banco di scuola e seguito con Cesare Pavese, l’inizio della carriera legale, la passione per i girovaghi – altro segno di affinità elettiva con Fellini, il teatro. Faccio ricorso ai libri per coprire lo spazio del non detto. In un’altro recente volumetto (Federico Fellini Ciò che abbiamo inventato è tutto autentico. Lettere a Tullio Pinelli – Marsilio 9 €) si intuiscono gli scambi tra i due e c’è una nuova intervista in cui lo sceneggiatore rievoca l’amicizia con il regista riminese. Dal libro viene fuori il grande legame, nella chiave un po’ vampiresca con cui Fellini era solito intendere i rapporti più vicini. E viene anche fuori il senso del limite necessario, incarnato spesso dal Produttore, ultima forma di controllo della fantasia, ma anche dalla necessità di chiudere le storie, per farle essere. E’ in questa chiave che penso oggi che tutto quello che mi stava a cuore di chiedere a Pinelli sull’autenticità dell’amore della Dolce vita trova una risposta vera proprio in questa linea di confine tra fantasia e concretezza. Una linea che anche la nostra vita, a guardare bene, passa spesso, fino alla fine, dove si chiudono le storie, quelle scritte e quelle vissute. Ecco come riempio la mia riga bianca.
www.myvirtualpaper.com/doc/Zoe-Magazine/zoe251/2009121501/101.html
La mia ossessiva amica nonché collega me l'ha propinata in ogni salsa ieri...la sua malattia a scoppio nostalgico-malinconico. Poi, come se non bastasse, in macchina (che già mi pesa scrivere la parola se guido io) sotto una pioggia a dirotto, il tergicristallo e il suo sinistro cigolio, la gente che prova a infilarsi ovunque, la cortina di fumo del sigaro...dopo tutto questo e qualcos'altro che non ricordo, eccola di nuovo. Come un segno. Ossessivo pure lui
">.
Prima di andare un po’ più avanti devo raccontare un fatto successo appena qualche tempo prima che Giuseppe e Anna si conoscessero. Un fatto piccolo e apparentemente ininfluente. Una sera Anna è uscita con un’amica – una cosa che, in verità, non le capita da un po’ – perché ha deciso che non può stare seppellita a casa indefinitamente. Quest’ultima asserzione che lei riverbera come un assioma deve essere una frase che qualcuna o qualcuno le ha detto con premura e lei ora ripete un po’ oggettiva. Una verità indiscutibile che ora è lì a fare da semplificatore, una specie di invito all’abbandono di questa lunga penitenza.
Così ecco Anna e Laura – questo il nome dell’amica – che escono. Il pretesto è un concerto in un locale minuscolo a Prati – non l’ho ancora detto ma questa storia si svolge a Roma e Prati, per chi non lo sa, è un quartiere a ridosso del Vaticano – dove si sono date appuntamento Anna e Laura. Il concerto non è nulla di straordinario e forse interessa loro solo perché qualcuno della band è amico alla lontana di qualcun altro di cui è amica alla lontana Laura. Anna è andata un po’ per sfida con se stessa, come già detto, e comunque non con una passione per il genere musicale (già, qual è il genere musicale del concerto in questione?) della band. Neanche Laura può essere raccontata come un’appassionata o esperta di musica.
Fuori dal locale, che non è stato difficile trovare, salvo una estenuante – per Laura – ricerca di parcheggio, ci sono le due donne e un gruppetto di persone che fumano spegnendo i mozziconi in un posacenere alto di alluminio, troppo elegante per stare all’esterno. Laura è arrivata per prima, dieci minuti soli prima di Anna, abbastanza per farsi dare noia da un ragazzo con una bella parlantina ma un po’ ottuso che le ripete in continuazione le stesse cose (“aspetti qualcuno? Entri o aspetti qualcuno? Ci vediamo dentro o aspetti ancora qui?”) annullando la capacità dialettica di cui ha dato prova un minuto prima. Laura deve aver pensato che a rovinare tutto spesso basta una sola parola. Una sola parola contro dieci buone. Ma è un discorso che ha a che fare con la soglia di sopportazione di ognuno. La sua, la sua di questo periodo, è bassa davvero, pensa, e fa in tempo a veder spuntare la sagoma sul marciapiede di Anna per tirare una boccata d’aria. E una di fumo, prima di spegnere nella sabbia grigia del grande, sproporzionatamente bello, inutilmente elegante posacenere di un locale romano più dimesso dentro che fuori.
- Scusami ma mentre mi preparavo a uscire mi ha preso male. Volevo restare a casa ma mi dispiaceva darti buca all’ultimo. Ci ho pensato, sai? Forse ho sbagliato, è ancora presto per uscire. Non credo sia una buona idea. Ti dispiace se andiamo a mangiare una pizza o a bere una birra veloce in un pub e ce ne ritorniamo a casa?
Laura la guardava con un misto di compatimento triste e responsabile. Pensava che, forse, se Anna era uscita era solo per la sua insistenza e ora aveva un’aria colpevole mista all’ansia di salvare una uscita nata male.
- Entriamo un attimo, dài. Se non ci piace riusciamo e ce ne andiamo.
- Non mi sento…
- Un attimo solo, dài?
Laura tutto sommato era propensa a dare un’altra possibilità al tipo che aveva tentato di sedurla in un modo tra l’inopportuno e il divertente. Ma alla nuova negazione di Anna si era decisa ad assecondare l’amica e ora cercavano qualcosa lì intorno, proprio per non privare di senso la snervante ricerca di un posto per la macchina.
Dopo erano davanti a un pub dall’aria non esclusiva né elegante. Entravano senza pensare ad altro che a prendere quella birra veloce e via: ognuno verso casa sua. Per Laura una serata comunque passata fuori dalla monotonia domestica; per Anna la prima sera fuori casa da tempo. Già: da quanto tempo?
Fotografie del 17/02/2010
Nessuna fotografia trovata.
|